La riflessione storico-critica che segue, della giurista e antichista Eva Cantarella, si presenta come commento di un corposo volume della Boringhieri, che nel lontano 1983. Il libro, curato da Mario Vegetti, in diversi saggi proponeva un approccio rinnovato, di tipo comunicativo, alla cultura greca antica. Erano gli anni Ottanta e, dopo il decennio precedente dominato da marxismo e strutturalismo, teoria della comunicazione e “cultura materiale” sembravano essere corredo indispensabile per una intelligenza del passato più ricca e attuale. Cantarella valorizza la produttività di quegli approcci, il rinnovamento che essi fornivano all’immagine dell’antichità. Credo che sia stata una grande stagione di studi, un autunno propriamente, dopo il quale è arriva la gelata e un lungo inverno nel quale si sono consumate le riserve. (S.L.L.)
Pittura vascolare. Achille medica Patroclo ferito |
Come sono cambiati i Greci!
Non mi riferisco, ovviamente, ai Greci di oggi, ma agli antichi Greci: Omero, ad esempio. Quando andavamo a scuola, Omero era «il Poeta». Cieco, aveva composto più di trentamila versi. Genio individuale e solitario, sul finire del cosiddetto Medioevo Ellenico (epoca di povertà e di barbarie, allora si diceva) aveva composto un'opera d'arte immortale. E immortali sono certamente l'Iliade e l'Odissea: ma quanto diversa, oggi, la prospettiva in cui le leggiamo. Omero, forse, non è mai esistito. O forse sì, ma non importa: quel che importa è che l'Iliade e l'Odissea, comunque, non furono composte per soddisfare esigenze artistiche, bisogni «creativi» di uno o più poeti (gli sconosciuti aedi, i cui canti sono confluiti nei poemi epici). La poesia, nella Grecia arcaica — ce lo dice già Platone — serviva in primo luogo a istruire. In una società che non conosceva la scrittura, la poesia epica, una sorta di «enciclopedia» universale del sapere, insegnava valori, regole di comportamento, tecniche materiali.
A partire dagli studi di Havelóck, la contrapposizione oralità-scrittura è diventata una delle chiavi di comprensione della poesia e della società greca, come conferma, in un'analisi che affronta aspetti disparati della comunicazione nel mondo greco, il recentissimo volume curato da Mario Vegetti Oralità, scrittura, spettacolo (Boringhleri).
Omero, mezzo dì comunicazione, dunque: «mezzo che fa il messaggio», come dice Mac Luhan. Qualcosa di simile alla televisione, forse? Non esattamente. La poesia epica era «performance», era spettacolo che richiedeva la partecipazione attiva dell'uditorio, era scambio diretto fra il poeta e il pubblico. Ma, prese le debite distanze, il paragone rende l’idea: come la televisione, Omero «indottrinava» il pubblico, trasmetteva messaggi, proponeva ideologie, determinava comportamenti. Con una differenza: il potere di persuasione del poeti era molto più forte di quello della televisione. Nella Grecia arcaica (come in tutte le società «preletterarie») non esisteva comunicazione alternativa, in nessun senso. Non esistevano «mezzi» diversi dalla poesia, in primo luogo, e non esistevano informazioni alternative, nel contenuti, a quelle trasmesse dal poeti.
Com'è diverso Omero, oggi, da quel poeta cieco, canuto (così ce lo siamo sempre immaginati), che vagava di città in città, senza risorse e senza meta. Ma com'è più stimolante, in questa prospettiva, leggere l'Iliade e l'Odissea». Quanto diversi (pur mantenendo inalterato il fascino di una grande fiaba) personaggi ed episodi di una storia che, se non è storia di avvenimenti, è comunque la storia sociale della Grecia antica. Ma non è solo la poesia che oggi appare In una luce nuova. Prendiamo i filosofi e gli scienziati. I primi pensatori razionali, i padri del pensiero logico. Eppure, quanti elementi di Irrazionalità nel pensiero greco. Pitagora dichiarava di aver vissuto vite precedenti, prometteva ai suoi seguaci che avrebbero vissuto altre vite, che sarebbero diventati demoni, o forse anche divinità. Che fosse veramente uno sciamano, come ha sostenuto E. Dodds? Nel pensiero razionale di Platone, non sono forse individuabili tracce di idee magico-religiose, le cui origini, sempre secondo Dodds, andrebbero a loro volta, individuate nello sciamanesimo? Che dire di Empedocle, che affermava di conoscere i pharmaka, gli incantesimi contro i mali e la vecchiaia? Gli stessi Ipparco e Tolomeo, che posero le basi dell'astronomia scientifica, credevano nell'astrologia, e nella possibilità di leggere negli astri lo svolgersi delle cose umane.
Ma come, la Grecia non è più la patria della ragione? Certo, la ragione è nata in Grecia. Ma bisogna rendersi conto che sapere tradizionale e sapere scientifico possono coesistere nella stessa società, nello stesso momento, nelle stesse persone. Il mondo di oggi lo dimostra, e la Grecia non fa eccezione.
E ancora: pensiamo alla religione, al sacrificio, momento centrale della religiosità greca. Non è qui il caso di parlare del sacrifici umani, che pure i Greci certamente praticarono. Studiato una volta nella sua «essenza» (lo spirito di abnegazione, secondo Durkheim), il sacrificio è oggi analizzato nella sua dinamica materiale, nei gesti di cui è composto, nei suoi rapporti con le pratiche culinarie e alimentari. Quali bestie venivano sacrificate, come venivano uccise, come venivano cucinate le loro carni, chi le mangiava? Domande tutt'altro che oziose: attorno alle pratiche sacrificali, si organizzavano le grandi dicotomie, uomo-dio, greco-barbaro, maschio-femmina, uomo-animale. Il sacrificio era il momento che individuava coloro che appartenevano alla città, coloro che ne erano esclusi, e coloro che la rifiutavano. Jean Pierre Vernant e la sua scuola ci hanno insegnato a leggere così il sacrificio, nei suoi fondamentali legami con il sociale.
Un ultimo esempio, infine: l'arte, la bellezza greca. Pensiamo al Partenone, l'esempio più rappresentativo dell'ideale classico del tempio, esempio di proporzioni minimamente studiate e di ferrei calcoli matematici, che ne spiegano l'incomparabile bellezza. Ebbene, come è stato costruito il Partenone? Secondo R. Carpenter, la sua realizzazione sarebbe stata dettata in gran parte dal caso. Progettata nel 490 a.C, la costruzione del tempio sarebbe stata interrotta più volte, per circostanze diverse. E sarebbe stata portata a termine da un architetto diverso da quello che l'aveva progettata, utilizzando e incorporando materiali del tempio precedente, mal compiuto.
Ma allora, dove vanno a finire l'ideale greco della bellezza, la proporzione e l'armonia greca, il miracolo greco? Anche per noi, la Grecia è stata sogno, proiezione di desideri, utopia? E oggi, siamo forse vittime di un altro errore, quello opposto di voler dissacrare tutto, a ogni costo? Certamente no. Non si tratta di dissacrare per il gusto di farlo; si tratta di sottrarre la Grecia al mito. Un mito che ne aveva fatto il luogo ideale di ogni perfezione: ma, così facendo, l'aveva allontanata da noi, resa incomprensibile, fuori dal tempo, quasi vuota. Ricondotti a dimensioni umane, i Greci ci si propongono non più come modello, ma come coloro che hanno scritto un pezzo fondamentale della nostra storia.
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