Dal “Diario d’autore 23” di Marco Palladini rintracciabile nel sito del Sindacato Nazionale Scrittori “Le Reti di Dedalus” ricavo questa riflessione sull’intervento di Celentano a Sanremo, letto nel quadro del “declino della democrazia”. (S.L.L.)
Una riprova del declino della democrazia aut telecrazia, sono state le prediche sanremesi di Adriano Celentano. Le ‘celentanate’ in tivvù avvengono da oltre vent’anni, non sono una novità. Ma ogni volta il meccanismo ‘merdiatico’ si rimette in moto regalando a un cantante “travestito da sociologo” (come ebbe a dire il compianto Lucio Dalla, persona ben più seria e artisticamente credibile) l’audience di 15-16 milioni di persone, ipnotizzate ad ascoltare le prediche del se-dicente ‘re degli ignoranti’ senza possibilità di replica (già negli anni’60 Pasolini accusava la tivù di comunicazione unidirezionale, intrinsecamente fascista).
Il fu Molleggiato, da ex ragazzo d’oratorio, cela in sé un prete mancato e usa il pulpito televisivo per propinare sciocchezze e banalità buonistico-religiose (peraltro, in sostanza, non molto diverse da quelle ottimistico-edoniste del ‘piazzista’ politico Berlusconi). Certo, in questo momento il populismo come regno degli incompetenti è arginato dal ‘governo dei professori’, che competenti lo sono per definizione e, appunto, professione. Ma sono le due facce della medesima medaglia e questa discrasia segnala la mera e complessiva perdita di senso della democrazia politica. Il finanz-capitalismo, del resto, lo osservano in molti in Occidente, concepisce la democrazia come un impaccio, un ostacolo di cui sbarazzarsi. E, a tal fine, allora anche i telepredicatori stolti come Celentano figurano come gli ‘utili idioti’ che possono servire alla causa neo-autoritaria.
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