22.4.12

Il canto libero di Nazim Hikmet (di Maurizio Cucchi)

Tra i pochissimi poeti amati e letti da un pubblico vastissimo, anche in Italia, e da un pubblico non necessariamente amante della poesia in genere, c'è sicuramente, da decenni, il turco Nazim Hikmet. Ed è in fondo strano pensare come una figura tanto celebre e universalmente amata sia solo oggi riabilitata in patria, nella sua Turchia, dove era stato condannato per l'opposizione al regime di Ataturk e per l'adesione al marxismo. Ieri, a 45 anni dalla morte, gli è stata restituita la nazionalità turca con un decreto del Consiglio dei Ministri. Lo ha ufficialmente annunciato il portavoce del governo Cemil Cicek. Hikmet non aveva solo perduto la propria nazionalità, ma era stato condannato al carcere, dove era rimasto rinchiuso per quindici anni prima di andarsene in esilio e ottenere la cittadinanza polacca nel 1951. Una vicenda tragica, la sua, che ovviamente aveva suscitato clamore e solidarietà anche in altri grandi personaggi della cultura del tempo, come Neruda, o come Picasso e Sartre, che nel '49 avevano costituito a Parigi, con altri intellettuali, una commissione internazionale per la sua liberazione. Hikmet era diventato un cittadino del mondo, ed era morto a Mosca, all'età di 61 anni, per un attacco di cuore. Un cuore che, non è certo retorica dirlo, aveva dovuto subire attacchi di ogni genere e che pure aveva saputo esprimere uno straordinario senso di vitalità attraverso il canto. La poesia di Hikmet ha infatti il suo grande fascino nella piena apertura della voce, nella solarità degli accenti, pur nel dolore e nella consapevolezza del male. Il suo è un canto dove trova posto la testimonianza dell'esperienza carceraria, ma dove soprattutto domina la presenza dell'amore, proposto con limpida emozione, con semplice trasparenza di linguaggio, oltre le strutture formali della tradizione turca. La fortuna di Hikmet presso i lettori di tutti i paesi è sicuramente legata alla felice naturalezza con cui la sua opera sa muoversi in un'amplissima geografia di immagini, con energia e tensione sempre attive, e con la ferma voglia di comunicare al mondo il proprio sentimento dell'esistere. Hikmet affascina e persuade il lettore perché sa far coesistere la sua attenzione alla realtà dell'anima con la viva sensibilità per la realtà esterna. Un amico, insomma, a portata di pagina, finalmente, anche se molto tardivamente, riaccolto anche nella sua terra.

"La Stampa", 7 gennaio 2009

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