Il secolo (...) s'era teatralmente aperto nel 1701, allorché Saverio Pansuti (autore dell'Orazia, del Seiano e ancora di Sofonisba, Virginia e Bruto, tragedie che per struttura classicheggiante, impianto e negazione della scena s'affiancavano a quelle del Gravina e del Marchese o a quelle peggiori e più tarde del Sarcone) era salito su una botte ad arringare il popolo in piazza Mercato, palcoscenico sopraelevato come quei banchi di pescivendoli, nella stessa piazza, sui quali l'immaginazione di Nicola Corvo, commediografo e librettista, a metà del Settecento, volle far montare il capopolo Masaniello, in una ricostruzione poetica tuttora rimasta inedita della secentesca rivoluzione. La scena, così, in senso proprio o metaforico, diveniva termine medio fra le realtà, fra gli avvenimenti, fra le classi cittadine, e tutto si trasformava in essa, persino le panche di fortuna all'aperto, in strada, sulle quali riposavano centinaia di poveri disgraziati, senza alloggio, detti «banchieri», amaro e stabile palcoscenico della più squallida miseria e degradazione. E se il termine «banchieri» col quale si designavano i senzatetto non consentisse un immediato rinvio al teatro, è necessario ricordare che con lo stesso termine, in una sede eminentemente spettacolare, venivano indicati i cantastorie che, per lo più sul Molo, allineavano le panche in attesa degli ascoltatori cui raccontare le gesta di Orlando, Rinaldo, Buovo e Palmerindo.
da La metafora del teatro, in Teatro napoletano del '700, Pironti, 1981
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