1.4.12

In un mondo senza Borges. Invidia e cattiveria di Patricio Pron.

Il testo che segue, scritto per i 25 anni dalla morte di Borges e pubblicato da “il manifesto” nella traduzione di Francesca Lazzarato, è opera di uno scrittore argentino di sicuro talento, Patricio Pron, del quale in questo blog c’è una traccia recentissima: un bel racconto intitolato Gli orfani. Il testo contiene – senza un serio tentativo di soluzione – un problema ben formulato: la presenza ingombrante e insieme ineludibile di Borges tra gli scrittori argentini. E contiene – evidente e umiliante – una manifestazione di malcostume: la liquidazione senza argomentazioni, per pura invidia, di Ernesto Sabato come un doppio di Borges senza talento. Spero che prima o poi Pron si vergogni di aver scritto questa cattiveria. (S.L.L.)
Jorge Luis Borges
Proprio come il personaggio principale del racconto Histeria Argentina II di Rodrigo Fresán, che urta Jorge Luis Borges e senza volerlo lo fa cadere in una strada di Buenos Aires, tutti noi scrittori argentini prima o poi inciampiamo nell'autore di Finzioni e gli diamo uno spintone o cerchiamo di schivarlo. Di fatto, a partire dagli anni '40 si potrebbe raccontare la storia della letteratura argentina prendendo come punto di riferimento questo incontro, al quale non sono sfuggiti autori come Leopoldo Lugones, Horacio Quiroga, Leopoldo Marechal, Julio Cortázar (il cui racconto Casa occupata fu pubblicato sulla rivista «Sur» grazie a Borges), Ernesto Sabato (che fu il suo doppio mal riuscito e privo di talento), Juan Rodolfo Wilcock, David Viñas, Adolfo Bioy Casares, Rodolfo Walsh (che scrisse i primi racconti sotto il suo influsso), Ricardo Piglia (che ha combinato le poetiche presumibilmente divergenti di Borges e Roberto Artl), Osvaldo Lamborghini, Roberto Fontanarrosa (che seppe parodiarlo in modo straordinario), Alan Pauls (che gli dedicò uno dei suoi libri migliori, El factor Borges), César Aira, Fogwill (autore di Help a el, una versione di El Aleph che anticipava riscritture borgesiane meno riuscite) e il già menzionato Fresán: tutti definiscono il loro posto nella letteratura argentina a partire dalla domanda: «Che fare con Borges?».
A venticinque anni dalla morte dell'autore di Storia universale dell'infamia, questa continua a essere l'unica domanda realmente significativa per uno scrittore argentino.

Una lucertola nella luce calda
Non è improbabile che ogni grande scrittore apra ai suoi contemporanei strade insospettate, ma non è neppure impossibile che ne chiuda altre. Borges ha notevolmente arricchito la tradizione nazionale incorporandovi altre avanguardie, le letterature chiamate «minori» e una concezione della letteratura che conferiva un nuovo significato alla distanza tra Buenos Aires e le metropoli letterarie dell'epoca (una distanza che lui stesso avrebbe definito per la prima volta in termini positivi nel saggio Lo scrittore argentino e la tradizione), ma che comportava anche una perdita e una sottrazione (la principale: la possibilità di un mondo senza Borges) che gli scrittori argentini non hanno incassato senza resistenze.
Così, nel 1971 Blas Matamoro scrisse che «È ora di dire NO, una buona volta: per gli argentini è senz'altro un'umiliazione, il fatto che all'estero uno scrittore come Borges venga considerato il paradigma dell'intellettuale argentino». La citazione illustra a meraviglia una opinione che per un certo periodo non è stata necessariamente minoritaria, come dimostra l'antologia di Martin Lafforgue Antiborges, in cui sono riuniti testi contro l'autore. E allo stesso tempo mette in luce un problema ancora attuale per quei lettori convinti che - a differenza di quanto accade fuori dall'Argentina, dove Borges è considerato semplicemente in relazione al suo apporto alla letteratura occidentale (riassunto nel 1982 da Susan Sontag, che afferma: «Oggi non esiste nessuno scrittore vivente che importi ad altri scrittori più di Borges (...) Sono ben pochi gli autori contemporanei che non hanno imparato da lui o non lo hanno imitato») - il suo contributo alla letteratura nazionale sia altrettanto grande di ciò che le ha sottratto, a cominciare da certi temi ed espressioni di cui nessun altro autore può servirsi senza cadere nel manierismo.
A questa sottrazione si somma un ulteriore problema: l'opera di Borges funziona piuttosto come anomalia e incidente della letteratura argentina, i cui autori si vedono obbligati a misurarsi (e alcuni lo considerano ingiusto) con una figura che è più grande di lei e che la sminuisce; senza contare che l'ampliamento della prospettiva introdotto dall'opera di Borges nella letteratura argentina non concerne solo l'esperienza di lettura: «Le nostre strade e i nostri giardini, una lucertola che sfreccia nella luce calda, le nostre biblioteche e i nostri scaffali circolari cominciano ad avere esattamente l'aspetto con cui Borges li aveva immaginati», ha scritto George Steiner nel 1971.
Il problema di quegli scrittori argentini che preferirebbero una letteratura argentina senza Borges è proprio questo, che i suoi effetti hanno superato ampiamente i limiti della sua tradizione di origine e disciplina artistica. Un mondo senza Borges è tanto poco desiderabile quanto possibile, e tuttavia (nonostante siano trascorsi venticinque anni dalla sua morte) la domanda su che farne dell'eredità di Borges continua a essere presente e ridiventa attuale a ogni nuova generazione che comincia a scrivere in Argentina.
Anche se la questione si è un po' appannata, e nonostante i giovani scrittori argentini sembrino prendere deliberatamente le distanze dalla figura di Borges, la letteratura argentina continua a girare intorno al suo centro, che ora è ovunque. Forse lo farà anche intorno a una data, quella del quattordici giugno 1986, in cui secondo Roberto Bolaño (oggi considerato da alcuni il successore naturale di Borges) «è finito tutto» (anche se chissà, semplicemente, tutto è ricominciato in un altro modo).

Il giovane col volto di uccello
Nel suo eccezionale diario dell'amicizia con Borges, Adolfo Bioy Casares racconta che quel giorno si avviò verso un'edicola per comprare una copia di Esperimento col tempo di J. W. Dunne e «un tizio giovane, con la faccia da uccello» gli raccontò che Borges era morto quel pomeriggio a Ginevra, in Svizzera.
Qualche giorno prima, il dodici maggio, Bioy aveva ricevuto una sua telefonata. «Ho voglia di vederti», ricorda di avergli detto; Borges rispose: «Non tornerò mai più», e prima che la comunicazione si interrompesse gli si spezzò la voce. La scrittrice Silvina Ocampo, moglie di Bioy, osservò: «Stava piangendo», ma Bioy non capì a cosa si riferisse esattamente.
Alcune settimane dopo, informato della sua morte, fece qualche passo per allontanarsi dal giovane con la faccia da uccello e sentì che erano i suoi primi passi «in un mondo senza Borges», ma la sua impressione era sbagliata: Borges continua a esserci, in una letteratura che ha trasformato per sempre e che continua a non poter concepire se stessa senza la sua figura.
(traduzione di Francesca Lazzarato)

“il manifesto” 19.06.2011

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