A
quindici anni dalla tragica fine della Repubblica spagnola, repressa
nel sangue dai felloni di Franco, e con essa di grandi esperienze di
autogestione democratica, Albert Camus la ricordava sul n.5 della
rivista trimestrale “Témoins”, che porta la data della
“primavera 1954”. La rivista si stampava in Svizzera ed esprimeva
il punto di vista di una sinistra antistalinista con venature
anarchiche e pacifiste. Il testo rappresenta probabilmente il
riordino di interventi pubblici di Camus svolti alla presenza di
militanti spagnoli antifranchisti operanti in clandestinità entro e
fuori la Spagna. Si tratta dunque di un documento storico molto
interessante che riporta alla luce le lotte e le speranze di una
generazione di militanti. Ho ripreso il testo dal sito del
settimanale anarchico “Umanità Nova”. La traduzione è di Enrico
Voccia. (S.L.L.)
19 Luglio 1936
Il 19 luglio 1936 è
iniziata in Spagna la Seconda Guerra Mondiale. Oggi commemoriamo
questo evento. Questa guerra è ovunque terminata – tranne proprio
in terra spagnola. Il pretesto per non farla terminare è l’obbligo
di prepararsi alla Terza Guerra Mondiale. Questo riassume la tragedia
della Spagna repubblicana, che ieri si è vista imporre da alcuni
capi militari ribelli una guerra civile con interferenze straniere e
che, oggi, si vede imporre quegli stessi capi in nome di una guerra a
lei estranea. Per quindici anni, una delle cause più giuste che un
uomo possa abbracciare nella propria vita si è trovata costantemente
deformata e, se era il caso, tradita, in nome degli interessi più
vasti di un mondo consegnato alle lotte di potenza. La causa della
Repubblica si è trovata e continuamente si trova identificata con
quella della pace – e questa, senza dubbio, è la sua forza.
Disgraziatamente, il mondo non ha smesso di essere in guerra dopo il
19 luglio 1936 e la Repubblica Spagnola, di conseguenza, non ha
smesso di essere tradita o cinicamente utilizzata. Per questo, forse,
è inutile riferirsi, come abbiamo spesso fatto, allo spirito di
giustizia e libertà nella coscienza dei governi. Un governo, per
definizione, non ha coscienza. Ha, talvolta, una politica; e questo è
tutto. Forse il modo più efficace di agire a favore della Repubblica
Spagnola non è più quello di dire che è indegno per una democrazia
uccidere una seconda volta coloro che si sono battuti e sono morti
per la libertà di noi tutti. Questo è il linguaggio della verità,
che perciò risuona nel deserto. Il modo efficace sarà piuttosto
quello di dire che, se il mantenimento di Franco non si giustifica in
altro modo che con la necessità di assicurare la difesa
dell’Occidente, allora non è per nulla giustificata. Questa difesa
dell’Occidente, occorre che lo si sappia, perderà le sue ragioni
ed i suoi migliori militanti se essa comporta la prosecuzione di un
regime usurpatore e tirannico.
Poiché i governi
occidentali hanno deciso di attenersi ad uno stretto realismo,
occorre dir loro che, tuttavia, i convincimenti di tutta una parte
dell’Europa fanno anch’essi parte della realtà e che alla fine
non sarà possibile negarle. I governi del XX secolo hanno una
deprecabile tendenza a credere che l’opinione pubblica e le
coscienze possano venire governate come le forze del mondo materiale.
Se è vero che le tecniche della propaganda o del terrore sono giunte
a conferire alle opinioni ed alle coscienze una costernante
elasticità, ciononostante v’è un limite ad ogni cosa, in
particolare alla flessibilità dell’opinione. Si è potuta
mistificare la coscienza rivoluzionaria al punto tale da farle
esaltare le miserabili imprese della tirannia. Ciononostante, gli
stessi eccessi di questa tirannia rendono questa mistificazione
evidente ed ecco che, alla metà del secolo, la coscienza
rivoluzionaria si risveglia e ritorna verso le sue origini. D’altro
lato, si è potuto mistificare l’ideale della libertà per il quale
popoli ed individui hanno saputo battersi nello stesso momento in cui
i loro governi capitolavano. Si è potuto rendere pazienti questi
popoli, portarli a compromessi sempre più pesanti. Oramai però un
limite è stato raggiunto e bisogna dire chiaramente che, se viene
oltrepassato, non sarà più possibile strumentalizzare le coscienze
libere: si sarà invece costretti a combattere anche contro di loro.
Questo limite, per noialtri europei che abbiamo preso coscienza del
nostro destino e della verità il 19 luglio 1936 – è la Spagna e
la sua libertà.
Il più grande errore che
possono commettere i governi occidentali sarebbe ignorare la realtà
di un tale limite. La nostra più grande debolezza sarebbe non
farglielo notare. Ho letto negli assai singolari articoli che un
giornale – il quale ci ha abituati ad una neutralità portata
all’eccesso – consacra a quello che chiama il problema spagnolo,
che i capi repubblicani spagnoli non credono più davvero alla
repubblica. Se ciò fosse vero, questo giustificherebbe le peggiori
azioni contro una tale repubblica. L’autore di questi articoli, M.
Creach, parlando dei capi repubblicani, aggiunge però “quelli
almeno che vivono in Spagna”. Purtroppo per M. Creach e
fortunatamente per la libertà dell’Europa, i capi repubblicani non
vivono in Spagna. Oppure, se vi risiedono, M. Creach non può
incontrarli nei ministeri e nei salotti madrileni. Quelli che conosce
e che dice essere repubblicani, in effetti, hanno cessato di credere
alla repubblica. Hanno però cessato di credervi nel momento in cui
hanno accettato di sottometterla una seconda volta ai suoi carnefici.
I veri, i soli capi repubblicani che vivono in Spagna hanno
un’opinione così radicale che temo non possa piacere a M. Creach
né a coloro che, per servire Franco, non smettono di rifarsi al
rischio della guerra ed alla necessità della difesa dell’Occidente.
Questa è l’opinione dei combattenti in clandestinità, opinione
che occorre conoscere perché, essa sola, ci può indicare il limite
sul quale tutti noi dobbiamo tenerci e, per ciò che ci riguarda, non
lasceremo superare. Poiché vorrei che la mia voce fosse molto più
forte di quanto non sia e che giunga direttamente a coloro i quali
hanno il ruolo di definire la politica occidentale in vista della
concretezza, riporto allora per loro le chiare posizioni del più
potente movimento clandestino spagnolo. Queste posizioni, di cui
garantisco l’origine e l’autenticità, sono brevi. Eccole: “Per
costumi, cultura, civiltà apparteniamo al mondo occidentale e siamo
contro il blocco orientale. Restando però Franco al potere, faremo
ciò che occorre per far sì che nessun uomo combatta da noi a favore
del blocco occidentale. Ci siamo organizzati per questo.”
Questa è una realtà che
i realisti d’Occidente farebbero bene a considerare – e non solo
per ciò che concerne la Spagna. Perché il combattente che qui parla
e la cui vita, oggi, è in continuo pericolo, è fratello d’armi di
centinaia di migliaia di europei che gli somigliano, che sono pronti
a lottare per le loro libertà e determinati valori dell’Occidente,
che sanno anche che ogni lotta presuppone un minimo di realismo, ma
che non confondono mai realismo e cinismo e che non prenderebbero mai
le armi per difendere l’Occidente insieme agli eserciti franchisti
e le libertà insieme agli ammiratori di Hitler. Esiste infatti un
limite che non verrà sorpassato. Per quasi dieci anni abbiamo
mangiato il pane della vergogna e della sconfitta. Il giorno della
Liberazione, al culmine delle più grandi speranze, abbiamo appreso
sorpresi che la vittoria era stata tradita e che dovevamo rinunciare
a qualcuna delle nostre illusioni. A qualcuna? Senza dubbio! Dopo
tutto, non siamo dei bambini. Non certo però a tutte, di sicuro non
alle nostre convinzioni fondamentali. Su questo limite chiaramente
tracciato si situa in ogni caso la Spagna che, una volta di più, ci
aiuta con la sua chiara voce. Nessuna lotta potrà essere giusta se,
in realtà, essa viene portata avanti contro il popolo spagnolo. Se
la si fa contro di lui, la si fa contro di noi. Nessuna Europa,
nessuna cultura sarà libera se si fonda sulla servitù del popolo
spagnolo. Se si fonda su quella servitù, si farà contro di noi.
L’intelligente realismo dei politici occidentali, alla fine,
porterà alla loro causa cinque aeroporti e tremila ufficiali
spagnoli ma ad alienarsi definitivamente centinaia di migliaia di
europei. Dopo di che, questi geni della politica si congratuleranno a
vicenda nel cuore delle rovine. A meno che i realisti intendano
davvero il linguaggio del realismo e comprendano, infine, che il
migliore alleato del Kremlino non è, oggi, il comunismo spagnolo ma
lo stesso generale Franco ed i suoi sostenitori occidentali.
Questi ammonimenti
saranno forse inutili. Per il momento però, e malgrado tutto, resta
un piccolo spazio per la speranza. Che questi discorsi vengano fatti,
che un combattente spagnolo abbia potuto tenere il linguaggio che ho
riportato, questo prova almeno che nessuna sconfitta sarà definitiva
finché il popolo spagnolo, come ho appena mostrato, mantiene la sua
capacità di lottare. Paradossalmente, è questo popolo affamato,
asservito, esiliato dalla comunità delle nazioni che, oggi, è il
custode ed il testimone della nostra speranza. Lui almeno – in
questo assai differente dai capi di M. Creach – è vivo, soffre e
lotta. È per questo aspetto che il popolo in questione imbarazza i
teorici del realismo, che affermano che esso pensa innanzitutto alla
sua tranquillità. Vi pensa talmente poco che questi teorici sono
stati costretti a gettarlo via come fosse zavorra. I giornali dove
oggi si esprime l’autonominatasi élite europea si sono sforzati di
spiegare l’evento degli scioperi spagnoli come se essi favorissero
le vere forze del regime franchista. La loro ultima trovata è che
questi scioperi sono stati appoggiati dalla borghesia e
dall’esercito. Questi scioperi, però, sono stati effettuati da
coloro che lavorano e soffrono – ecco la verità: ed anche se è
possibile che qualche industriale e qualche vescovo possano avervi
visto un’occasione per esprimere senza pagare di persona la loro
opposizione, allora essi sono ancora più disprezzabili per aver
strumentalizzato il dolore ed il sangue del popolo spagnolo allo
scopo di affermare ciò che erano incapaci di gridare in prima
persona. Questi movimenti sono stati spontanei e la loro forza
garantisce la realtà effettiva delle affermazioni del nostro
compagno nonché fonda la sola speranza che possiamo nutrire.
Non crediamo che la causa
repubblicana vacilli! Non crediamo che l’Europa agonizzi! Ciò che
viene meno, dall’Est all’Ovest, sono le sue ideologie. Forse
l’Europa, cui la Spagna è unita, è talmente miserabile solo
perché si è allontanata del tutto, persino nelle sue idee
rivoluzionarie, da una generosa fonte di vita, da un pensiero in cui
la giustizia e la libertà si fondono in un’unità vivente,
ugualmente lontana sia dai filosofi borghesi sia dal socialismo
autoritario. I popoli spagnoli, italiani e francesi conservano il
segreto di questo pensiero e lo conserveranno ancora fino al momento
in cui esso servirà alla rinascita. In quel momento, il 19 luglio
1936 sarà anche una delle date della seconda rivoluzione del
Novecento, che ha il suo fondamento nella Comune di Parigi, che va
sempre avanti nonostante le apparenze della disfatta, che non ha
ancora finito di scuotere il mondo e che, alla fine, porterà
l’umanità ancora oltre di quanto non abbia potuto fare la
rivoluzione del 1917. Nutrita dalla Spagna e, in generale, dal
geniale spirito libertario, esso ci renderà un giorno, finalmente in
piena luce, una Spagna ed un’Europa e, insieme ad esse, nuovi
compiti e nuove lotte. Questo, almeno, costituisce la nostra speranza
e la nostra motivazione nella lotta.
Compagni spagnoli,
dicendo questo non dimentico – siatene certi – che se quindici
anni sono poca cosa allo sguardo della Storia, questi quindici anni
che sono trascorsi hanno pesato su di voi come un macigno, nel
silenzio dell’esilio. C’è un argomento del quale non so più
parlare, per averlo fatto troppe volte, ed è il mio appassionato
desiderio di vedervi ritrovare nella sola terra che vi si addica.
Anche questa sera avverto l’amarezza che si può provare a parlarvi
solo di continue lotte e combattimenti invece della felicità cui
avete a giusto titolo diritto – ma tutto ciò che possiamo fare per
dare un senso a tante sofferenze e morti è portare dentro di noi le
loro speranze, di evitare che queste sofferenze siano state vane e
che quei morti siano dimenticati. Questi quindici anni hanno logorato
tanti uomini nel loro impegno, ma ne hanno creato altri il cui
destino è rendere giustizia ai primi. Per quanto pesante sia tutto
ciò, è così che popoli e civiltà si elevano. Dopo tutto è da
voi, è da una parte della Spagna, che qualcuno di noi ha imparato a
raddrizzare la schiena ed accettare costantemente il duro dovere
della libertà. Questo duro e infinito dovere, a nostra volta,
dobbiamo condividerlo con voi, senza cadute e senza compromessi. Così
vi si rende giustizia. Da quando ho raggiunto l’età della ragione,
ho incontrato nella storia tanti di quei vincitori la cui faccia ho
trovato orrenda, perché vi si leggeva l’odio e la solitudine,
perché essi non erano più nulla allorquando smettevano di essere
dei vincitori. Occorreva loro uccidere ed asservire solo per
esistere. Esiste però un’altra specie di uomini che aiuta a
vivere, che non ha mai trovato la propria esistenza e la propria
libertà in altro luogo che non fosse la libertà e la felicità di
tutti e che, di conseguenza, trova anche nelle sconfitte ragioni per
vivere e per amare. Costoro, anche sconfitti, non saranno mai soli.
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