Conoscevo Rodolfo De
Angelis come autore e interprete di canzoni umoristiche, tre delle
quali sono – nel genere – dei gioiellini, Ma cos'è questa
crisi? (parapapapapa, del 1930),
Bravo bravo, ma come parla bene! (in
cui taluni videro uno sfottò al Duce, analogo a quello del “Bravo
bis!” del Petrolini-Nerone), e Sanzionami questo! (del
1936, dopo le sanzioni della Sociatà delle Nazioni e peculiarmente
inglesi all'Italia per l'aggressione all'Etiopia del Negus). Ero
anche a conoscenza di una sua attività di giornalista brillante.
Perciò domenica, al mercatino del “modernariato” che si tiene a
Perugia ogni ultimo weekend del mese, mi sono lasciato tentare da un
suo libretto sulla storia del “café-chantant” lì esposto. Non
l'ho comprato neanche tanto caro e non mi sono pentito. Contiene
molte curiosità, anche grazie alla diretta conoscenza dell'ambiente
da parte del De Angelis. Ne posterò diverse pagine, cominciando da
questa sull'inventore della “macchietta”, il celebre Maldacea.
(S.L.L.)
A Napoli teatrini sorsero in ogni
palazzo gentilizio, ne’ collegi, ne’ conventi, persino nelle
stanze di modeste abitazioni.
Queste feste di famiglia
si dissero «periodiche» (trattenimento a giorno fìsso). Nelle
famiglie nobili funzionava il buffet freddo. Dalle «mezze-calzette»
frittelle e rosoli di fabbricazione casalinga. Nelle case dei poveri:
«tarallucce» (piccole ciambelle) e vino.
Recitare, cantare,
suonare, era per la Napoli d’allora, forse un bisogno inconscio,
per dimenticare i crucci, le miserie, le asperità della cotidiana
esistenza. Un sistema filosofico spicciolo per rendere la vita quella
che dovrebb’es-sere: un godimento e non una espiazione.
* * *
In una di queste
«periodiche» altolocate (siamo al 1891), si fa notare un
canzonettista comico, che ha già affrontato il pubblico nelle
compagnie del celebre «sciosciammocca» Eduardo Scarpetta e di
Gennaro Pantalena.
Un «soffietto» su un
giornale da parte di un giornalista che è intervenuto al
trattenimento frutta al giovine una scrittura per il «Salone
Margherita» a dieci lire serali. Il programma di questo
«café-chantant», dopo qualche giorno, porta fra gli altri anche il
suo nome: Nicola Maldacea.
Quando Maldacea apparve
per la prima volta sul palcoscenico del «Salone Margherita», dove
fin allora vi aveva posto piede nel ruolo di «vedette», maschile
soltanto un francese: il Paulus (che le cronache ci dipingono in frak
rosso, calzoni corti di raso nero e scarpe di coppale con fibbie,
avvertendoci inoltre che egli eseguiva inappuntabilmente canzoni
patriottiche (à), il repertorio era ancora quello delle
«periodiche». Il successo fu pronto e cordiale. Ma, don Nicolino (e
qui sta il suo grande merito) si accorse ben presto di essere molto
meno comico di quegli «habitués» che lo acclamavano; tutti
nobiloni dai nomi ingombranti e roboanti, affetti da podagra e da tic
nervoso, che ai tanti spassi con i quali allietavano la loro futile e
inutile esistenza, avevano aggiunto ora quello d «café-chantant».
E, con l’ausilio di poeti umoristici e musici bizzarri, ne volle
diventare lo specchio. Nacque cosi quel genere che fu detto della
«Macchietta», e la proverbialità del Maldacea, che i manifesti
indicavano dopo l'affermazione, quale «comico satirico-sociale».
Una delle prime di queste «macchiette», dovuta alla «verve» di
Ferdinando Russo e musicata da Vincenzo Valente satireggiava appunto
un «viveur». In essa è riflessa, sia pure in tono caricaturale, la
vita che effettivamente conducevano a quell’epoca, come dire?, i
«conservatori», i possessori di blasoni e di terre e di tutti quei
privilegi sanciti dal cosiddetto «codice civile», in omaggio e in
difesa dei diritti precostituiti. S'intitola:
L’ELEGANTE
La sera rado al circolo
il giorno a via
Caracciolo,
sono il conte
Mammocciolo
y de Cavaturacciolo.
Non bado, sa, allo
spicciolo,
mille, duemila, che!...
Sono sciocchezze,
inezie!
Oh! ciao, addio,
Marché!...
La caricatura di questi
dorati fannulloni, più che nelle parole della canzonetta, era
nell’abbigliamento e nella mimetica del canzonettista. Pensate un
po’ a un tipo che vi apparisse dinnanzi impettito, il passo cauto,
gli occhi esprimenti sufficienza e il naso insopportabilità; in capo
una mezza tuba color cenere, soprabito dieci centimetri più corto
della sottostante «redingote», pantaloni a quadri, fiore bianco
all’occhiello, monocolo provvisto di fettuccia di seta nera, guanti
giallo-canarino e canna con pomo dorato.
* * *
Trovata la formula, tutta
una galleria di tipi fu presentata al pubblico dal comico «satirico
sociale», in garbate caricature; dal deputato allo spazzino, dal
«camorrista» al «mezzano», dal reduce delle Patrie battaglie al
maldicente, dal tenentino conquistatore al vetturino cicerone, dal
pompiere di teatro alla «cocotte» intellettuale. Ma anche le nuove
idee, i nuovi ritrovati della scienza, della tecnica, diventavano
oggetto di satira. Le «macchiette», alla lettura oggi, riflettono
quello che era allora il gusto del pubblico che frequentava i
«café-chantant»: la pornografia. Doppio senso, scurrilità e
salacità, infioravano questi brevi componimenti. Gli è che forse,
gli altri pregi non sarebbero bastati a promuovere l’ilarità degli
spettatori che andavano in quei luoghi più con disposizioni erotiche
che con ansie di divertimento..
* * *
Al successo del nuovo
genere contribuirono poeti e scrittori. Da Salvatore di Giacomo a
Trilussa da Ferdinando Russo a Ernesto Murolo, da Rocco Galdieri a
Ugo Ricci, da Carlo Veneziani a Giovanni Capurro, da Eduardo
Nicolardi a Mimì Albin; e musicisti come Mano Costa, Eduardo di
Capua (l’autore di «’O Sole mio!») Giuseppe Di Gregorio,
Francesco Dongiovanni; nonché, per la massima parte, quel Vincenzo
Valente che seppe in quel genere creare piccoli capolavori d’umorismo
musicale.
Anche allora, il
«distinguo» fra socialisti e collettivisti (così si dicevano i
comunisti), era in disputa. Maldacea calca sul capo un cappello a
larghe tese, annoda al collo una svolazzante cravatta rossa,
appiccica al viso mustacchi e pizzo, e avanza alla ribalta:
IL «COLLETTIVISTA»
Forzosamente vogliono
chiamarmi Socialista!
Non san quel che si
dicono,
io son Collettivista,
cioè sono discepolo
di Marx, genio
immortale!
Ed ho studiato
“funditus”,
e adoro il Capitale.
Ah! il tuo non è più
tuo;
il mio non è più mio;
se producete voi,
debbo produrre anch’io?
Avete dei risparmi? /
Embé, mettite ccà...
Bisogna riconoscere
la Collettività!
E, più innanzi, sul
libero amore:
L’amor dev’esser
libero,
vi ha dritto ogni
persona...
Non posso morir tisico
se tua sorella è
bbona!
Qui c’entra il
Procuratore del Re non come integerrimo magistrato e tutore della
legge, bensì come autore della poesiola. Si chiamava Giuseppe
Lustig; e, pur celandosi sotto varii pseudonimi, gradiva molto si
sapesse di questo suo diletto.
* * *
Posatori del calibro di
Gabriele D’Annunzio non sfuggirono alla caricatura maldaceiana; e
fu ancora il Lustig, quando la teoria nietzschiana del superuomo
parve si attagliasse al vate d’Abruzzo, a fornire il componimento
che s’intitolò, appunto:
IL SUPERUOMO
Signori, io non son
uomo, nè sono un gentiluomo,
nè sono un galantuomo,
io sono un superuomo!
Perchè nel protoplasma
del padre mio che fu
Del tipo antropologico
c’era qualcosa in più!
E, dopo la enumerazione
delle più importanti facoltà, concludeva :
E pur! non mi
conoscono, perché?... perché, si sa,
il superuomo sdegna la
popolarità!
* * *
Immaginarsi la sera che
al «Salone Margherita» di Roma (gemello di quello di Napoli, e
gestito dagli stessi proprietari) il cav. Gabriele D’Annunzio,
prese posto in una poltrona di prima fila per godersi la satira!
Dovett’essere tale il successo personale (di lui D’Annunzio, si
capisce), che dopo qualche sera Maldacea fu invitato con cortese
biglietto del poeta, a replicare la « macchietta ».
* * *
Le precipue doti di don
Nicolino furono: la fissità comica dei suoi atteggiamenti, il
porgere composto e signorile, una dizione pastosa e intelligente, la
scrupolosità del trucco, il senso della caricatura, la cura dei
particolari.
Il suo nome, salito ai
fastigi della celebrità, costituiva per gli impresari il più sicuro
richiamo. Durante le sue apparizioni al «Margherita» il manifesto
giornaliero, anziché elencare i molti numeri del programma, se la
sbrigava con tre parole :
QUESTA SERA MALDACEA
Fu e restò in quel
genere un capo-scuola. A lui spetta la qualifica di capostipite della
famiglia dei comici del varietà. Guadagnò molto, relativamente a
quei tempi, ma la disposizione a costituire varie famiglie, e il
gioco del lotto (passione e speranza di ogni buon napoletano), lo
ridussero nell’età tarda a comparire in qualche film in parti
secondarie, per modo che quando lasciò questa terra (un anno prima
della fine del conflitto mondiale N. 2, nessun notaio ebbe a
scomodarsi.
Storia del
café-chantant, Il balcone,
Milano, 1946
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