1.8.18

Nicola Maldacea e l'invenzione della “macchietta” (Rodolfo De Angelis)



Conoscevo Rodolfo De Angelis come autore e interprete di canzoni umoristiche, tre delle quali sono – nel genere – dei gioiellini, Ma cos'è questa crisi? (parapapapapa, del 1930), Bravo bravo, ma come parla bene! (in cui taluni videro uno sfottò al Duce, analogo a quello del “Bravo bis!” del Petrolini-Nerone), e Sanzionami questo! (del 1936, dopo le sanzioni della Sociatà delle Nazioni e peculiarmente inglesi all'Italia per l'aggressione all'Etiopia del Negus). Ero anche a conoscenza di una sua attività di giornalista brillante. Perciò domenica, al mercatino del “modernariato” che si tiene a Perugia ogni ultimo weekend del mese, mi sono lasciato tentare da un suo libretto sulla storia del “café-chantant” lì esposto. Non l'ho comprato neanche tanto caro e non mi sono pentito. Contiene molte curiosità, anche grazie alla diretta conoscenza dell'ambiente da parte del De Angelis. Ne posterò diverse pagine, cominciando da questa sull'inventore della “macchietta”, il celebre Maldacea. (S.L.L.)



A Napoli teatrini sorsero in ogni palazzo gentilizio, ne’ collegi, ne’ conventi, persino nelle stanze di modeste abitazioni.
Queste feste di famiglia si dissero «periodiche» (trattenimento a giorno fìsso). Nelle famiglie nobili funzionava il buffet freddo. Dalle «mezze-calzette» frittelle e rosoli di fabbricazione casalinga. Nelle case dei poveri: «tarallucce» (piccole ciambelle) e vino.
Recitare, cantare, suonare, era per la Napoli d’allora, forse un bisogno inconscio, per dimenticare i crucci, le miserie, le asperità della cotidiana esistenza. Un sistema filosofico spicciolo per rendere la vita quella che dovrebb’es-sere: un godimento e non una espiazione.

* * *

In una di queste «periodiche» altolocate (siamo al 1891), si fa notare un canzonettista comico, che ha già affrontato il pubblico nelle compagnie del celebre «sciosciammocca» Eduardo Scarpetta e di Gennaro Pantalena.
Un «soffietto» su un giornale da parte di un giornalista che è intervenuto al trattenimento frutta al giovine una scrittura per il «Salone Margherita» a dieci lire serali. Il programma di questo «café-chantant», dopo qualche giorno, porta fra gli altri anche il suo nome: Nicola Maldacea.
Quando Maldacea apparve per la prima volta sul palcoscenico del «Salone Margherita», dove fin allora vi aveva posto piede nel ruolo di «vedette», maschile soltanto un francese: il Paulus (che le cronache ci dipingono in frak rosso, calzoni corti di raso nero e scarpe di coppale con fibbie, avvertendoci inoltre che egli eseguiva inappuntabilmente canzoni patriottiche (à), il repertorio era ancora quello delle «periodiche». Il successo fu pronto e cordiale. Ma, don Nicolino (e qui sta il suo grande merito) si accorse ben presto di essere molto meno comico di quegli «habitués» che lo acclamavano; tutti nobiloni dai nomi ingombranti e roboanti, affetti da podagra e da tic nervoso, che ai tanti spassi con i quali allietavano la loro futile e inutile esistenza, avevano aggiunto ora quello d «café-chantant». E, con l’ausilio di poeti umoristici e musici bizzarri, ne volle diventare lo specchio. Nacque cosi quel genere che fu detto della «Macchietta», e la proverbialità del Maldacea, che i manifesti indicavano dopo l'affermazione, quale «comico satirico-sociale». Una delle prime di queste «macchiette», dovuta alla «verve» di Ferdinando Russo e musicata da Vincenzo Valente satireggiava appunto un «viveur». In essa è riflessa, sia pure in tono caricaturale, la vita che effettivamente conducevano a quell’epoca, come dire?, i «conservatori», i possessori di blasoni e di terre e di tutti quei privilegi sanciti dal cosiddetto «codice civile», in omaggio e in difesa dei diritti precostituiti. S'intitola:

L’ELEGANTE
La sera rado al circolo
il giorno a via Caracciolo,
sono il conte Mammocciolo
y de Cavaturacciolo.
Non bado, sa, allo spicciolo,
mille, duemila, che!...
Sono sciocchezze, inezie!
Oh! ciao, addio, Marché!...

La caricatura di questi dorati fannulloni, più che nelle parole della canzonetta, era nell’abbigliamento e nella mimetica del canzonettista. Pensate un po’ a un tipo che vi apparisse dinnanzi impettito, il passo cauto, gli occhi esprimenti sufficienza e il naso insopportabilità; in capo una mezza tuba color cenere, soprabito dieci centimetri più corto della sottostante «redingote», pantaloni a quadri, fiore bianco all’occhiello, monocolo provvisto di fettuccia di seta nera, guanti giallo-canarino e canna con pomo dorato.

* * *

Trovata la formula, tutta una galleria di tipi fu presentata al pubblico dal comico «satirico sociale», in garbate caricature; dal deputato allo spazzino, dal «camorrista» al «mezzano», dal reduce delle Patrie battaglie al maldicente, dal tenentino conquistatore al vetturino cicerone, dal pompiere di teatro alla «cocotte» intellettuale. Ma anche le nuove idee, i nuovi ritrovati della scienza, della tecnica, diventavano oggetto di satira. Le «macchiette», alla lettura oggi, riflettono quello che era allora il gusto del pubblico che frequentava i «café-chantant»: la pornografia. Doppio senso, scurrilità e salacità, infioravano questi brevi componimenti. Gli è che forse, gli altri pregi non sarebbero bastati a promuovere l’ilarità degli spettatori che andavano in quei luoghi più con disposizioni erotiche che con ansie di divertimento..

* * *

Al successo del nuovo genere contribuirono poeti e scrittori. Da Salvatore di Giacomo a Trilussa da Ferdinando Russo a Ernesto Murolo, da Rocco Galdieri a Ugo Ricci, da Carlo Veneziani a Giovanni Capurro, da Eduardo Nicolardi a Mimì Albin; e musicisti come Mano Costa, Eduardo di Capua (l’autore di «’O Sole mio!») Giuseppe Di Gregorio, Francesco Dongiovanni; nonché, per la massima parte, quel Vincenzo Valente che seppe in quel genere creare piccoli capolavori d’umorismo musicale.
Anche allora, il «distinguo» fra socialisti e collettivisti (così si dicevano i comunisti), era in disputa. Maldacea calca sul capo un cappello a larghe tese, annoda al collo una svolazzante cravatta rossa, appiccica al viso mustacchi e pizzo, e avanza alla ribalta:

IL «COLLETTIVISTA»
Forzosamente vogliono
chiamarmi Socialista!
Non san quel che si dicono,
io son Collettivista,
cioè sono discepolo
di Marx, genio immortale!
Ed ho studiato “funditus”,
e adoro il Capitale.

Ah! il tuo non è più tuo;
il mio non è più mio;
se producete voi,
debbo produrre anch’io?
Avete dei risparmi? /
Embé, mettite ccà...
Bisogna riconoscere
la Collettività!

E, più innanzi, sul libero amore:

L’amor dev’esser libero,
vi ha dritto ogni persona...
Non posso morir tisico
se tua sorella è bbona!

Qui c’entra il Procuratore del Re non come integerrimo magistrato e tutore della legge, bensì come autore della poesiola. Si chiamava Giuseppe Lustig; e, pur celandosi sotto varii pseudonimi, gradiva molto si sapesse di questo suo diletto.

* * *

Posatori del calibro di Gabriele D’Annunzio non sfuggirono alla caricatura maldaceiana; e fu ancora il Lustig, quando la teoria nietzschiana del superuomo parve si attagliasse al vate d’Abruzzo, a fornire il componimento che s’intitolò, appunto:

IL SUPERUOMO
Signori, io non son uomo, nè sono un gentiluomo,
nè sono un galantuomo, io sono un superuomo!
Perchè nel protoplasma del padre mio che fu
Del tipo antropologico c’era qualcosa in più!

E, dopo la enumerazione delle più importanti facoltà, concludeva :

E pur! non mi conoscono, perché?... perché, si sa,
il superuomo sdegna la popolarità!

* * *

Immaginarsi la sera che al «Salone Margherita» di Roma (gemello di quello di Napoli, e gestito dagli stessi proprietari) il cav. Gabriele D’Annunzio, prese posto in una poltrona di prima fila per godersi la satira! Dovett’essere tale il successo personale (di lui D’Annunzio, si capisce), che dopo qualche sera Maldacea fu invitato con cortese biglietto del poeta, a replicare la « macchietta ».

* * *

Le precipue doti di don Nicolino furono: la fissità comica dei suoi atteggiamenti, il porgere composto e signorile, una dizione pastosa e intelligente, la scrupolosità del trucco, il senso della caricatura, la cura dei particolari.
Il suo nome, salito ai fastigi della celebrità, costituiva per gli impresari il più sicuro richiamo. Durante le sue apparizioni al «Margherita» il manifesto giornaliero, anziché elencare i molti numeri del programma, se la sbrigava con tre parole :

QUESTA SERA MALDACEA

Fu e restò in quel genere un capo-scuola. A lui spetta la qualifica di capostipite della famiglia dei comici del varietà. Guadagnò molto, relativamente a quei tempi, ma la disposizione a costituire varie famiglie, e il gioco del lotto (passione e speranza di ogni buon napoletano), lo ridussero nell’età tarda a comparire in qualche film in parti secondarie, per modo che quando lasciò questa terra (un anno prima della fine del conflitto mondiale N. 2, nessun notaio ebbe a scomodarsi.

Storia del café-chantant, Il balcone, Milano, 1946



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