Terminata questa pausa
più o meno dispersiva delle vacanze, la rivolta studentesca tornerà
a infiammarsi, a esplodere. Sarebbe deludente che ciò non avvenisse.
Non certo perché ogni sfida ha il suo puntiglio, o perché occorra
coprire con l'agitazione un vuoto di fondo, ma proprio per il fatto
che la rivolta che sembrerebbe arrivata a un punto morto e invece
arrivata al suo punto più vivo, quello che deve dimostrare, se ce ne
fosse il caso, ai ciechi speranzosi di un rientro nell'ordine antico,
o appena ammodernato, che la rivolta era ed è una rivoluzione da
portare avanti.
Queste parole
dispiacciono e spaventano, lo so, ma non si tratta di soffiare nel
fuoco, il fuoco c'è e nessuna cenere l'ha coperto, né tanto meno
soffocato. Ma se per una assurda ipotesi questa rivolta, o, se si
preferisce un'espressione più mansueta, questo movimento studentesco
segnasse il passo, o, cosa più assurda e più dannosa ancora,
cadesse nel vischio del compromessi, degli arrangiamenti concilianti
e temporanei, toccherebbe agli adulti, a noi tutti, maestri e no, che
ne siamo stati scossi, prendere in pugno la direzione abbandonata,
portare innanzi la lotta — certo, non con la stessa forza d'urto e
imposizione di diritti e forza di contrattazione — e insomma, per
quanto a noi fosse possibile, non lasciar isterilire i semi che sono
stati seminati.
Guardate quante
testimonianze sulla lotta studentesca sono state pubblicate in questi
tempi, su riviste, in libri, e anche quanti commenti e analisi e
sintesi e tentativi di interpretazione (L'anno degli studenti
di Rossana Rossanda è fra i piu acuti) e s'intende che le
informazioni dirette o indirette sulle lotte francesi o tedesche o
cecoslovacche o jugoslave o americane (qui si inseriscono essenziali
critiche da parte del docenti, come si può vedere dal libro che le
raccoglie, L'Università del dissenso) si legano le une alle
altre e perciò alle nostre, perché le ragioni, nonostante certe
distinzioni nazionali, sono identiche, e cioè è in discussione, a
qualunque livello essa si trovi, la verità della democrazia.
Sono testi di essenziale
interesse. Lo stesso movimento studentesco ha divulgato i suoi
documenti in un volume dell'editore Laterza: è difficile leggerli
saltandone qualcuno o qualche parte. Tutto è così stringente e
coordinato, così implacabilmente ragionato; si ha l'impressione di
essere avvolti in una rete. Ciò è bene: e bene che non ci siano
nella rete maglie per fuggirne via. Non importa che molte cose siano
discutibili: sarebbe bella che non lo fossero! Questi non sono
catechismi, non sono manuali, sono contestationi, discorsi dialettici
in pieno svolgimento; un quadro, un bilancio simile della situazione
universitaria e degli stati d'animo degli studenti non l'avevamo mai
letto così comprensivo e cosl sofferto. Quello che di passo in passo
nella loro lotta, e dietro stimoli culturali e politici gli studenti
banno scoperto o verificato, toccando alla fine il cuore del
problema, e che lo studio, le scuole di ogni grado, 1'accesso, la
preparazione, il costo, il fine dello studio e delle scuole si
scontrano con l'interesse di un potere che condiziona tutto, lo
indirizza e lo sprcme, salvo poi creare situazioni per cui non si
serve neppure più di ciò che aveva piegato ai suoi piani, insomma,
quello che in modo clamoroso abbiamo imparato dall'insurrezione
studentesca (e se già prima lo sapevamo lo nascondevamo a noi
stessi): la scuola serve un padrone che bada a imporle un suo ideale
di società, tecnologicamente avanzata, civilmente retrograda e
coercitiva.
In queste condizioni, che
sono state confermate autentiche dallo spietato processo speculativo
degli studenti, come sarà possibile affrontare, alla ripresa delle
scuole e dell'attività parlamentare, il problema che si chiama, con
termini prudenzialmente ristretti, riforma della scuola? Se non si fa
perno non tanto su qualcuna delle carte rivendicative degli studenti
quanto su una “Carta per una università alternativa” (in uno
scritto di Giorgio Manacorda in Nuovi argomenti n. 10 vi sono i
riferimenti piu precisi) non si comincia nemmeno.
Ma, nonostante il gran
frastuono che dal movimento studentesco e arrivato a echeggiare In
quella rudimentale cassa di risonanza che si chiama opinione
pubblica, alcuni punti essenziali non sono forse ancora chiari e
devono essere ridetti e ribaditi. Il primo è che quello del giovani
non è un problema giovanile, ma di uomini nuovi e come tale
interessa tutte le forze impegnate nella ristrutturazione sociale.
Un secondo punto, che
consegue dal primo, è che la lotta degli studenti obbligherà a
muoversi tutti gli altri settori della società contestatrice. Si
vedrà finalmente che l'obiettivo di fondo da raggiungere è lo
stesso per tutti i settori che entrano in azione. Perché — se ne
renda conto quella parte della classe dirigente più torpida e
malevola — questo degli studenti d'ltalia e di ogni paese è il più
grande movimento di libertà che sia scoppiato nel mondo: esso sta
facendo giustizia di tutte le stagnazioni mentali e morali, di tabù
decrepiti, di miti pigrissimi, e ci ha redento da uno stato generale
di viltà e di depressione. Sappiamo benissimo che bisognerà volgere
ogni sforzo verso «obiettivi intermedi», ma che non crolli mai quel
muro che i giovani hanno eretto contro il passato, non ceda mai quel
tanto di forza utopica (ma che poi utopica non è) utile a tener viva
la volontà di combattere. Possiamo essere più o meno d'accordo
sulle forme assunte o che assumerà la protesta, ma esse non
modificano minimamente il giudizio positivo sulla sostanza «Le cose
più interessanti che si trovano oggi in America — si legge in un
capitolo della antologia Gli studenti e la nuova sinistra in
America — sono i movimenti per trasformare l'America». Per
trasformare. ecco il fine: così si può ripetere per ogni paese e
anche per il nostro, dove il movimento si è espresso con tanta
energia e intelligenza.
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