10.8.18

Sessantotto. Franco Antonicelli sulla rivolta studentesca (“l'Unità”, 10 agosto 2018)


Terminata questa pausa più o meno dispersiva delle vacanze, la rivolta studentesca tornerà a infiammarsi, a esplodere. Sarebbe deludente che ciò non avvenisse. Non certo perché ogni sfida ha il suo puntiglio, o perché occorra coprire con l'agitazione un vuoto di fondo, ma proprio per il fatto che la rivolta che sembrerebbe arrivata a un punto morto e invece arrivata al suo punto più vivo, quello che deve dimostrare, se ce ne fosse il caso, ai ciechi speranzosi di un rientro nell'ordine antico, o appena ammodernato, che la rivolta era ed è una rivoluzione da portare avanti.
Queste parole dispiacciono e spaventano, lo so, ma non si tratta di soffiare nel fuoco, il fuoco c'è e nessuna cenere l'ha coperto, né tanto meno soffocato. Ma se per una assurda ipotesi questa rivolta, o, se si preferisce un'espressione più mansueta, questo movimento studentesco segnasse il passo, o, cosa più assurda e più dannosa ancora, cadesse nel vischio del compromessi, degli arrangiamenti concilianti e temporanei, toccherebbe agli adulti, a noi tutti, maestri e no, che ne siamo stati scossi, prendere in pugno la direzione abbandonata, portare innanzi la lotta — certo, non con la stessa forza d'urto e imposizione di diritti e forza di contrattazione — e insomma, per quanto a noi fosse possibile, non lasciar isterilire i semi che sono stati seminati.


Guardate quante testimonianze sulla lotta studentesca sono state pubblicate in questi tempi, su riviste, in libri, e anche quanti commenti e analisi e sintesi e tentativi di interpretazione (L'anno degli studenti di Rossana Rossanda è fra i piu acuti) e s'intende che le informazioni dirette o indirette sulle lotte francesi o tedesche o cecoslovacche o jugoslave o americane (qui si inseriscono essenziali critiche da parte del docenti, come si può vedere dal libro che le raccoglie, L'Università del dissenso) si legano le une alle altre e perciò alle nostre, perché le ragioni, nonostante certe distinzioni nazionali, sono identiche, e cioè è in discussione, a qualunque livello essa si trovi, la verità della democrazia.
Sono testi di essenziale interesse. Lo stesso movimento studentesco ha divulgato i suoi documenti in un volume dell'editore Laterza: è difficile leggerli saltandone qualcuno o qualche parte. Tutto è così stringente e coordinato, così implacabilmente ragionato; si ha l'impressione di essere avvolti in una rete. Ciò è bene: e bene che non ci siano nella rete maglie per fuggirne via. Non importa che molte cose siano discutibili: sarebbe bella che non lo fossero! Questi non sono catechismi, non sono manuali, sono contestationi, discorsi dialettici in pieno svolgimento; un quadro, un bilancio simile della situazione universitaria e degli stati d'animo degli studenti non l'avevamo mai letto così comprensivo e cosl sofferto. Quello che di passo in passo nella loro lotta, e dietro stimoli culturali e politici gli studenti banno scoperto o verificato, toccando alla fine il cuore del problema, e che lo studio, le scuole di ogni grado, 1'accesso, la preparazione, il costo, il fine dello studio e delle scuole si scontrano con l'interesse di un potere che condiziona tutto, lo indirizza e lo sprcme, salvo poi creare situazioni per cui non si serve neppure più di ciò che aveva piegato ai suoi piani, insomma, quello che in modo clamoroso abbiamo imparato dall'insurrezione studentesca (e se già prima lo sapevamo lo nascondevamo a noi stessi): la scuola serve un padrone che bada a imporle un suo ideale di società, tecnologicamente avanzata, civilmente retrograda e coercitiva.
In queste condizioni, che sono state confermate autentiche dallo spietato processo speculativo degli studenti, come sarà possibile affrontare, alla ripresa delle scuole e dell'attività parlamentare, il problema che si chiama, con termini prudenzialmente ristretti, riforma della scuola? Se non si fa perno non tanto su qualcuna delle carte rivendicative degli studenti quanto su una “Carta per una università alternativa” (in uno scritto di Giorgio Manacorda in Nuovi argomenti n. 10 vi sono i riferimenti piu precisi) non si comincia nemmeno.
Ma, nonostante il gran frastuono che dal movimento studentesco e arrivato a echeggiare In quella rudimentale cassa di risonanza che si chiama opinione pubblica, alcuni punti essenziali non sono forse ancora chiari e devono essere ridetti e ribaditi. Il primo è che quello del giovani non è un problema giovanile, ma di uomini nuovi e come tale interessa tutte le forze impegnate nella ristrutturazione sociale.
Un secondo punto, che consegue dal primo, è che la lotta degli studenti obbligherà a muoversi tutti gli altri settori della società contestatrice. Si vedrà finalmente che l'obiettivo di fondo da raggiungere è lo stesso per tutti i settori che entrano in azione. Perché — se ne renda conto quella parte della classe dirigente più torpida e malevola — questo degli studenti d'ltalia e di ogni paese è il più grande movimento di libertà che sia scoppiato nel mondo: esso sta facendo giustizia di tutte le stagnazioni mentali e morali, di tabù decrepiti, di miti pigrissimi, e ci ha redento da uno stato generale di viltà e di depressione. Sappiamo benissimo che bisognerà volgere ogni sforzo verso «obiettivi intermedi», ma che non crolli mai quel muro che i giovani hanno eretto contro il passato, non ceda mai quel tanto di forza utopica (ma che poi utopica non è) utile a tener viva la volontà di combattere. Possiamo essere più o meno d'accordo sulle forme assunte o che assumerà la protesta, ma esse non modificano minimamente il giudizio positivo sulla sostanza «Le cose più interessanti che si trovano oggi in America — si legge in un capitolo della antologia Gli studenti e la nuova sinistra in America — sono i movimenti per trasformare l'America». Per trasformare. ecco il fine: così si può ripetere per ogni paese e anche per il nostro, dove il movimento si è espresso con tanta energia e intelligenza.

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