da "Giovane Critica", n.18-19 . Inverno 1968-69 |
I palestinesi cittadini
di Israele sono sempre stati trattati come migranti sebbene vivano su
queste terre da secoli, prima della creazione di Israele. Mentre
veniamo sottoposti a una discriminazione istituzionale, Israele ha
sempre tentato di salvare le apparenze ripetendo come un mantra di
essere «la sola democrazia del Medio Oriente».
Da quello che ci dicono,
però, sono la democrazia per gli ebrei: una teocrazia che ha spinto
per la creazione di un unico Stato con due sistemi separati. Uno per
la popolazione privilegiata, gli ebrei, e una per le persone di
seconda classe, arabi palestinesi cristiani e musulmani. Approvando
la legge dello Stato-nazione ebraico Israele è ufficialmente
divenuto un regime di apartheid, basato sulla supremazia ebraica.
Il punto adesso è cosa
accadrà. Anche in assenza di questa legge, che riconosce pieni
diritti politici e nazionali solo alla popolazione ebraica, esistono
già oltre 50 leggi in Israele che discriminano i cittadini non
ebrei. Ma il significato di questa legge va oltre l’immediata
discriminazione che i palestinesi cittadini di Israele subiscono
nell’accesso ai servizi: punta a consolidare il programma politico
israeliano di sotterrare la soluzione a due Stati basata sui confini
del 1967, rendendo impossibile la convivenza di due Stati
indipendenti, uno accanto all’altro, in pace e sicurezza che la
comunità internazionale, e l’Europa in particolare, ha promosso.
Il governo israeliano si
è sentito tranquillo nel promuovere la legge perché ha dietro di sé
l’amministrazione Trump. I «tre moschettieri sionisti», ovvero il
team per il Medio Oriente del presidente Trump, Greenblatt, Kushner e
Friedman, condividono la stessa ideologia radicale sionista
dell’attuale governo israeliano, non guardano ai palestinesi come
degli uguali e non sono nemmeno capaci di pronunciare termini come
«diritti palestinesi» o «Stato palestinese».
Accanto alla posizione
Usa, l’Unione europea ha rassicurato Israele in varie occasioni che
non avrebbe imposto sanzioni per le sue sistematiche violazioni del
diritto internazionale e delle risoluzioni Onu, rafforzando la
cultura dell’impunità di Israele. L’ambasciatore della Ue a Tel
Aviv insiste spesso nel ripetere che l’Unione europea e Israele
«condividono i valori della democrazia, dello Stato di diritto e del
rispetto dei diritti umani».
Ma adesso la Ue ha la
responsabilità di agire, sulla base dei suoi stessi principi.
L’Accordo di associazione Ue-Israele prevede all’articolo 2 che
«le relazioni tra le parti, così come le disposizioni dell’Accordo
stesso, devono essere basate sul rispetto per i diritti umani e i
principi democratici, che guidano la politica interna e
internazionale e costituiscono un elemento essenziale dell’Accordo».
La legge sulla
nazionalità ebraica pone tutti i palestinesi che vivono nella terra
storica di Palestina, siano cristiani, drusi o musulmani, dal fiume
Giordano al Mar Mediterraneo, dalla Galilea al deserto del Negev,
sotto il controllo di uno Stato che per legge nega loro il diritto
all’autodeterminazione. I palestinesi rappresentano oltre il 50%
della popolazione totale sotto il controllo israeliano, sia in
Israele che nei territori occupati.
La Ue intende accettare
questa realtà di apartheid come parte di quei cosiddetti «valori
comuni» con Israele? Può un qualsiasi rappresentante europeo
riferirsi a tale situazione come a quei «principi democratici» a
cui l’Accordo di associazione è condizionato?
I sostenitori di Israele,
noti come «hasbaristi», insisteranno sul fatto che alcuni cittadini
palestinesi sono membri della Knesset (parlamento) israeliano, dunque
Israele resta una democrazia. Ma la legge sulla nazionalità non
menziona mai questa parola. Ciò che conta è che quella democrazia
va al di là della nostra presenza in parlamento e che Israele non
può dunque più definirsi tale. Una proposta di legge che ogni anno
propongo sull’eguale allocazione di terre a tutti i cittadini è
sempre respinta dal governo israeliano. Ogni disegno di legge sul
valore dell’eguaglianza è automaticamente respinto.
L’etnocrazia
israeliana, questo «ufficializzato» regime di apartheid, non
cambierà finché non pagherà il prezzo del suo razzismo, della sua
arroganza e della sua sistematica violazione del diritto
internazionale. Le nazioni europee hanno di fronte una scelta: o
continuare a incoraggiare il razzismo israeliano e i suoi crimini
ignorando la realtà, o agire per salvare la prospettiva di una pace
giusta e duratura che salvaguardi i diritti di tutti, israeliani e
palestinesi, cristiani, drusi, musulmani ed ebrei.
Come primo partner
commerciale israeliano, l’Europa ha abbastanza strumenti per
fermare questa follia estremista sionista incoraggiata da Trump. Noi
rispettiamo la vostra storia e i vostri valori. Aspettiamo con ansia
di vederli e sentirli.
il manifesto 10 agosto
2018
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