Nel 2012 due uomini,
David Mullins e Charlie Craig, in procinto di sposarsi in
Massachusetts (il Colorado, dove vivevano, non ammetteva all’epoca
i matrimoni omosessuali), si presentarono in una pasticceria di
Lakewood, vicino Denver, per ordinare una torta nuziale. Il
responsabile del negozio, Jack Phillips, si rifiutò dichiarando che
una simile opera creativa, da lui realizzata, avrebbe violato le sue
convinzioni religiose.
I due gli fecero causa
presso la Commissione dei diritti civili dello Stato, che diede loro
ragione, e la Corte d’appello del Colorado confermò il verdetto;
ma il 4 giugno scorso la Corte suprema federale lo ha ribaltato, con
una maggioranza di sette a due. Particolare di rilievo: a scrivere la
sentenza è stato il giudice Anthony Kennedy, nominato alla Corte da
Reagan nel 1987 e divenuto il suo membro più indipendente dalle
affiliazioni politiche. Nel 2015 proprio Kennedy aveva fornito il
quinto voto necessario per sanzionare la legalità dei matrimoni
omosessuali in tutta la nazione, e aveva scritto la sentenza.
La parola «tolleranza»
è spesso usata, con enfasi e senza molto riflettere, per designare
una generica virtù positiva; ma, come ho mostrato nel mio libro
Prendiamola con filosofia. può accadere che la tolleranza
entri in contraddizione con sé stessa e causi l’insorgere di un
dilemma morale (o legale). Il caso che ho descritto ne è un
brillante esempio. Una coppia gay ha il diritto che vengano tollerate
le sue preferenze sessuali. D’altra parte, una persona che svolge
un lavoro creativo e in tale lavoro si esprime, ha il diritto che
vengano tollerate le sue preferenze su che cosa è disposto o non è
disposto a esprimere. E un diritto esclude l’altro; una forma di
tolleranza si oppone all’altra.
Nel mio libro auspicavo
che, di fronte a casi tanto controversi, la comunità istituisca un
dialogo interno per stabilire priorità fra i diritti che si
escludono, o eventualmente aree speciali in cui l’uno o l’altro
diritto venga sospeso. Nel caso in questione, per esempio, si
potrebbe proporre che una persona creativa che realizza un’opera
per un committente stia esprimendo non le proprie opinioni ma quelle
del committente. Non c’è speranza, però, che in un ambiente così
radicalmente partigiano come quello degli attuali Stati Uniti (o, mi
sembra, dell’attuale dappertutto) si riesca a condurre con civiltà
e spirito costruttivo un dialogo del genere. Quindi il meglio che ci
si possa aspettare è trovare una scappatoia, come quella che ha
permesso a Kennedy di raccogliere una maggioranza più corposa del
solito cinque a quattro che riflette lo scontro tra conservatori e
progressisti (con il suo voto in bilico).
La Commissione dei
diritti civili del Colorado, ahimè, si era comportata male.
Dibattendo il caso, suoi membri avevano definito la fede di Phillips
spregevole e lui stesso un bugiardo, e avevano paragonato il suo
atteggiamento a quello di chi difende la schiavitù o l’Olocausto
(senza che nessun altro membro obiettasse). Kennedy ha avuto facile
gioco a dimostrare, su queste basi, che si era manifestata
un’imperdonabile ostilità verso la religione, ben più grave del
rifiuto di un servizio da parte di Phillips.
Immagino che Kennedy,
paladino dei diritti degli omosessuali, abbia tirato un sospiro di
sollievo nel non dover affrontare il problema in tutta la sua gravità
e poterlo, di fatto, rimandare a data da destinarsi. Una data che,
peraltro, non lo riguarderà più, visto che mercoledì 27 giugno ha
annunciato il suo ritiro in pensione, lasciando questa e altre patate
bollenti nelle mani dei suoi colleghi presenti e futuri. Ma per la
filosofia le patate bollenti sono i casi più significativi e il
dibattito su di essi è quello più importante; quindi per la
filosofia questa è un’occasione mancata.
"Il Sole 24 ore Domenica", 1° luglio 2018
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