Ieri qui a Genova è
stata una giornata ignobile.
L’abbiamo passata a
cercarci al telefono, a ripensare all’ultima volta che siamo
passati su quel ponte, a quante volte abbiamo rischiato la vita.
Faceva male, fa male,
tanto che solo stasera riesco a scriverne.
Non è stato un
incidente, non una catastrofe naturale. E nemmeno un attentato
terroristico.
È stata una tragedia
nazionale, e in più di un senso.
Se crolla un ponte che è
arteria di una delle principali città di una nazione, uccidendo
persone innocenti e ignare, quella nazione dovrebbe stringersi nel
dolore e poi chiedersi cosa sia diventata.
Invece l’Italia ha
mostrato definitivamente di essere dominata dalla cultura dello
sciacallaggio.
Sciacalli al governo.
Sciacalli all’opposizione. Sciacalli i giornalisti. Sciacalli i
cittadini con le loro tifoserie ossessive.
Noi - e non solo noi di
Genova - abbiamo visto esploderci in faccia l’offesa.
E di sicuro l’apice lo
ha raggiunto il ministro dell’interno, che ha osato senza vergogna
chiamare “triste” un evento epocale e tragico come pochi dal
dopoguerra a oggi, e permettendosi di *rincuorarsi* da questa
“tristezza” con la sua meschina vittoria crudele: non aver
accolto un centinaio di persone disperate.
E, quando i cittadini
offesi gli hanno risposto, i moltissimi commenti di sdegno che gli
sono piovuti addosso sui social sono stati cancellati in buona parte.
Cancellati. Per nascondere il dissenso.
E ancora. Nell’accorgersi
di aver fatto un errore strategico, il ministro ha cercato di
mostrarsi finalmente partecipe, ma non ha trovato niente di meglio
che fare il bullo, sbraitando di punizioni esemplari contro i
colpevoli.
Niente di più. Niente di
meno.
Voglio essere molto
chiaro su questo punto, perché è cruciale.
Per decenni ci hanno
raccontato di nemici appostati negli angoli, spaventando la gente su
pericoli come il terrorismo islamico, i neri, i rom, mentre noi
veniamo massacrati da alluvioni, ponti che crollano, stupide piogge
che fanno cedere infrastrutture costruite speculando e favorendo le
mafie.
Non è questione di
punizioni o premi per una o due persone, esecrabile ministro.
La questione è vivere in
un Paese che va a pezzi letteralmente, per mano di criminali
evidenti, di criminali enormi, del crimine stesso fatto sistema.
E lei, che dovrebbe
combatterlo, il crimine vero, lei preferisce colpire gli indifesi che
cercano un porto per sopravvivere, e chi vende salvagenti sulle
spiagge.
Prima di invocare
punizioni bambinesche ai danni di un qualunque capro espiatorio, lei
avrebbe il dovere di rispettare il dolore e il terrore del popolo che
rappresenta.
Lei non è una guida, non
è un predicatore né un venditore di pentole.
Lei è un servitore dello
Stato.
E nessun suo collega,
nemmeno Erdogan, nemmeno Trump, avrebbero mancato di rispetto a una
città in lutto, solo per vantarsi di un proprio atto inutile e
crudele.
Nemmeno il peggior
piazzista di pentole avrebbe fatto qualcosa di così stupido senza
fingere, almeno fingere, di sapere che il buon governo di una nazione
civile è altra cosa dal bullismo in chiacchiere ai danni di quattro
poveretti, e non si misura con il successo (pure taroccato) di una
stupida pagina Facebook.
Stato fb, 15 agosto 2018
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