18.8.18

Ieri qui a Genova (Antonio Paolacci)


Ieri qui a Genova è stata una giornata ignobile.
L’abbiamo passata a cercarci al telefono, a ripensare all’ultima volta che siamo passati su quel ponte, a quante volte abbiamo rischiato la vita.
Faceva male, fa male, tanto che solo stasera riesco a scriverne.
Non è stato un incidente, non una catastrofe naturale. E nemmeno un attentato terroristico.
È stata una tragedia nazionale, e in più di un senso.
Se crolla un ponte che è arteria di una delle principali città di una nazione, uccidendo persone innocenti e ignare, quella nazione dovrebbe stringersi nel dolore e poi chiedersi cosa sia diventata.
Invece l’Italia ha mostrato definitivamente di essere dominata dalla cultura dello sciacallaggio.
Sciacalli al governo. Sciacalli all’opposizione. Sciacalli i giornalisti. Sciacalli i cittadini con le loro tifoserie ossessive.
Noi - e non solo noi di Genova - abbiamo visto esploderci in faccia l’offesa.
E di sicuro l’apice lo ha raggiunto il ministro dell’interno, che ha osato senza vergogna chiamare “triste” un evento epocale e tragico come pochi dal dopoguerra a oggi, e permettendosi di *rincuorarsi* da questa “tristezza” con la sua meschina vittoria crudele: non aver accolto un centinaio di persone disperate.
E, quando i cittadini offesi gli hanno risposto, i moltissimi commenti di sdegno che gli sono piovuti addosso sui social sono stati cancellati in buona parte. Cancellati. Per nascondere il dissenso.
E ancora. Nell’accorgersi di aver fatto un errore strategico, il ministro ha cercato di mostrarsi finalmente partecipe, ma non ha trovato niente di meglio che fare il bullo, sbraitando di punizioni esemplari contro i colpevoli.
Niente di più. Niente di meno.
Voglio essere molto chiaro su questo punto, perché è cruciale.
Per decenni ci hanno raccontato di nemici appostati negli angoli, spaventando la gente su pericoli come il terrorismo islamico, i neri, i rom, mentre noi veniamo massacrati da alluvioni, ponti che crollano, stupide piogge che fanno cedere infrastrutture costruite speculando e favorendo le mafie.
Non è questione di punizioni o premi per una o due persone, esecrabile ministro.
La questione è vivere in un Paese che va a pezzi letteralmente, per mano di criminali evidenti, di criminali enormi, del crimine stesso fatto sistema.
E lei, che dovrebbe combatterlo, il crimine vero, lei preferisce colpire gli indifesi che cercano un porto per sopravvivere, e chi vende salvagenti sulle spiagge.
Prima di invocare punizioni bambinesche ai danni di un qualunque capro espiatorio, lei avrebbe il dovere di rispettare il dolore e il terrore del popolo che rappresenta.
Lei non è una guida, non è un predicatore né un venditore di pentole.
Lei è un servitore dello Stato.
E nessun suo collega, nemmeno Erdogan, nemmeno Trump, avrebbero mancato di rispetto a una città in lutto, solo per vantarsi di un proprio atto inutile e crudele.
Nemmeno il peggior piazzista di pentole avrebbe fatto qualcosa di così stupido senza fingere, almeno fingere, di sapere che il buon governo di una nazione civile è altra cosa dal bullismo in chiacchiere ai danni di quattro poveretti, e non si misura con il successo (pure taroccato) di una stupida pagina Facebook.

Stato fb, 15 agosto 2018

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