In
questo letto dapprima non succede nulla. Ed è veramente grottesco
l'involontario doppio senso con cui il giovane marito l’indomani
annota nel suo diario la sola parola: «Rien».
Né le cerimonie di corte, né la benedizione vescovile del talamo
hanno potuto vincere una penosa malaugurata deficienza fisiologica
del delfino. Matrimonium non consummatum est,
non oggi, non domani e non negli anni subito seguenti. Maria
Antonietta ha trovato un nonchalant mari,
un marito trascurato. Dapprima si pensa che sia soltanto timidità,
inesperienza o nature tardive
(noi diremmo oggi: infantilismo) a inceppare lo sposo sedicenne di
fronte all'adorabile fanciulla. Non conviene insistere e turbare il
giovane già psichicamente incerto, pensa la madre esperta. Essa
esorta Antonietta a non crucciarsi troppo di quella prima delusione
coniugale: «point d’humeur là-dessus»
le scrive nel maggio 1771, e raccomanda alla figlia «caresses,
cajolis», ma senza eccessi di
tenerezze, giacché «trop d'empressement gâterait le
tout».
Quando
però tale situazione dura da un anno, da due, l’imperatrice
comincia a inquietarsi di questa «conduite si étrange»
del giovane marito. Del suo buon volere non si può dubitare, giacché
il delfino di mese in mese si mostra sempre più devoto alla sua
graziosa consorte: egli rinnova senza desistere le sue visite
notturne, i suoi vani tentativi, ma dall’estrema tenerezza lo
trattiene non si sa quale «maudit charme».
Maria Antonietta pensa si tratti soltanto di «maladresse
et jeunesse», e nella sua
inesperienza la poverina smentisce persino le «male dicerie che
circolano in paese sulla sua impotenza» (18 dicembre 1771). Ma ora
interviene la madre che fa venire il proprio medico di corte van
Swieten e con lui discute la «froideur extraordinaire du
Dauphin». Van Swieten si
stringe nelle spalle. Se una ragazzina tanto bella e affascinante non
riesce a infiammare suo marito, ogni farmaco sarà vano. Maria Teresa
continua a mandare lettere a Parigi; alla fine è il nonno, Luigi XV,
buon conoscitore e buon esperto in materia, a tenere una paternale al
nipote. Il medico di corte Lassone viene messo a parte del segreto, e
una visita stabilisce che la disgrazia del principe non ha radici
psichiche, bensì deriva da un difetto organico (una fimosi) di
nessuna gravità.
Si
susseguono i consulti per decidere se convenga l’intervento del
chirurgo col bisturi... «pour lui rendre la voix»,
come si sussurra cinicamente nelle anticamere. Anche Maria
Antonietta, nel frattempo edotta a cura delle amiche più esperte, fa
quel che può per persuadere il marito («Je travaille à
le déterminer à la petite opération, dont on a déjà parlé et
que je crois nécessaire» 1775,
alla madre). Ma Luigi XVI - il delfino nel frattempo è bensì
divenuto un sovrano, ma dopo cinque anni non ancora un marito - non
sa indursi a un'azione energica. Esita e indugia, tenta e ritenta, e
questa situazione ripugnante e ridicola si trascina con vergogna di
Maria Antonietta, con scherno della corte intera, con rabbia di Maria
Teresa, con avvilimento del re medesimo, per ulteriori due anni, cioè
complessivamente per sette terribili annate, fino al viaggio
dell’imperatore Giuseppe, che riesce a spingere il pauroso cognato
all’operazione. Soltanto allora questo melanconico Cesare
dell’amore varcherà felicemente il Rubicone. Ma il paese
dell’anima in cui entra da tardo conquistatore è già devastato da
sette anni di ridicola lotta, da duemila notti in cui Maria
Antonietta come donna e come sposa ha subito l’umiliazione estrema
del suo sesso.
da Maria Antonietta, Oscar Mondadori 1984 (I ed. Amsterdam 1948)
Nessun commento:
Posta un commento