Nel 1737 Londra non era
soltanto un luogo di rapinosa vitalità, il gran palcoscenico della
vita. Era una città torva e sordida, incredibilmente sporca -
giacché ancora non esisteva servizio municipale di nettezza urbana
-, male illuminata; non pavimentate le strade, e prive di
marciapiedi; mancavano fognature, condotti di scarico, così che ogni
sozzura si accumulava e rifluiva nel centro delle strade; i rapporti
del tempo insistono specialmente sui gatti e cani morti.
La popolazione vi era già
assai fitta, oltre mezzo milione di abitanti, sui circa sei di tutta
l’isola; ed era gente rissosa, manesca, villana, litigiosa; quando
Johnson fece un breve viaggio a Lichfield, poco dopo il suo
trasferimento a Londra, la madre gli chiese se lui, a Londra, era di
quelli che si attenevano al muro o che camminavano in mezzo alla
strada: giacché pare che le risse per questioni di precedenza
fossero frequenti e violentissime. Grande era la miseria, per cui i
suoi bassifondi brulicavano di ladri e prostitute; la Moll
Flanders di Defoe, di circa vent’anni prima, ci mostra una
città di piccoli delinquenti, miserabili e sventurati, che la
gremivano in ogni suo quartiere, illustre o povero; il gin era
pressoché l'unica e rovinosa letizia di quella gente poverissima e
incanaglita; la mortalità era assai alta, ma in confronto degli
inizi del secolo già cominciava a diminuire: per la fine del secolo
sarà calata dal 5 al 2,5%. Ma vaiolo, dissenterie, tifo
imperversavano tutto l’anno, e la mortalità infantile era
altissima. Il traffico era intenso, rapido, pericoloso: le gazzette
del tempo dànno pacato resoconto di sciagure stradali: carri si
rovesciavano, si scontravano, si sfasciavano: e la gente moriva.
Capitava di tanto in tanto che animali imbizzarriti, tori, mucche,
percorressero la città di Londra; frequenti i cani idrofobi; la
brutalità popolare si sfogava in risse, tumulti, non di rado
linciaggi: una donnetta che vendeva uova guaste venne buttata nel
Tamigi.
Vigeva allora in
Inghilterra un codice di giustizia di stolta ferocia: furti anche
modesti venivano puniti con l’impiccagione, per cui da un lato il
ladro era esortato a divenire assassino, ogni qualvolta l’omicidio
gli desse anche solo una speranza di maggior sicurezza; dall’altro
il derubato che avesse traccia di pietà in cuore, preferiva patire
un danno, piuttosto che farsi complice di un supplizio inevitabile ed
assurdo. Frequente era la pena della gogna, che toccava in special
modo ai calunniatori: nella quale categoria rientravano anche i
libellisti, i polemisti temerari, i giornalisti litigiosi; toccò
anche al Defoe, e poteva essere mortale, per la licenza che si faceva
alla plebe di bersagliare lo sventurato con sassi e legni, oltre che
con meno letali verdure; e qualcuno morì in quella morsa, solo per
l’affanno, la vergogna, e la molestia del sole e della pioggia.
Della sordida sporcizia
londinese lo stesso Johnson ci lasciò testimonianza, sebbene a
nessuno più che a lui fosse cara l’enorme città: “Delle
descrizioni che i viaggiatori ci dànno delle nazioni più
selvatiche, niente è più nauseante della mancanza di pulizia: cosa
di cui in nessuna parte del mondo si fa maggior scialo che per le
strade della capitale inglese; città insigne per ricchezze, e
traffici, e prosperità, e ogni sorta di civiltà e cortesia, ma che
abbonda di tanto sudiciume, che anche un selvaggio lo riguarderebbe
con stupore ... Chi ha trascorso anche un solo giorno in questa
grande città, ben sa che l’attuale negligenza nella pulizia delle
strade, e la mancanza di pavimentazione, non è cosa che si possa più
oltre sopportare; né tollerare che in ogni luogo buche impreviste
sorprendano e insidino il passeggero, o gli intralcino il cammino
montagne di rifiuti; e che questa generale lagnanza non abbia ancora
trovato soddisfazione, è prova bastevole che, al presente, non v’è
funzionario o magistrato capace di ottenere tanto”.
Vita di Samuel
Johnson, Adelphi, 2008
Nessun commento:
Posta un commento