Altro che la fuga in
garage dell’ex capitano dell’Atalanta Cristiano Doni. Un secolo
fa, esattamente nel 1914, al malcapitato fantino fu necessario
fuggire all’estero per sottrarsi alla rabbia degli scommettitori, i
quali scoprirono il truffaldino accordo con un bookmaker in occasione
del Gran Premio del Commercio di Milano, la manifestazione sportiva
nazionale con il premio più ricco. Le agenzie di gioco asiatiche
sulle quali puntano i giocatori italiani coinvolti nello scandalo
scommesse e gli «zingari» che circolano nei ritiri estivi per
corrompere alcuni giocatori del massimo campionato di calcio
italiano? Dilettanti rispetto ai bookmakers che operavano a bordo
campo a inizio Novecento. Le puntate venivano accettate a partita in
corso e prevedevano che lo scommettitore desse una «mancia» al
calciatore che segnava un gol. In occasione del derby giocato nel
1911 tra Genoa e Dona, le puntate arrivarono fino a 10 mila lire.
Dallo scandalo scommesse
alla prima tangentopoli dello sport il passo è breve. All’Inief
(Istituto nazionale per l’incremento dell’educazione fisica),
riconosciuto ente morale nel 1910, per la costruzione dello stadio di
Roma furono assegnate 450 mila lire, una somma che sollecitò gli
appetiti del sottobosco politico, che provvide nel giro di poco tempo
a prosciugarla del tutto. Il ministro Credano, chiamato a dar conto
in Parlamento, ammetterà il «rapinamento di fondi». Nulla da
invidiare alla lievitazione sproporzionata dei costi per la
costruzione o l’ampliamento degli stadi in occasione dei campionati
mondiali di calcio disputatisi nel 1990 in Italia.
Le giocate più
consistenti, però, le registra il ciclismo: a Milano nel 1897
scoppiano tumulti al ciclodromo Fossati dove le combine tra
concorrenti sbancano gli scommettitori. Che i fautori di imbrogli e i
maneggioni di soldi la facessero da padrone è testimoniato anche da
un’opera d’arte dello scultore Medardo Rosso, che nel 1894
denominò una sua scultura «Bookmakers». Il non plus ultra,
però, è testimoniato dalle scommesse sul tiro al piccione: i
tiratori potevano scommettere su se stessi, e a seconda della posta
in gioco, infallibili tiratori sui quali si puntava a colpo sicuro,
diventavano dei brocchi, il tutto a vantaggio di improbabili
vincitori.
Medardo Rosso, Bookmaker |
Racconta questo e molto
altro Felice Fabrizio, pioniere in Italia della storia dello sport,
che nel suo ultimo libro Fuoco di bellezza. La formazione del
sistema sportivo italiano 1861-1914 (Sedizioni), analizza il
difficile percorso della formazione delle organizzazioni sportive
italiane a livello locale e nazionale. La diffusione di società
sportive prevalentemente nel nord Italia (Torino, Milano, Genova) a
fronte di una situazione del centro sud pressoché inesistente, se si
eccettua Roma.
L’autore accenna anche
al rapporto tra il fenomeno migratorio di vaste proporzioni
verificatosi tra il 1880 e la fine del secolo e la nascita di società
sportive nei paesi di approdo degli emigranti italiani: società
ginnastiche sorgono a Marsiglia, Strasburgo, il Cairo; circoli di
velocipedisti a New York, Sao Paulo e Buenos Aires; numerose società
di canottaggio a Concepcion, Porto Alegre, Lima e Montevideo. A San
Francisco fu costituito un Comitato coloniale per lo sviluppo
dell’educazione fisica, a Santiago del Cile nel 1910 sorge l’Audax
Club Italia, mentre a Sao Paulo nel 1914 nasce Palestra Italia. A
Buenos Aires il Club Ciclistico Italiano, fondato nel 1898 conta più
di mille soci. A fondarle sono gli immigrati della prima ora, quelli
che più di altri avevano colto la necessità di accogliere i nuovi
arrivati e offrire loro momenti di collettività italiana attraverso
lo sport.
I rimpatri che si
susseguono tra il 1885 e il 1900 (il 45%) e quelli che avvengono
nella prima decade del Novecento (il 60%), rappresentano un’occasione
di contaminazione e di introduzione di pratiche sportive estranee
alla nostra tradizione. In tempi di globalizzazione, la ricerca
storica sul rapporto tra emigranti e società sportive tra Ottocento
e Novecento è un tema di estrema attualità. Felice Fabrizio ha
scritto uno dei libri più interessanti pubblicati dall’editoria
sportiva nei dieci anni del nuovo secolo e ci auguriamo che si
cimenti presto in sfide altrettanto impegnative.
Alias il manifesto, 3
marzo 2012
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