Roma 1960, Via Leutari con un vecchio vespasiano. Dalla raccolta "Roma sparita" |
“Inutile
arrossire;
è indispensabile
un generoso piano
per le latrine”
La capitale delude gli
scrittori, che colgono segni di imbarbarimento della vita cittadina?
«La macchina Roma mi sembra riottosa, sciatta e genericamente non
collaborativa» dichiara subito Giorgio Manganelli. «Tutto ciò è
nel carattere di questa onerosa capitale» prosegue, intervenendo nel
dibattito sui grandi e piccoli problemi della città. «Non l’amo
più» aveva confidato d’altronde Alberto Moravia, poche settimane
fa, in un’intervista rilasciata su queste pagine: «Dall’antichità
a oggi il piano stradale della città è salito di almeno quattro
metri: sono quattro metri di immondizie» ha sottolineato, dal canto
suo, Luigi Malerba.
Giorgio Manganelli |
«Macchina riottosa» ma
perché? Con Manganelli abbiamo parlato, fra le altre cose, di
telefoni pubblici: sono quasi sempre introvabili o guasti o
inservibili. Quando ci siano e funzionino, insperata fortuna, hanno a
fianco il distributore dei gettoni scarico. Non migliora purtroppo la
situazione allorché, spinti da urgenti necessità fisiologiche, si
cerchi un gabinetto pubblico. A Roma ne esistono pochissimi, quei
rari sono spesso sudici o addirittura infruibili.
Le eccezioni sono tali da
confermare la regola d’un diffuso disagio, d’un esteso deserto,
dove i servizi igienici sono più rari delle oasi. Far pipi è un
problema al centro, un’avventura in periferia, dove chi può
soprassiede, stringe i denti.
Non le sembra strano,
Manganelli, che nella nostra città sia cosi difficile assolvere a
dei bisogni naturali, che possono lecitamente farsi sentire in
qualunque momento della giornata e in qualsiasi luogo?
«Mi ha sempre stupito,
le dirò, l’indifferenza di qualsivoglia amministrazione romana nel
considerare gli escrementi dei cittadini. Escrementi che,
personalmente, rispetto e ritengo parte non secondaria della nostra
laboriosa sopravvivenza. Avrà notato, specie d'estate, un intenso
odore selvatico di urina fluttuare tra i Fori e il Colosseo, non
impropria ma forse enfatica allusione alle antiche belve. Di fatto il
frequentatore di Roma, che non si tenga cautamente all’ombra della
propria casa, è sfidato da inevitabili crisi: hanno attinenza
appunto a feci e orine.»
Ma come dar sfogo alle
più urgenti necessità? Roma non difetta forse di gabinetti e di
luoghi di «comodo»?
«Accade a me come a
tutti, credo, di avere in mente una mappa di luoghi idonei. Dai quali
dobbiamo purtroppo escludere i rari cessi pubblici, dispettosi e
torvi lazzaretti cui non oserei abbandonare la mia orfana orina.
Dunque si va a caccia di vespasiani, si istituiscono trattative con
librerie di cui si finisce per diventare maniacali clienti. Si
tengono presenti i rari bar, che ci conoscono come indenni da droga.
Ora questa macchinosa decifrazione dei luoghi utopici del “comodo”
dà inevitabilmente un carattere predatorio al rapporto con Roma, che
nuoce forse alla delibazione dei fasti estetici della città. Resta
il problema dei numerosi stranieri costretti a pianificare in modo
coatto tempi e percorsi.»
Può fare qualche
esempio, che illustri meglio il grave problema?
«Rammenterò quanto
accaduto a un mio amico medico che, in settimane agostane, badava al
suo dovere di pediatra. Mentre entrava in macchina, reduce da una
visita in periferia, venne colto da atroci dolori addominali. Era nel
cuore di una città dai portoni chiusi e dalle serrande abbassate.
Allora sudore e tremito si impossessarono dello sventurato: fini per
cadere cosi in una forma di delirio e meditò soluzioni temerarie. La
più saggia delle quali era defecare nel bagagliaio della propria
automobile, chiudendovisi dentro. Non rammento la conclusione.»
Lamenta, insomma, che
nessuno provveda a dotare la città dei necessari servizi igienici?
«Quella che potremmo
chiamare una saggia politica degli escrementi è totalmente assente
da qualsivoglia programma, che prometta a Roma gioie sportive,
diletti culturali e altre felicità dell’anima. È bene diffidare
dell’anima, che tende facilmente ad arrossire quando si parla delle
nostre umili, anonime feci. Ma credo che un nobile, intenso, generoso
piano delle latrine sia indispensabile per restituire a questa
capitale, già definita onerosa, una grazia che ci pare in pericolo
grave e imminente.»
Corriere della sera, 31
marzo 1985
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