Fatevi una fotografia e
mettetela online tramite un’applicazione gestita
dall’amministrazione locale. Basterà poi aggiungere il numero del
documento di identità e, se siete a Shanghai, in ventiquattr’ore
il governo spedirà sul vostro smartphone tutte le informazioni che
ha su di voi.
Scuole frequentate,
situazione contributiva, multe, stato di famiglia e chi più ne ha
più ne metta. Se siete stati bravi e avete tutte le carte in regola,
riceverete anche un premio: un buono sconto per l’acquisto di un
biglietto aereo o l’accesso alla lounge di lusso di determinate
sale d’attesa. E se invece siete stati cattivi?
Ancora non lo sappiamo.
Ma con ogni probabilità l’anno prossimo potremmo puntare
l’obiettivo del nostro smartphone sul nostro vicino di casa e
sapere tutto di lui. O almeno saperne quanto ci vorrà far sapere il
governo. Già oggi, con la stessa applicazione – il cui nome
potrebbe tranquillamente tradursi “Shanghai onesta” – possiamo
conoscere gli standard di igiene dei ristoranti di quartiere e la
reputazione delle aziende che operano sul territorio.
La sperimentazione,
iniziata lo scorso novembre su base volontaria, non è unica. In giro
per la Cina sono almeno trenta i governi locali che stanno cercando
di raggiungere prima e meglio l’obiettivo fissato da Pechino per il
2020: il “credito sociale”, un sistema che valuti con ogni
strumento disponibile il comportamento di ogni persona fisica o
giuridica che risiede nella Repubblica popolare. Per quella data,
secondo il governo cinese, «la fiducia regnerà sotto il cielo
perché sarà difficile per chi è stato screditato compiere anche un
singolo passo». D’altronde sempre nel 2020, dovrebbe essere
ultimata la «costruzione di una società moderatamente prospera». O
meglio, questi sono i piani della leadership.
La Cina è vicina
Sappiamo cosa state
pensando: la Cina è diversa da noi. Ma le tecnologie per il
controllo totale dei cittadini che le autorità cinesi stanno
sperimentando con la collaborazione delle aziende digitali locali,
sono un modello per i colossi della Silicon Valley. Certo, esiste una
differenza: in Cina a progettare e costruire il sistema è uno Stato
autoritario, mentre in Occidente è un oligopolio di aziende private.
Ma la strategia del governo di Pechino ci indica le possibilità che
le nuove tecnologie digitali offrono nel plasmare una società.
Quello cinese è di fatto
il più ambizioso esperimento di controllo digitale nel mondo e, se
tutto va secondo i piani quinquennali, in meno di tre anni
coinvolgerà quasi un miliardo e quattrocento milioni di persone.
Come sottolinea Larry Catá Backer, professore di legge e affari
internazionali dell’Università statale della Pennsylvania, «le
implicazioni del “credito sociale” sulla gestione delle
informazioni e delle scelte di individui, aziende e organizzazioni,
sono troppo potenti per essere ignorate dal resto del mondo». Ma «è
troppo presto per esprimere qualcosa che sia di più di una mera
speculazione perché ancora non è chiaro come questo sistema
funzionerà e su quali algoritmi lavorerà».
Prima ancora che a
Shanghai, il “credito sociale” è stato sperimentato su scala più
piccola e in forma più grossolana nella contea di Suining, 1.500
chilometri più a ovest. Dal 2010 il governo locale dà e leva punti
ai suoi cittadini sulla base dei loro comportamenti. Chi ottiene i
punteggi più alti, è facilitato nell’ottenere una promozione o
una casa popolare. Nella pratica l’esperimento è stato un disastro
che persino i media di Stato hanno criticato. Si è visto che i
punteggi ottenuti hanno a che fare più con l’obbedienza che con la
qualità delle persone. Chi si lamenta per un torto subito dalle
autorità va indietro nella graduatoria, ma non è detto che il
sistema produca efficienza.
Niente di nuovo per uno
Stato totalitario ossessionato dalle liste. Il sistema evoca quello
delle dang’an, i dossier con cui il partito comunista ha
sempre tenuto traccia del comportamento dei “suoi” lavoratori. Ma
nell’era del web 2.0, la quantità di dati a cui è possibile
accedere è notevolmente più alta. Soprattutto quando si prendono in
considerazione le abitudini di spesa degli utenti-cittadini.
Vite ridotte ad
algoritmi
La strada l’ha
tracciata la branca finanziaria del gigante di commercio elettronico
Alibaba. Si chiama Zhima xinyong fen: «punteggio sesamo». Si tratta
di un complesso intreccio di algoritmi ideato al fine di tracciare le
abitudini di spesa degli internauti cinesi e valutarne l’affidabilità
per ottenere un eventuale prestito. I punteggi, però, non sono
calcolati solo sulla base del denaro speso online da un singolo
individuo, ma anche del comportamento dei suoi “amici virtuali”.
Il sistema è nato da
un’esigenza reale: cercare di orientarsi in un mercato in forte
crescita. In Cina crediti, finanziamenti, mutui, pagamenti online e
carte di credito sono esplosi improvvisamente: oggi più del 30 per
cento dei cinesi possiede una carta di credito, il doppio rispetto ad
appena cinque anni fa. Così, all’inizio del 2015, la Banca
centrale cinese ha autorizzato otto aziende a sviluppare progetti
pilota per valutare i cittadini. L’obiettivo dichiarato è quello
di creare un metodo utilizzabile a livello nazionale entro il 2020
che, oltre alla solvibilità, possa valutare i cittadini attraverso i
loro comportamenti online. Letteralmente il sistema dovrà
«accrescere l’onestà mentale e i livelli di credibilità
dell’intera società». Questo vale anche per le aziende, che
dovranno «autoregolamentarsi» per assecondare i dettami
governativi.
Secondo Flora Sapio –
membro del consiglio direttivo della Fondazione per la legge e gli
affari internazionali (Flia, una non profit che ha sede a Washington)
che si sta occupando proprio di esplorare le sue implicazioni globali
di questo sistema – «se implementato correttamente, il “credito
sociale” potrebbe contribuire al miglioramento del mercato e al
controllo dei comportamenti scorretti da parte di cittadini e
aziende».
Zhu Shaoming, presidente
della stessa Fondazione, aggiunge che «quando il sistema per
definire il “credito sociale” verrà definito e accettato,
diventerà un modello per il resto del mondo». Per questo «è
estremamente importante stabilire sin d’ora come i dati verranno
gestiti e protetti. E quali saranno gli spazi di privacy non
monitorati». Perché – a parer suo – dovranno esserci. Ma non è
affatto detto.
Il modello WeChat
Tencent, che è un altro
dei giganti digitali a cui è stata accordata la licenza della Banca
centrale cinese per i progetti pilota di valutazione, ha sviluppato
un sistema simile al “punteggio sesamo”. Il suo prodotto di punta
è WeChat che, nato come un sistema di messaggistica, è una
super-app progettata per fare in modo che gli utenti non sentano la
necessità di uscire dall’applicazione.
Oggi WeChat ha quasi 900
milioni di utenti attivi e il 45 per cento di loro ha smesso di
portarsi dietro contante per pagare esclusivamente via smartphone.
Che cosa? Tutto. Con il portafoglio virtuale di WeChat si può fare
la spesa online e offline. Ma si possono anche scambiare soldi tra
utenti, pagare le bollette, il taxi o i biglietti del treno. Questo
significa che Tencent conosce perfettamente le abitudini di oltre 400
milioni di cinesi. Sa dove e a che ora si svegliano, quali notizie
controllano mentre fanno colazione, con quale mezzo di trasporto
vanno a lavoro, e quanto tempo impiegano. Sa cosa mangiano in pausa
pranzo, chi sono i colleghi di lavoro, le persone con cui
interagiscono di più, quelle a cui mandano foto e video. Sa dove
abitano, se comprano farmaci o se per il fine settimana vanno fuori
città. Sa se fumano, se fanno la spesa per figli o genitori, se
viaggiano, se quando viaggiano hanno incontri occasionali e,
eventualmente, anche con chi. Ma sa anche se chattano di politica e
se condividono contenuti «non armonici al sistema».
Una vita in
streaming
Quella realizzata da
WeChat è una condizione non molto diversa da quella immaginata da
Dave Eggers nel romanzo Il Cerchio (Mondadori, 2014), da poco
divenuto anche un film. Lo scrittore statunitense ipotizza una
società dominata da una gigantesca azienda privata (Il Cerchio: più
potente di Google, più penetrante di Facebook e più coinvolgente di
Apple) che ha conquistato il monopolio dell’attività in rete a tal
punto da indurre ogni “cittadino-utente” a vivere in una sorta di
streaming permanente della propria vita. Il giudizio in diretta del
resto della società costringe chiunque a un’esistenza artefatta,
condotta in funzione dei propri spettatori online.
TrueYou, questo il nome
del social network totalizzante nato dalla fantasia di Eggers, è
frutto di una distopia che a Pechino si sta avvicinando
pericolosamente alla realtà. Come nel romanzo, infatti, in Cina
mancano gli anticorpi dell’opposizione tra privati e Stato e della
libera concorrenza, che in tante situazioni hanno “salvato” il
mondo occidentale. Un anno e mezzo fa le grandi aziende della Silicon
Valley si opposero strenuamente alla richiesta avanzata da un giudice
federale ad Apple perché fornisse alle autorità l’accesso
(backdoor) a un iPhone utilizzato da un terrorista. Una scelta –
pur criticata da molti politici, tecnici e giornalisti –, che
dimostra comunque come le aziende digitali occidentali possano
opporsi allo Stato. Ma che, di fronte alla minaccia del terrorismo,
potrebbe essere messa in discussione anche nel “mondo libero”.
In molti stanno lavorando per arrivare a una conoscenza sempre più minuziosa della vita delle persone, con obiettivi diversi. In generale i privati mirano a una pubblicità sempre più pervasiva, mentre le istituzioni sono alla ricerca di una sorveglianza sempre più efficiente in nome della sicurezza.
In molti stanno lavorando per arrivare a una conoscenza sempre più minuziosa della vita delle persone, con obiettivi diversi. In generale i privati mirano a una pubblicità sempre più pervasiva, mentre le istituzioni sono alla ricerca di una sorveglianza sempre più efficiente in nome della sicurezza.
Intelligence e
privacy
Se analizziamo i dati
raccolti dal governo cinese per la creazione del “credito sociale”
troviamo immediatamente analogie con la ricerca di informazioni utili
che l’Agenzia per la sicurezza statunitense (Nsa) ha condotto
spiando, illecitamente, cellulari e conversazioni di milioni di
persone in tutto il mondo. “Shanghai onesta” presenta inquietanti
analogie anche con i sistemi “pre-crimine” utilizzati da Fbi e
diversi tribunali americani per individuare e catalogare i potenziali
sospetti. Ne sono esempi il modello computerizzato con cui la polizia
di Chicago ha stilato un elenco di 1.400 soggetti con elevate
probabilità di essere coinvolti in una sparatoria (Stategic Subject
List) o l’algoritmo che nella cittadina di Broward in Florida
valuta il rischio di recidività dei criminali (Compas: Correctional
Offender Management Profiling for Alternative Sanctions).
Diverse associazioni per
i diritti civili e il sito di giornalismo investigativo ProPublica
hanno criticato questi software perché nell’attribuzione dei
famigerati punteggi avrebbero discriminato i soggetti coinvolti per
sesso, religione e colore della pelle. Bisogna inoltre considerare
che la quantità di dati a cui ha accesso un governo democratico non
è nulla se confrontata a quelli posseduti dai giganti del web.
Tracciare i
pagamenti
Questi ultimi – in
Occidente – dichiarano di combattere i metodi dello Stato
autoritario, ma non sembrano immuni dalla tentazione di scavalcare le
garanzie sulla privacy per accedere a numero sempre maggiore di dati.
E su questa strada stanno compiendo passi da gigante. Per dimostrare
che la pubblicità online influenza anche lo shopping tradizionale,
Google ha stretto accordi con società esterne per monitorare gli
acquisti offline del 70 per cento delle carte di credito attive negli
Stati Uniti. Ma tutte le grandi aziende digitali americane hanno
avviato tentativi di raccolta di dati analoghi e introdotto sistemi
di pagamento sulle loro piattaforme. Apple e Samsung Pay permettono
di utilizzare lo smartphone invece della carta di credito per pagare
nei negozi. Snapchat, Messenger e WhatsApp consentono lo scambio
diretto di denaro attraverso la messaggistica istantanea, una
funzione che in Italia non è ancora disponibile. Google, come
WeChat, è attivo su entrambi i fronti con Android Pay e Wallet.
Amazon, forte delle sue radici nell’e-commerce, sta mettendo a
punto un’applicazione simile a PayPal per permettere ai suoi utenti
di utilizzare il loro account anche per comprare su altri siti. Il
modello è Alipay, il portafoglio elettronico creato dal suo omologo
cinese Alibaba. L’idea è quella di fare concorrenza a PayPal –
ad oggi l’unico sistema di pagamento online alternativo a quello
bancario divenuto maistream – e di agevolare e “disintermediare”
gli acquisti, eliminando cioè il passaggio gestito dalle banche.
Certo, è ancora necessario possedere una carta di credito o una
prepagata ma il rischio che gli istituti di credito tradizionali
perdano importanza e considerevoli margini di profitto sulle
transazioni dell’economia reale è concreto (Vedi scheda).
Verso un’app
unica
Se vi state chiedendo per
quale ragione Apple, Google e gli altri stanno cercando di aggiungere
questo tassello al loro complesso mosaico, la risposta è semplice:
espandersi al punto di evitare che gli utenti escano dalle loro
applicazioni per utilizzare quelle dei concorrenti. Proprio come
WeChat, l’idea è quella di offrire un pacchetto di servizi e di
esperienze che sia totalizzante. Se su Facebook, oltre a seguire gli
aggiornamenti dei miei amici e chiacchierare con loro, posso anche
vedere una pubblicità e acquistare l’oggetto in questione senza
dover fare passaggi intermedi o aggiungere codici, perché mai dovrei
uscire dall’universo creato da Mark Zuckerberg? Inoltre, gestendo i
pagamenti, i colossi It avranno accesso a un nuovo pozzo del petrolio
dell’epoca contemporanea: i big data.
È anche questa la
ragione per cui i colossi della Silicon Valley stanno investendo
miliardi sull’intelligenza artificiale (I.A.). Oltre a ottimizzare
tempi e passaggi, l’I.A. all’interno dei nostri smartphone,
registra cosa facciamo e come lo facciamo in ogni momento della
nostra vita. A cosa servono se non a questo i sistemi di
geo-localizzazione, gli assistenti vocali e le applicazioni di realtà
aumentata per la fotocamera, che attraverso tecnologie di
riconoscimento dei volti e degli oggetti mostrano ai server centrali
dei colossi del web esattamente ciò che stiamo inquadrando? È un
modo per raccogliere informazioni ancora più diversificate su
interessi, gusti e potere d’acquisto degli utenti e sviluppare
forme di pubblicità e targhettizzazioni ancor più mirate. Per
offrirci quello che vogliamo, il Grande Fratello digitale deve
guardare attraverso i nostri occhi e sentire attraverso le nostre
orecchie. Deve divenire parte integrante della nostra esistenza,
eliminare le distinzioni tra mondo digitale e reale e personalizzare
al massimo i servizi offerti tarandoli sulle esigenze dei singoli
individui.
In sostanza,
l’aspirazione ultima di Apple, Google, Amazon e Facebook è
l’onniscienza. Per conseguirla devono essere onnipresenti nelle
nostre vite e monopolizzare i processi che avvengono in rete.
Esattamente quello che stanno tentando di fare insieme Tencent e il
governo cinese. E il motto potrebbe essere proprio quello del
distopico TrueYou del romanzo Il Cerchio: «Se non sei
trasparente, cos’hai da nascondere?».
pagina 99, 16 giugno 2017
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