Gli obiettivi indicati
potrebbero, a mio avviso, diventare parole d'ordine per il movimento
antirazzista. Non ci si può muovere solo in risposta agli atti di
guerra di un ministro che alimenta e usa la xenofobia per affermare e
consolidare la presa del potere. Bisogna organizzare mobilitazioni e
avanzare rivendicazioni a Bruxelles, Strasburgo e in tutte le
capitali europee. (S.L.L.)
Come ogni estate si
infittisce il flusso dei migranti nel Mediterraneo verso l’Europa.
Prima lungo le rotte balcaniche, oggi – di nuovo – lungo la rotta
libica. E, oggi come ieri, i morti durante le traversate si contano a
migliaia.
A fronte di ciò la
vulgata è che bisogna finirla con il buonismo e prendere atto
che per rifugiati e migranti non c’è posto né in Italia né in
Europa, se non in quote minime. E, “a difesa dell’Europa”,
rispuntano muri e reticolati (talora reali, talaltra metaforici ma
non meno gravi). Eppure la pratica del rifiuto, lungi dal fondarsi su
dati e fatti, poggia su luoghi comuni, falsi, chiacchiere che
acquistano dignità di argomenti solo grazie alle ripetizioni
ossessive di imprenditori dell’odio e della paura, non
sufficientemente confutate dai “benpensanti”. I dati sono noti:
lo scorso anno in Italia, per la prima volta da quasi un secolo, il
numero dei residenti è diminuito di oltre 60.000 unità. In altri
termini: gli arrivi dei migranti che si stabi-lizzano nel nostro
Paese e i nuovi nati non compensano i decessi e le emigrazioni degli
italiani (pari ormai, ogni anno, a circa 100.000). Ciò significa
che, senza migranti, la nostra popolazione crollerebbe negli anni e
subirebbe un invecchiamento senza precedenti con conseguenze
devastanti in termini economici, sociali, di sviluppo. Dov’è,
dunque, l’invasione di nuovi barbari proclamata da politici e
giornalisti senza scrupoli?
Sul versante di
provenienza dei migranti la situazione è altrettanto nota: guerre e
disuguaglianze crescenti stanno provocando nel mondo – soprattutto
in Africa e in Medio Oriente – un vero e proprio esodo: 60 milioni
di persone in fuga alla ricerca di rifugio, secondo l’Onu, nel solo
2014, l’esodo più rilevante dalla fine della seconda guerra
mondiale.
Orbene, di quei 60
milioni la stragrande maggioranza si sposta nei paesi vicini a quello
di chi fugge o ai confini del Mediterraneo (in particolare, tra
questi ultimi, la Turchia e il Libano), mentre nell’intera Europa,
in tutto il 2015, sono arrivati complessivamente non più di un
milione di profughi (di cui circa 150.000 in Italia). Una goccia in
una popolazione dell’Unione europea di 500 milioni (e dell’Italia
di oltre 60 milioni di abitanti).
Ragione e buon senso
(prima ancora che senso di fratellanza o motivi umanitari) dicono,
dunque, una cosa univoca: che un governo razionale dei flussi
migratori nel nostro continente è esatta-mente l’opposto di quello
che si prospetta, fondato sulla (promessa) predisposizione di aiuti
economici ai paesi di provenienza (per eliminare le ragioni della
fuga dei migranti) e sulla realizzazione di giganteschi campi di
accoglienza ai confini dell’Europa (oggi in Turchia, domani in
Libia).
Scontata l’importanza e
la necessità, nel lungo periodo, di politiche internazionali giuste,
rispettose e lungimiranti, è evidente che, nei tempi brevi e medi,
il refrain degli aiuti nei paesi di origine è solo un vecchio
ritornello di stampo colonialista che, anche quando (in verità assai
di rado) proposto in buona fede, non tiene conto del fatto che nei
pa-esi di origine dei migranti in cerca di rifugio umanitario (Siria,
Iraq, Palestina, Eritrea, Somalia, Su-dan, Afganistan…) e nella
stessa Libia sono in atto guerre civili risalenti, per lo più
alimentate da politiche e armamenti occidentali, e che non si vede
come eventuali aiuti economici ai governi potrebbero andare a
beneficio di popolazioni sconvolte dai conflitti. Parallelamente la
realizzazione di campi di accoglienza (o, più esattamente, di campi
di concentramento) ai confini dell’Europa non risolverebbe in alcun
modo il problema, ma semplicemente lo occulterebbe per qualche tempo
(regalando, nel contempo, somme enormi a governi che violano ogni
giorno i più elementari diritti umani).
Per governare
efficacemente e in modo equo i flussi migratori qui e ora è
necessario intervenire su altri piani. Due in particolare: creare
corridoi umanitari per consentire a donne, uomini e
bambini in fuga di raggiungere i paesi europei a cui aspirano
(eliminando l’anacronistica e ingiustificata previsione del
trattato di Dublino che li costringe alla permanenza nel paese di
primo approdo) e prevedere, negli Stati di arrivo, permessi di
soggiorno provvisorio per motivi umanitari idonei che consentano un
lavoro regolare e la possibilità di spostamento all’interno dei
paesi di Schengen. A chi definisce questa scelta economicamente
insostenibile è agevole rispondere con i fatti: il numero di chi
cerca rifugio in Europa è, come si è visto, modesto; gli arrivi
clandestini sarebbero disincentivati in misura massiccia se non in
toto; il carattere regolare e programmato dei flussi consentirebbe
politiche di accoglienza organizzate e strutturate; i costi, per i
paesi di destinazione, sarebbero di gran lunga inferiori a quelli
oggi sostenuti per il pattugliamento del mare e per il finanziamento
dei campi di accoglienza ai confini del continente.
Il problema – va detto
con chiarezza – non sta nei migranti ma nella mancanza di politiche
adeguate nei loro confronti. Mancanza che crea un circolo vizioso di
incomprensione e di rifiuto assai rischioso per l’intero sistema di
convivenza tra popoli e individui.
"Narcomafie", luglio - agosto 2016
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