28.8.18

Quali interventi per i flussi migratori? (Livio Pepino)

L'articolo pubblicato su “Narcomafie”, la rivista del gruppo “Abele” del luglio-agosto 2016, va forse aggiornato nei dati statistico-demografici, ma resta sostanzialmente valido. L'invasione non c'era allora e non c'è adesso: i dati italiani ed europei lo dimostrano. Il testo di Pepino ha peraltro un pregio che non si ritrova spesso: chiarezza sulle proposte.
Gli obiettivi indicati potrebbero, a mio avviso, diventare parole d'ordine per il movimento antirazzista. Non ci si può muovere solo in risposta agli atti di guerra di un ministro che alimenta e usa la xenofobia per affermare e consolidare la presa del potere. Bisogna organizzare mobilitazioni e avanzare rivendicazioni a Bruxelles, Strasburgo e in tutte le capitali europee. (S.L.L.)


Come ogni estate si infittisce il flusso dei migranti nel Mediterraneo verso l’Europa. Prima lungo le rotte balcaniche, oggi – di nuovo – lungo la rotta libica. E, oggi come ieri, i morti durante le traversate si contano a migliaia.
A fronte di ciò la vulgata è che bisogna finirla con il buonismo e prendere atto che per rifugiati e migranti non c’è posto né in Italia né in Europa, se non in quote minime. E, “a difesa dell’Europa”, rispuntano muri e reticolati (talora reali, talaltra metaforici ma non meno gravi). Eppure la pratica del rifiuto, lungi dal fondarsi su dati e fatti, poggia su luoghi comuni, falsi, chiacchiere che acquistano dignità di argomenti solo grazie alle ripetizioni ossessive di imprenditori dell’odio e della paura, non sufficientemente confutate dai “benpensanti”. I dati sono noti: lo scorso anno in Italia, per la prima volta da quasi un secolo, il numero dei residenti è diminuito di oltre 60.000 unità. In altri termini: gli arrivi dei migranti che si stabi-lizzano nel nostro Paese e i nuovi nati non compensano i decessi e le emigrazioni degli italiani (pari ormai, ogni anno, a circa 100.000). Ciò significa che, senza migranti, la nostra popolazione crollerebbe negli anni e subirebbe un invecchiamento senza precedenti con conseguenze devastanti in termini economici, sociali, di sviluppo. Dov’è, dunque, l’invasione di nuovi barbari proclamata da politici e giornalisti senza scrupoli?
Sul versante di provenienza dei migranti la situazione è altrettanto nota: guerre e disuguaglianze crescenti stanno provocando nel mondo – soprattutto in Africa e in Medio Oriente – un vero e proprio esodo: 60 milioni di persone in fuga alla ricerca di rifugio, secondo l’Onu, nel solo 2014, l’esodo più rilevante dalla fine della seconda guerra mondiale.
Orbene, di quei 60 milioni la stragrande maggioranza si sposta nei paesi vicini a quello di chi fugge o ai confini del Mediterraneo (in particolare, tra questi ultimi, la Turchia e il Libano), mentre nell’intera Europa, in tutto il 2015, sono arrivati complessivamente non più di un milione di profughi (di cui circa 150.000 in Italia). Una goccia in una popolazione dell’Unione europea di 500 milioni (e dell’Italia di oltre 60 milioni di abitanti).
Ragione e buon senso (prima ancora che senso di fratellanza o motivi umanitari) dicono, dunque, una cosa univoca: che un governo razionale dei flussi migratori nel nostro continente è esatta-mente l’opposto di quello che si prospetta, fondato sulla (promessa) predisposizione di aiuti economici ai paesi di provenienza (per eliminare le ragioni della fuga dei migranti) e sulla realizzazione di giganteschi campi di accoglienza ai confini dell’Europa (oggi in Turchia, domani in Libia).
Scontata l’importanza e la necessità, nel lungo periodo, di politiche internazionali giuste, rispettose e lungimiranti, è evidente che, nei tempi brevi e medi, il refrain degli aiuti nei paesi di origine è solo un vecchio ritornello di stampo colonialista che, anche quando (in verità assai di rado) proposto in buona fede, non tiene conto del fatto che nei pa-esi di origine dei migranti in cerca di rifugio umanitario (Siria, Iraq, Palestina, Eritrea, Somalia, Su-dan, Afganistan…) e nella stessa Libia sono in atto guerre civili risalenti, per lo più alimentate da politiche e armamenti occidentali, e che non si vede come eventuali aiuti economici ai governi potrebbero andare a beneficio di popolazioni sconvolte dai conflitti. Parallelamente la realizzazione di campi di accoglienza (o, più esattamente, di campi di concentramento) ai confini dell’Europa non risolverebbe in alcun modo il problema, ma semplicemente lo occulterebbe per qualche tempo (regalando, nel contempo, somme enormi a governi che violano ogni giorno i più elementari diritti umani).
Per governare efficacemente e in modo equo i flussi migratori qui e ora è necessario intervenire su altri piani. Due in particolare: creare corridoi umanitari per consentire a donne, uomini e bambini in fuga di raggiungere i paesi europei a cui aspirano (eliminando l’anacronistica e ingiustificata previsione del trattato di Dublino che li costringe alla permanenza nel paese di primo approdo) e prevedere, negli Stati di arrivo, permessi di soggiorno provvisorio per motivi umanitari idonei che consentano un lavoro regolare e la possibilità di spostamento all’interno dei paesi di Schengen. A chi definisce questa scelta economicamente insostenibile è agevole rispondere con i fatti: il numero di chi cerca rifugio in Europa è, come si è visto, modesto; gli arrivi clandestini sarebbero disincentivati in misura massiccia se non in toto; il carattere regolare e programmato dei flussi consentirebbe politiche di accoglienza organizzate e strutturate; i costi, per i paesi di destinazione, sarebbero di gran lunga inferiori a quelli oggi sostenuti per il pattugliamento del mare e per il finanziamento dei campi di accoglienza ai confini del continente.
Il problema – va detto con chiarezza – non sta nei migranti ma nella mancanza di politiche adeguate nei loro confronti. Mancanza che crea un circolo vizioso di incomprensione e di rifiuto assai rischioso per l’intero sistema di convivenza tra popoli e individui.

"Narcomafie", luglio - agosto 2016

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