La direttrice della “scuola di formazione politica” del Pd, che si è svolta a Cortona, sul modello della “scuola” inventata a Gubbio da Baget Bozzo per Forza Italia, nel concludere oggi il corso, si è dichiarata soddisfatta, ma si contentava di poco: 360 partecipanti, più della metà donne, più del 60% con meno di 26 anni. “Evviva – ha detto - non è vero che i partiti sono finiti, il nostro c’è. E per di più a far scuola ci hanno aiutati i sindacati e Confindustria. Grazie”. Poi ha presentato Bersani.
Nel discorso del segretario due cadute di stile. La prima, lieve, soltanto sua: “La Lega ci fa un baffo”. Nella seconda coinvolge il pubblico: “Tra i lavoratori c’è incertezza, c’è delusione, c’è scogliona…” - e qui viene interrotto da un fragoroso applauso. Anche nel Pd, insomma, si sono ingaglioffiti e per scaldare il cuore hanno bisogno delle parolacce.
Eppure il segretario aveva iniziato volando alto: “C’è una crisi della democrazia – dice – e non è solo italiana”. E non aveva parlato di Iran, Russia e Venezuela, ma anche dell’avanzare in Europa di un populismo con connotati razzisti e dello svuotarsi progressivo delle istituzioni democratiche in Occidente. Aveva proposto una spiegazione seria (e storicamente fondata): la democrazia è in difficoltà perché con la crisi aumentano le disuguaglianze e l’esclusione.
Della crisi Bersani dà una lettura, tutto sommato, classica: è crisi da sovraproduzione. “Non buttiamo – dice - tutta la croce addosso alla finanza e alle banche. Avevano anzi avuto un grande ruolo nella grande crescita legata all’informatica e alle telecomunicazioni, avevano perfino creato nuovi strumenti per mettere in moto i capitali. Poi il circolo virtuoso s’è spezzato nel tentativo di spingere i consumi con l'indebitamento generale”.
Come uscirne? Per Bersani la chiave è proprio il rilancio dei consumi, specie popolari, sostenuti questa volta da un aumento del monte salari e dal welfare. La linea del governo italiano e di tanti governi di contrarre i consumi interni e di puntare sulle esportazioni è folle: dove esporti se dappertutto si riducono i consumi? Non ha dubbi, Bersani, sul dove prendere le risorse: le rendite di ogni tipo, che sono cresciute moltissimo, nonostante la crisi. La proposta è pertanto il vecchio patto tra i produttori: l’alleanza tra lavoro e impresa per colpire posizioni di rendita e indebito privilegio. Una lunga sezione del discorso, con riferimenti letterari (Sofocle) e filosofici (un Marx “riformista” e il personalismo cristiano), è dedicata al lavoro. C’è peraltro il solito chiarimento che in realtà confonde le idee: lavoro, per Bersani non è soltanto quello subordinato, perché anche l’artigiano chiama “lavoro” le commesse e si lamenta quando “non c’è lavoro”. L'indeterminatezza continua, ma rispetto a Veltroni che aveva indicato Callearo come “lavoratore” è comunque un passo avanti. Il peggio di Bersani non è comunque in quel che dice, ma in quello che non dice. Chi non fa parola su Pomigliano, sulle politiche contrattuali di Fiat e Confindustria, di Cisl e Uil, sull’attacco ai diritti dei lavoratori, sulla manifestazione della Fiom del 16 ottobre, in realtà non racconta il lavoro, ma sparge fumo tutto intorno. Questo era, in ultima analisi, il discorso di Bersani a Cortona. Solo fumo.
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