Di Pietro, differenziandosi da Bersani, dice: “Io alla vigilia del referendum ho detto che non chiedevo un voto contro il governo, ma contro il nucleare, per l’acqua pubblica e la giustizia uguale per tutti. Il sì non è venuto solo da elettori di opposizione, ma anche da elettori del centro-destra. Pertanto non chiedo le dimissioni di Berlusconi”.
La rigorosa coerenza che Di Pietro rivendica e la sottintesa critica che rivolge al segretario del Pd sono in questo caso assolutamente ingiustificate. Il risultato dei referendum, quorum ampiamente raggiunto e maggioranza bulgara di sì su tutti, giustifica la valutazione di Bersani: “C’è un divorzio tra il governo e la grande maggioranza dei cittadini di questo paese”. Direi di più: c’è un divorzio tra il governo e la realtà.
Va aggiunto che la valanga di sì non su uno, ma su tutti e quattro i quesiti proposti per la votazione, significa che il dissenso della maggioranza assoluta degli elettori non riguarda questo o quell’altro punto della politica del governo, ma il suo indirizzo complessivo.
Questo governo ha sempre considerato punti qualificanti della sua politica le privatizzazioni dei servizi pubblici essenziali e ha favorito la nascita di società ed altri comitati d’affari per impadronirsi della loro gestione.
Questo governo non solo ha fatto del nucleare l’asse delle politica energetica di un futuro piuttosto lontano (le centrali in questione sarebbero entrate in funzione nel duemilaventitrè-ventitrè), ma ne ha fatto l’intervento di politica industriale più rilevante dell’oggi, l’unico su cui si sono già spesi soldi veri e si pensava da subito di spenderne molti di più per le opere di preparazione e sostanziale militarizzazione del territorio.
Questo governo, infine, ha sempre rivendicato per il “leader eletto dal popolo” e “unto dal Signore” una giustizia speciale, diversa e distinta da quella del cittadino comune.
Insomma è l’intera politica della destra ad essere condannata dai referendum e perciò non solo è legittimo ma è doveroso per l’opposizione chiedere a Berlusconi di andarsene; e non solo con le dichiarazioni, ma con gli strumenti parlamentari più idonei: la mozione di sfiducia, qualora nel passaggio parlamentare del 22 giugno prossimo il governo non presentasse una sua mozione di fiducia.
Ridicoli appaiono peraltro i tentativi di minimizzazione da parte da alcuni esponenti della maggioranza, i La Russa, i Quagliariello, il clericale Lupi, il redivivo Capezzone, mentre è sparita la Santanché (chissà chissà perché!).
Quando telegiornali e politicanti servili paragonano questo risultato referendario ad altri, d’altri tempi, compiono una consapevole falsificazione. Il divorzio e l’aborto erano stati votati da maggioranze parlamentari distinte da quelle governative: è del tutto ovvio che la loro conferma referendaria non comportasse la caduta di un governo le cui componenti (democristiani da una parte, laici e socialisti dall’altra) non avevano su quei temi una linea comune. Lo stesso referendum elettorale sull’uninominale al Senato era promosso da uomini e partiti sia di governo che di opposizione.
Questa volta non è così: le leggi abrogate dai referendum erano quasi tutte di iniziativa governativa e su di esse era stata posta addirittura la fiducia. Il voto è dunque una esplicita sconfessione del governo e della sua maggioranza parlamentare. Ed il fatto che Zaia dichiari di aver votato sì a tutti e quattro i referendum, Maroni a due, Alemanno e Polverini non so quanti, rende la situazione più grave (e insieme più ridicola): significa, infatti, che a delle qualificanti scelte governative si oppongono esponenti e forze politiche che le avevano sostenute e votate in parlamento e che perciò la maggioranza fa acqua da tutte le parti.
Non bisogna perciò permettere che il ricompattamento avvenga con trucchetti da quattro soldi e occorre fare in modo che gli assembramenti delle piazze gioiose di ieri non si sciolgano e incalzino Berlusconi e il suo governo disonesto e mendace, screditato e incapace, fino alle dimissioni o alla sfiducia parlamentare.
Si dice: non hanno vinto i partiti, ma i cittadini, i comitati, le associazioni, la rete. Tutto giusto! Ma sono proprio i cittadini, è proprio l’azione collettiva vincente di quest’anno di mobilitazione a chiedere che Berlusconi se ne vada e che ci sia una vera svolta nel modo di governare.
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