Sullo (o sul) haiku giapponese (e sull’elaborazione teorica fattane da Roland Barthes in Occidente) in questo blog è già presente un post (http://salvatoreloleggio.blogspot.com/2011/05/haiku-nellimpero-dei-segni.html ).
Dello (o del) haiku esiste tuttavia anche in Occidente una pratica varia e interessante. C’era addirittura (e forse c’è ancora) in Italia un giro di appassionati, che organizzava convegni e tenzoni. Vi recitava una parte un mio compaesano, coetaneo e amico, Ugo Bella, morto qualche anno fa, che si faceva chiamare “barone”, storico locale e archeologo dalle arditissime congetture. Alcuni suoi haiku, di cui resta traccia nella rete, mi sono sembrati di ottima qualità, seppure un po’ pedissequamente fedeli al modello giapponese.
Verso un uso più maturo dello (o del) haiku, mi pare orientarsi Paolo Ottaviani, un poeta umbro-sabino che sperimenta in lingua e in dialetto, con una utilizzazione sapiente ed espressiva della metrica. Ottaviani frequenta in modo poliedrico la breve forma poetica venuta dall’Oriente, per prodursi di volta in volta in ironiche “sententiae”, squarci lirici, incursioni nello storico e nel sociale, riuscendo spesso a restituirci l’aliquid luminis che stranamente sembra collegare epigramma latino e haiku giapponese. La scelta che segue è, ovviamente, assai soggettiva. (S.L.L.)
I
Chi disse: “è bello
morire per la patria”
era un apolide.
V
La stessa neve
sopra altra neve cade.
Falda su falda.
VIII
Il mormorio
delle querce illumina
folti silenzi.
IX
Ben più rapidi
della luce i pensieri
vanno nel buio.
XII
La primavera
vaga in cerca di sole
tra acide piogge.
XIII
Nell’infinita
distesa delle stelle
s’accampa il Nulla.
XV
Virtù suprema
sapersi puro sasso,
cenere spenta.
XVII
Sorgi la sera
e di un vago pastore
poi t’innamori?
XIX
Respingeranno
le nubi clandestine
sparando al cielo?
Nessun commento:
Posta un commento