Ermanno Rea, napoletano, è giornalista e scrittore di valore. E’ autore, tra l’altro, di due grandi romanzi sulla sua città: Mistero napoletano, sul dopoguerra, e La dismissione, sulle illusioni dello sviluppo siderurgico e industriale. Per “il manifesto” ha scritto stamane (1 giugno 2011) un magnifico pezzo, in cui spiega il suo “investimento” su De Magistris, che è anche una magnifica definizione e denuncia del “moderatismo” italiano, padre di tutti i deteriori compromessi e fratello del trasformismo. Una pagina da leggere e conservare in memoria. (S.L.L.)
Ho votato anch'io per Luigi De Magistris. Beninteso idealmente soltanto, da momento che non faccio più parte da tempo immemorabile delle liste elettorali napoletane. La mia dichiarazione di voto l'ho fatta pubblicamente il giorno prima che fossero aperti i seggi (vedi l'intervista firmata da Angelo Mastrandrea sul manifesto del 15 maggio scorso); anzi prima, avendo sottoscritto un appello a favore dell'ex magistrato a campagna elettorale appena iniziata. Perché ho votato anch'io per De Magistris? Non nutro particolari simpatie politiche verso l'Italia dei Valori e verso il suo leader Di Pietro (anche se ho condiviso nel tempo più di una sua sortita controcorrente e, in generale, la sua inclinazione all'intransigenza); non conosco personalmente il nuovo sindaco di Napoli e ho informazioni alquanto confuse sul suo operato di magistrato nonché sulla sua attività di europarlamentare.
Allora perché mi sono precocemente schierato a suo favore? In nome di che cosa? So bene che mi corre l'obbligo di dare una risposta convincente e non banale a questa domanda. Una risposta capace di contenere al suo interno non soltanto la mia personale soddisfazione per come sono andate le cose, ma la soddisfazione, spesso spinta fino all'entusiasmo, della maggioranza dei miei concittadini che hanno issato rabbiosamente (proprio così, rabbiosamente, al di là delle parole di certi gazzettieri sempre a caccia del "pittoresco" partenopeo) quest'uomo-bandiera sulle loro (le nostre) macerie.
Ed ecco la mia risposta nella sua scabra semplicità. Io ho votato (idealmente) per De Magistris perché non è un moderato. Perché detesto con tutto me stesso coloro che in questo nostro Paese di camaleonti abusano cinicamente di questa parola per contrabbandare la loro disponibilità ai peggiori compromessi, la loro riottosa opposizione a ogni forma di cambiamento e di innovazione, la loro irrefrenabile empatia per i cosiddetti uomini-cricca, i salassatori delle risorse pubbliche, i piccoli e grandi ladri, e tanto meglio se sono contemporaneamente legati all'Opus Dei o se sono addirittura «gentiluomini del Papa».
Così sono i "moderati" nei fatti. Almeno in Italia. Nei fatti però, non nel lessico politico e televisivo dove i significati delle parole vengono normalmente stravolti senza per altro che nessuno si ribelli e invochi quanto meno un po' di giustizia e correttezza almeno sul piano della semantica. Insomma nel lessico politico e televisivo questa genia chissà come si santifica, da acqua sporca che era si trasforma in acqua benedetta. Ancora l'altro ieri, nel corso delle torrenziali discussioni di commento all'esito delle elezioni si sono sentite riecheggiare insopportabili idiozie. A cominciare da quella secondo la quale De Magistris e Pisapia, pur non essendo dei moderati, sarebbero tuttavia persone garbate e perbene, e ciò quasi a garanzia che non esagereranno nel difendere rom, immigrati e altri diseredati; che non si ergeranno, al di là di certi limiti, a paladini della legalità (altrimenti chiamata persecuzione giudiziaria); che non mortificheranno troppo palazzinari e affini; che non difenderanno con zelo eccessivo e riprovevole (beninteso dal punto di vista dello sviluppo economico) paesaggio e ambiente.
Ecco dunque perché ho votato (idealmente) per De Magistris, ed ecco perché penso che l'abbiano votato in massa nella mia città natale, dove forse più che altrove di moderatismo perverso si muore, come dimostra tutta la storia della metropoli campana dall'unificazione nazionale ai giorni nostri, intessuta com'è, senza sosta, di compromessi, malversazioni, scandali, collusioni camorristiche, compravendite di voti, bugie, abusi (è passato un sessantennio e forse più , ma chi ha dimenticato a Napoli, e non soltanto a Napoli, l'armatore Achille Lauro?)
Ci volle la caduta del muro di Berlino, nel 1989, e la successiva ascesa alla poltrona di sindaco di Antonio Bassolino perché all'ombra del Vesuvio cominciasse ad aver corso legale la parola speranza. Speranza in un destino diverso, non più di sottosviluppo e di illegalità diffusa. Purtroppo quella speranza, incautamente chiamata Rinascimento, durò pochissimo, sopraffatta proprio da quel vento avvolgente e diabolicamente seduttivo cui non so che altro titolo dare se non quello di moderatismo all'italiana.
Ne rimase vittima lo stesso Bassolino, che pure aveva esordito sfidando tutti i vecchi dèmoni della città, chiedendo ai suoi concittadini di essere protagonisti, in prima persona, di un cambiamento epocale attraverso una partecipazione politica appassionata e ininterrotta, salvo poi arroccarsi progressivamente nella sua cittadella amministrativa fino a spegnere ogni entusiasmo con la politica della rassicurazione (ci penso io a raddrizzare le cose, basta con le mobilitazioni generali, abbiate fiducia in me...).
Sarà capace Luigi De Magistris di resistere alle tentazioni dell'autosufficienza? Di chiedere ai napoletani di essere presenti con tutta la loro creatività nella difficilissima guerra contro gli innumerevoli mali e perversioni che avvelenano la metropoli, a cominciare da quella illegalità generalizzata, madre di tutti i disastri di ieri e di oggi?
Io questo naturalmente non lo so, non so cioè fino a che punto il nuovo sindaco saprà essere sino in fondo all'altezza del compito che si è assunto. Tutto quello che so è che i suoi modi, la sua faccia, la sua cultura, le cose che dice e il modo come le dice certificano che non è un moderato, e quindi è in grado di non lasciarsi condizionare dalle perfide sirene partenopee, ammaliatrici sin dall'antichità più remota. Insomma l'uomo non sembra privo di quel pizzico di giacobinismo che, come ebbi già modo di dire ad Angelo Mastrandrea nella citata intervista del 14 maggio scorso, a me pare essenziale in chi voglia oggi, generosamente, accingersi nell'immane compito di mutare la stessa morfologia sociale e civile di una città lasciata colpevolmente sprofondare in una sorta di cruento caos (De Magistris esordisce come sindaco in una Napoli tanto festosa quanto listata a lutto per la morte di un turista straniero vittima di uno scippo in pieno centro cittadino).
Il compito dell'ex magistrato è di quelli che fanno rabbrividire (ma anche entusiasmare): capovolgere da cima a fondo il volto tumefatto di una città. Renderla sicura. Rispettosa delle leggi. Ordinata. Accogliente. Non so quante volte l'ho detto e l'ho scritto: sono un uomo avanti negli anni, amareggiato e scettico ma incapace di rinunciare a un vecchio sogno che mi accompagnerà fino alla fine. Il sogno di una Napoli fiorita, con tante bouganville e altri rampicanti ai balconi e nelle aiuole pubbliche, maniacalmente pulita e odorosa, gentile nei modi, obbediente alle leggi (dalle più solenni alle più quotidiane e minute), irreprensibile nel traffico e comunque severa con i suoi trasgressori, dotata di una vasta rete di candide strisce pedonali (così rassicuranti per vecchi e disabili), allegra e ospitale, come è sempre stata, ma senza sguaiataggine.
Si tratta davvero di un sogno assurdo e irrealizzabile? Forse sì. O Forse no, chissà. In ogni caso se un tentativo di emendarsi può essere ancora compiuto, ciò è possibile a una sola condizione: che a occupare la poltrona di sindaco non vi sia un cosiddetto moderato. Più precisamente, uno sporco moderato.
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