8.6.11

Sulla Libia (con testi di S.L.L. e di Eros Barone)

La sporca guerra
di S.L.L.
La guerra in atto in Libia è orribile. I media, come sempre in tempo di guerra, raccontano bugie. Finita nella pattumiera la storiella della “protezione dei civili”, vorrebbero inquadrare la guerra in un altro schema: i “buoni”, i “democratici”, i “nostri” contro il “tiranno” assassino. Molti indizi dicono che si tratta di favole.
I “buoni” di questa storia assomigliano molto a quelli del Kosovo che arrivavano a trafficare organi umani espiantati. O a quelli che oggi guidano l’Afghanistan e che smerciano oppio ed eroina, né più e né meno dei talebani con cui non di rado cooperano.
La mia impressione, confermata dai pochi osservatori indipendenti, è che “il comitato di Bengasi” sia composto soprattutto da gentaccia: transfughi del gheddafismo tra i più corrotti, oggi venduti all’imperialismo. E mi pare che costoro siano assolutamente d’accordo con l’entourage del colonnello e con le potenze neocoloniali della Nato nel bloccare quell’embrione, confuso eppure esistente, di giovanile ribellione, sospinta dal vento nordafricano, che aveva scosso la Libia nei primi mesi dell’anno.
Un’altra impressione è che il regime di Gheddafi abbia retto assai più di quanto Sarkozy ed altri guerrafondai potessero immaginare e che le ragioni di tutto ciò non siano solo quelle che ci raccontano (controllo militare e poliziesco, minacce di ritorsioni eccetera). E’ possibile che ora un più massiccio sforzo nei bombardamenti dell’alleanza anglo-franco-italo-americana ottenga di più, ma a condizione di aumentare uccisioni, distruzioni, regressioni, odi: il terrore indotto dalla guerra Nato può infatti sgretolare il residuo consenso, ma non ne risulterebbe affatto una democratica pacificazione. E’ possibile anche che, in conseguenza di ciò, in settimane o in pochi mesi, cada Tripoli, che l’estroso colonnello muoia ferito a morte in una tenda dai cessi d’oro o che si nasconda in un buco oscuro per scampare alla furia omicida dei “liberatori”. Ma pochi possono negare che fino ad oggi il neotribalismo gheddafiano che caratterizza la politica libica degli ultimi 15 anni ha retto.  
L’imprevedibile durata  del sostegno tra i capi tribù è di certo legata alla paura diffusa che i “nuovi”, i “comitatisti”, sostenuti dagl’imperi occidentali, siano ladroni assai più esosi e costosi degli scherani del colonnello. Le graduatorie di fonte Onu sulla qualità di vita dei libici, lusinghiere rispetto alle medie africane, dimostrano una differenza del regime libico da altre dittature del mondo arabo. I gheddafisti sono stati generalmente più sobri delle altre oligarchie, meno scatenati nelle ruberie, un po’ più attenti ai bisogni materiali dei connazionali. A essere maltrattati erano piuttosto i lavoratori immigrati, specie quelli bengalesi, pakistani o provenienti dall’Africa nera, utilizzati in gran numero per le attività più pesanti e meno remunerate. Questo razzismo non dichiarato, ma praticato attraverso la forte disparità di trattamento, era per gli uomini del colonnello strumento di consenso: le orribili condizioni nei campi di disperati costruiti in combutta con Maroni e Berlusconi erano in linea con questo clima “culturale”.
Ora è possibile che “quelli di Bengasi” si allineino ai peggiori usi dei governi filooccidentali, che per la distribuzione tra le popolazioni delle tribù non lascino neanche le briciole dei dividendi petroliferi, peraltro meno consistenti che al tempo di Gheddafi (i "liberatori" Nato vorranno rifarsi delle spese per la "liberazione"). Altro che una casa per tutti, come di recente aveva promesso il colonnello, accettando un’idea-suggerimento del suo amico Berlusconi! Magari qualcuno dovrà forzatamente spostare le tende. 
Soprattutto per questo i capi delle tribù esitano ad abbandonare Gheddafi, considerato il meno peggio, a un destino infelice e non già per le sue minacce o un qualche occhiuto controllo dei suoi sgherri, assai improbabile in momenti come questi.
Questo è, a grandi linee, quanto mi raccontano amici affidabili con presenze in Libia recenti e notizie di prima mano. E non ha niente a che vedere con quello di cui parlano tv e giornali.
Un caro amico e compagno, Eros Barone, mi ha mandato nei giorni scorsi un suo indignato e chiarissimo scritto sulle reazioni dell’opinione pubblica europea e italiana e del “pacifismo” su quanto sta accadendo in Libia. Condivido l’indignazione e affido a questo blog il suo testo per la sua ulteriore diffusione da parte di compagni e amici di buon senso. E non importa che qualcuno possa leggervi una implicita simpatia per il regime gheddafiano: la frase del colonnello che dà il titolo all’articolo mi pare assai efficace e sostanzialmente veridica. Resta la poca credibilità di un regime che, a parte la repressione dei dissidenti indigeni, ha a lungo tollerato mancanza di diritti e vessazioni per i lavoratori immigrati spinti in Libia dal bisogno: più d’uno lì li trattava come cani o anche peggio, sotto gli occhi benevoli delle autorità. (S.L.L.)



“Gli europei amano i cani più degli arabi”
di Eros Barone
Vi è da restare allibiti di fronte alla pressoché totale insensibilità dell’opinione pubblica democratica verso la guerra contro la Libia condotta dall’Italia. Una guerra le cui conseguenze di carattere sia nazionale che internazionale sono stolidamente sottovalutate o, ancor peggio, ciecamente disconosciute. Davvero è così facile sottoscrivere e praticare la massima di von Clausewitz secondo cui “la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi”? Davvero si pensa che le ‘guerre umanitarie post-moderne’, basate sui ‘bombardamenti etici’ e sul terrorismo nei confronti della popolazione civile, possano sostituire, come in questo caso, la politica o “continuarla” con maggiore efficacia?
In realtà, questo è l’atteggiamento dello struzzo il quale, come è noto, nasconde la testa sotto la sabbia per la paura. Quella paura che in passato aveva almeno stimolato qualche manifestazione contro la guerra, mentre ora ispira un atteggiamento di consenso, tra il passivo, il rassegnato e il cinico, verso le ragioni della forza che stanno alla base dell’intervento di chi è meglio armato e di chi è più potente sul piano tecnologico. Una volta Gheddafi ebbe ad affermare che gli europei amano i cani più degli arabi, e mai un’osservazione antropologica fu più esatta. La controprova è la seguente: vi è ancora qualcuno fra di noi che provi a mettersi nei panni degli abitanti di Tripoli e si domandi quale sia la loro condizione durante i quotidiani bombardamenti che vengono effettuati su questa città, che è tra l’altro così ricca di testimonianze architettoniche italiane?
No, non c’è quasi più nessuno che si ponga questa domanda. L’ideologia menzognera della ‘guerra umanitaria’ la riscatta da qualsiasi crimine, esattamente come in Iraq e come nel Kosovo, poiché, sempre e comunque, il dogma irrefutabile è che la democrazia è superiore e preferibile alle ‘dittature’, laddove queste sono come la notte in cui tutte le vacche sono nere: da Saddam a Gheddafi, da Hitler a Stalin. Tuttavia, oggi, 27 maggio 2011, è impossibile non sapere che di giorno in giorno aumentano le vittime “civili” dei bombardamenti compiuti dalla Nato “per proteggere i civili”, che si sono palesati in modo inequivocabile gli obiettivi neocolonialisti di Francia e Inghilterra, che il voltafaccia della politica estera italiana avvenuto su diretta pressione statunitense e con l’appoggio incondizionato del presidente Napolitano è di estrema gravità e che la manipolazione dell’informazione è spudorata.
La Libia è sola contro la Nato. L’Unione Africana o Chavez non hanno peso sufficiente per fermare la guerra e creare le condizioni di una soluzione diplomatica. La Libia è stata abbandonata anche da Russia, Cina e Turchia, che potevano premere per una soluzione politica e non esclusivamente militare. Dal canto suo, l’Italia si è accodata ai più potenti, calpestando, in un colpo solo, sia l’articolo 11 della Costituzione sia il trattato di alleanza con Gheddafi. Chi è a favore di questa guerra, e mi rivolgo in particolare ai democratici che hanno riscoperto le virtù del neocolonialismo ma non osano confessarlo e così lo chiamano  “intervento umanitario”, ebbene chi è a favore di questa guerra deve rispondere alle domande che gli abitanti di Tripoli pongono a quei pochi pacifisti italiani che non hanno venduto l’anima al diavolo, quando questi li intervistano: «Perché Francia, Inghilterra e Stati Uniti ci bombardano? Che cosa gli abbiamo fatto? Perché l’Italia, dopo aver stipulato col nostro paese un trattato di amicizia e di non aggressione, ci sta bombardando?».

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