30.6.11

Il tenente Colombo. La maieutica della colpa (di Nefeli Misuraca)

In “il manifesto blog” la sezione Poltergeist - Il piccolo grande schermo americano, curata da Nefeli Misuraca, fornisce una lettura assai acuta del tenente Colombo, non investigatore ma analista maieutico, eccitatore del senso di colpa. A me pare tuttavia fuori bersaglio il considerarlo un non-personaggio. Colombo ha in realtà dei tratti inconfondibili: la tigna, l’onestà, l’indipendenza, la mancanza di qualsiasi complesso verso i ricchi e i potenti; e poi la sbadataggine, l’umanità, la logica stringente e un vecchio impermeabile; un cane (dog) che si chiama Cane (Dog); una moglie che non si vede mai ma è sempre presente. Per un personaggio basta e avanza. (S.L.L.)
Il tenente Colombo è riuscito a costruirsi una nicchia d’eternità nella storia della crime story pur non essendo veramente un personaggio. L’investigatore stropicciato ha attraversato vent’anni di televisione senza mai dare alcuna informazione su di sé – quando gli chiedono quale sia il suo nome, risponde: “tenente” – citando spesso una moglie che nessuno ha mai visto e dichiarando di essere appassionato di ciò che appassiona i criminali con cui ha a che fare. Perché il tenente Colombo non è un investigatore: lui sa già fin dall’inizio chi ha commesso il delitto e il suo ruolo è quello del demone socratico che induce il colpevole a confessare. Nella linea dei detective nati dagli scrittori del XIX secolo, Colombo rientra certamente nella categoria dostojevskiana creata dall’ispettore Porfirij, che indaga sugli omicidi commessi da Raskolnikov in Delitto e castigo. Porfirij, cioè “rosso” in lingua russa, è l’alter ego di Raskolnikov, il cui nome, Rodiòn, significa anche rosso. Nel romanzo Raskolnikov è convinto che Porfirij sappia che è stato lui a uccidere le due vecchie e l’insistente presenza del poliziotto nella sua vita è il motivo principale per cui, alla fine, il protagonista confessa.
Colombo assilla gli assassini in modo simile, intromettendosi sempre come una fastidiosa, incancellabile coscienza che, senza far altro che essere presente, chiude sempre i casi con una confessione. In questo senso il tenente non è il classico investigatore a cui siamo abituati perché non ci sono misteri – nemmeno per lo spettatore che sa tutto fin dall’inizio – e le puntate hanno il fascino di un test psicologico che rivela, infallibilmente, la potenza del senso di colpa. Questa funzione maieutica del detective meno detective della storia riporta la figura del garante della giustizia a quella del controllore delle coscienze, al ruolo socratico della guida che stringe sempre anche i più cinici criminali a riconoscere la potenza della legge morale dentro di noi.
Posizionato a metà tra Socrate e Kant, Colombo ha segnato la storia della televisione complicando l’ovvietà del suo ruolo sociale ed eludendo le necessità del suo ruolo narrativo: è uno schiaffo all’ipercorrettismo della generazione CSI, della fiducia nella scienza e nella tecnica; il tenente ritardatario e ripetitivo non ha bisogno di scoprire ciò che, proprio perché è avvenuto, si pone come esistente.
Peter Falk è morto ma Colombo, non essendo mai stato veramente vivo, nemmeno come personaggio, resterà come metafora eterna dell’incancellabilità della macchia, e se si polemizza molto oggi sui rischi offerti dalle serie come Law & Order e CSI, perché sembrano indicare con precisione cosa fare e cosa non fare per ottenere il delitto perfetto, agli occhi di una figura come Colombo il delitto perfetto non può esistere, perché ogni atto compiuto diventa immediatamente e incancellabilmente evidente.

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