“Il 14 luglio del 1964 fu la giornata più calda dell’anno: 36 all’ombra”.
Comincia così l’articolo, un tempo celebre, dal titolo Complotto al Quirinale, con cui Lino Jannuzzi su “L’Espresso” del 14 maggio 1967, rivelava in che cosa consistesse quel confuso “rumore di sciabole” di cui Nenni parlava nel suo Diario in margine alla crisi di governo dell’estate del 1964.
Di fronte al perdurare della crisi il presidente della Repubblica Segni aveva convocato il comandante generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo, il quale (convocati e informati i vertici dell’Arma) aveva garantito a lui e alla pubblica opinione che il piano “Emergenza S” (poi noto come Piano Solo), da tempo preparato, era in grado di garantire l’ordine pubblico contro movimenti simili a quelli del luglio 60. Il Piano prevedeva l’occupazione militare delle sedi dei partiti, l’arresto di esponenti politici soprattutto della sinistra e il loro concentramento in alcune località. Il De Lorenzo peraltro, già a capo del SIFAR, l’organo di spionaggio delle Forze Armate, era a conoscenza di ponderosi dossier sugli uomini politici italiani.
Il racconto di Jannuzzi è nello stile de “L’Espresso”, che tendeva alla “drammatizzazione”, fissando le vicende in scene e dialoghi esemplari. I protagonisti sono presentati in primo piano e parlano in prima persona. La principale fonte del giornalista fu forse Luigi Anderlini, che da deputato del Psi era nel 1964 Sottosegretario alla Difesa. Dal Psi sarebbe poi uscito da sinistra dando vita al Movimento socialista autonomo, il quale in seguito ebbe rappresentanza parlamentare nei gruppi della Sinistra indipendente, formati da deputati e senatori eletti nelle liste del Pci.
Jannuzzi ha poi fatto una finaccia, è diventato berlusconiano spinto: lui direbbe per garantismo, io ho l’impressione che si sia trattato di un cupio dissolvi, di una perversa volontà di autodistruzione, legata al temperamento romantico-decadente del grande giornalista. Quale che sia il giudizio sullo Jannuzzi di oggi, l’Italia democratica deve comunque essergli grata per quella sua inchiesta che contribuì a disvelare un verminaio antidemocratico dentro lo Stato italiano, una sorta di “secondo Stato” anticostituzionale e parafascista.
Comincia così l’articolo, un tempo celebre, dal titolo Complotto al Quirinale, con cui Lino Jannuzzi su “L’Espresso” del 14 maggio 1967, rivelava in che cosa consistesse quel confuso “rumore di sciabole” di cui Nenni parlava nel suo Diario in margine alla crisi di governo dell’estate del 1964.
Di fronte al perdurare della crisi il presidente della Repubblica Segni aveva convocato il comandante generale dei Carabinieri Giovanni De Lorenzo, il quale (convocati e informati i vertici dell’Arma) aveva garantito a lui e alla pubblica opinione che il piano “Emergenza S” (poi noto come Piano Solo), da tempo preparato, era in grado di garantire l’ordine pubblico contro movimenti simili a quelli del luglio 60. Il Piano prevedeva l’occupazione militare delle sedi dei partiti, l’arresto di esponenti politici soprattutto della sinistra e il loro concentramento in alcune località. Il De Lorenzo peraltro, già a capo del SIFAR, l’organo di spionaggio delle Forze Armate, era a conoscenza di ponderosi dossier sugli uomini politici italiani.
Il racconto di Jannuzzi è nello stile de “L’Espresso”, che tendeva alla “drammatizzazione”, fissando le vicende in scene e dialoghi esemplari. I protagonisti sono presentati in primo piano e parlano in prima persona. La principale fonte del giornalista fu forse Luigi Anderlini, che da deputato del Psi era nel 1964 Sottosegretario alla Difesa. Dal Psi sarebbe poi uscito da sinistra dando vita al Movimento socialista autonomo, il quale in seguito ebbe rappresentanza parlamentare nei gruppi della Sinistra indipendente, formati da deputati e senatori eletti nelle liste del Pci.
Jannuzzi ha poi fatto una finaccia, è diventato berlusconiano spinto: lui direbbe per garantismo, io ho l’impressione che si sia trattato di un cupio dissolvi, di una perversa volontà di autodistruzione, legata al temperamento romantico-decadente del grande giornalista. Quale che sia il giudizio sullo Jannuzzi di oggi, l’Italia democratica deve comunque essergli grata per quella sua inchiesta che contribuì a disvelare un verminaio antidemocratico dentro lo Stato italiano, una sorta di “secondo Stato” anticostituzionale e parafascista.
Del suo articolo riporto solo un passaggio marginale, in cui Saragat (che, fra l’altro, fu uno dei più spiati dal SIFAR) parla di Nenni, ma esemplificativo del vivace stile di Jannuzzi. (S.L.L.)
Giuseppe Saragat arrivò a Villa Madama trafelato, scuro in volto. Vide Nenni disteso sulla panchina, col cranio lucido poggiato alla pietra e le scarpe coperte di polvere. Si girò verso il gruppo dei democristiani, e si mise ad urlare: “Guardate questo pover’uomo, cinquant’anni di milizia socialista, venti di esilio, una figlia trucidata dai nazisti. Ha portato il partito al governo, ha pagato il prezzo di una scissione, ha sacrificato tutto per il centro-sinistra, per allargare le basi della democrazia. E voi ci state giocando, state scherzando col fuoco. Ora basta, non siamo più disposti a trattare. Le nostre ultime condizioni le conoscete. Dateci la vostra risposta, e sarà quello che sarà”.
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