L’altro ieri (25 giugno 2011) sul “manifesto” l'articolo di Maurizio Matteuzzi che qui ripropongo, con toni assai moderati, faceva il punto sulle accuse che i “facitori d’opinione” filo-Nato hanno cucito addosso a Gheddafi e al suo governo, per giustificare l’aggressione neocolonialistica e i devastanti bombardamenti sulla Libia. Informava anche sui dubbi sempre più grandi che le organizzazioni internazionali con un minimo d’autonomia (a cominciare da Amnesty) giorno dopo giorno esprimono.
I forsennati attacchi della Clinton sugli stupri di massa e le distribuzioni di Viagra, infatti, risultano sempre di più spazzatura, ma i bombardatori fanno finta di niente e non desistono.
Intanto gli “ascari” (non trovo nome più adatto nella lingua italiana per indicare il mercenario collaborazionismo filocoloniale) di Bengasi, mentre inventano nuove e sempre più improbabili accuse, sono a loro volta accusati di violazioni dei diritti umani.
Intanto gli “ascari” (non trovo nome più adatto nella lingua italiana per indicare il mercenario collaborazionismo filocoloniale) di Bengasi, mentre inventano nuove e sempre più improbabili accuse, sono a loro volta accusati di violazioni dei diritti umani.
Ieri è anche arrivato un alt dal presidente sudafricano, a nome dell'organizzazione degli Stati del "continente nero". Quello che dice è evidente ad ogni persona di buon senso e buona fede: la risoluzione Onu autorizza gli stati membri a intervenire anche militarmente in Libia per proteggere i civili da violenze governative, ma non autorizza ad uccidere il colonnello Gheddafi, per di più bombardando con il metodo del “do cojo cojo”, facendo terra bruciata nei luoghi ove si sospetta la sua presenza e ammazzando a centinaia i civili che si dice di voler proteggere.
Forse è tempo che nel nostro paese da parte della minoranza che non si è lasciata abbindolare dalla congiura mediatica o silenziare dal conformismo filo-Nato si inizi in Italia una campagna di denuncia e di lotta per ricostruire un opinione pubblica correttamente informata, democratica, pacifica più consapevole dei suoi stessi interessi. Dal “romperemo le reni a Gheddafi” a noi che alla Libia siamo vicinissimi non possono venire che guai. (S.L.L.)
Forse è tempo che nel nostro paese da parte della minoranza che non si è lasciata abbindolare dalla congiura mediatica o silenziare dal conformismo filo-Nato si inizi in Italia una campagna di denuncia e di lotta per ricostruire un opinione pubblica correttamente informata, democratica, pacifica più consapevole dei suoi stessi interessi. Dal “romperemo le reni a Gheddafi” a noi che alla Libia siamo vicinissimi non possono venire che guai. (S.L.L.)
Stupri di guerra e mercenari: davvero?
Le prove sono scarse o non si trovano.
Ma la guerra umanitaria andrà avanti.
Che Gheddafi se ne debba andare è giusto. Che se ne vada, o con le sue gambe (improbabile) o da morto, è scritto o prevedibile (anche se non saranno gli insorti di Bengasi a cacciarlo). Ma quello che è - o dovrebbe essere - insopportabile è il doppio standard, l'ipocrisia, il livello sfacciato di menzogne (sembra di essere tornati ai tempi del conflitto Serbia-Kosovo), o come minimo di unilateralità, con cui la «comunità internazionale», la «coalizione dei volenterosi» (con Sarkozy e Cameron in testa), l'Onu del pallido Ban Ki-moon, la Corte penale internazionale dello strabico procuratore Moreno Ocampo, la Nato, l'Italia (l'Italia dei penosissimi Berlusconi, Frattini, La Russa ma anche del presidente Napolitano e del Pd) ha intrapreso tre mesi fa «la guerra umanitaria» e continua a giustificarla oggi.
Vediamo. Gli stupri di massa commessi dalle forze del Colonnello, utilizzati per giustificare l'attacco Nato e l'incriminazione di Gheddafi davanti alla Cpi, potrebbero (potrebbero) non essere mai avvenuti. Questa è la conclusione di un'inchiesta di tre mesi sul campo (Tripoli e Bengasi) condotta da Amnesty international. Donatella Rovera, l'inviata da Ai, non è riuscita a trovare alcuna prova di queste violenze e abusi dei diritti umani, rilevando che «in alcuni casi» i ribelli di Bengasi avevano dichiarato il falso o manipolato prove. In tre mesi non è stato possibile «trovare alcuna prova o una singola vittima di violenze sessuali, o un medico che ne fosse al corrente» (chiaro: questo non dimostra che gli stupri non siano avvenuti). Anche Liesel Gerntholts, responsabile dei diritti femminili di Human Rights Watch, dopo un'inchiesta sulle accuse di violenze sessuali, ha detto di «non essere stata in grado di trovare alcuna prova». E la famosa storia del Viagra distribuito da Gheddafi ai suoi (come le «fosse comuni», i «10 mila morti a Tripoli»...)? Rovera scrive che la fonte erano i ribelli di Bengasi, che avevano mostrato ai giornalisti stranieri alcuni pacchetti di Viagra trovati su carri armati andati a fuoco, ma che i pacchetti stessi non mostravano bruciature. Un paio di settimane fa il procuratore Moreno Ocampo ha basato le sue accuse contro Gheddafi sulla precisa strategia di «violentare chi è contro il governo» e la settimana scorsa il segretario di stato Usa Hillary Clinton ha parlato di «violenze sessuali» in Libia. Il rapporto di Amnesty combacia con quello di Sherif Bassiouni, il capo della commissione d'inchiesta Onu sulle violazioni dei diritti umani nel conflitto libico, che nel suo rapporto finale, il 9 giugno, aveva espresso gli stessi dubbi su una politica - gheddafiana, ovvio - di strupri di massa («tre casi» verificati), che aveva definito «una gigantesca isteria».
Vediamo ancora. I famosi «mercenari» africani impiegati da Gheddafi contro gli insorti. Il rapporto di Amnesty critica il silenzio, e peggio, del Cnt di Bengasi al proposito. In realtà, secondo quanto ha potuto verificare sul campo, i «mercenari» africani (e quindi neri) «al servizio di Gheddafi» erano figure «mitiche», «lavoratori o gente che cercava lavoro», divenuti capri espiatori per indirizzare la rabbia della popolazione contro i migranti «in un contesto di forti sentimenti razzisti e xenofobi». E il rapporto firmato Bassiouni del 9 giugno, pur consacrato alle nefandezze delle forze gheddafiane verso la popolazione civile (migranti inclusi), ammoniva sulle «possibili violazioni dei diritti umani commesse dalle forze dell'opposizione, specialmente verso la popolazione immigrata residente in Libia». E raccontava del caso di un «mercenario» buttato da una finestra del tribunale di Bengasi (19 febbraio) e finito a colpi di machete e del caso della «esecuzione extra-giudiziale di 5 ciadiani» irrorati di kerosene e poi bruciati vivi (21 febbraio). Per concludere che i «presunti mercenari» erano indicati e perseguiti come tali «sulla base delle loro nazionalità o del colore della pelle».
Sarà che l'inglese The Independent e il francese Le monde che scrivono questo cose sono gheddafiani?
Vediamo ancora. In un articolo sul Sole di ieri a commento dello sblocco delle riserve strategiche di petrolio da parte dell'occidente, Alberto Negri scrive che «il rapporto dei servizi francesi in visita a Bengasi e a Tripoli, redatto tra gli altri dall'ex capo del controspionaggio Yves Bonnet, è chiaro. La rivolta libica, si legge, anche con una certa sorpresa, "non è né democratica né spontanea". Tra le motivazioni dell'intervento francese si riconoscono due punti: le ricchezze energetiche e la frustrazione della Francia di non aver saputo prevedere le rivolte arabe».
Vediamo ancora. Medici senza frontiere, ieri per bocca di uno dei suoi direttori, Loris De Filippi, lamentando «l'incoerenza» dell'accordo del 17 giugno fra il governo italiano e il Cnt di Bengasi e «il doppio standard applicato dai paesi europei implicati in questa guerra», conclude che «è intollerabile che un paese impegnato nei bombardamenti in nome della protezione dei civili, contemporaneamente respinga le vittime della stessa guerra».
Però tutto questo non importa. La guerra «per proteggere i civili» va e continuerà «fino alla caduta di Gheddafi», come ha giurato Sarkozy e hanno concordato all'unanimità ieri i leader del Consiglio europeo a Bruxelles. Che poi si ritiri o no «in un'oasi libica sotto controllo internazionale», come ha proposto un membro del Cnt, si vedrà.
Maurizio Matteuzzi
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