Il 28 febbraio 2004, “Tuttolibri”, inserto culturale de “La stampa”, nella rubrica I classici pubblica un breve saggio di Claudio Gorlier su un grande libro, Martin Eden, evidenziando l’americanità del romanzo e il rapporto tra scrittura e vita nell’opera del suo autore, Jack London. (S.L.L.)
Jack London |
Jack Griffith London era nato a San Francisco nel 1876, figlio illegittimo riconosciuto poi dal marito della madre, e il crollo economico dei genitori lo indusse a tentare la fortuna tra i cercatori d'oro dello Yukon: questo l'ambiente del suo primo romanzo di successo, apparso nel 1903, Il richiamo della foresta. Tra i disparati mestieri della giovinezza, comunque, quello sia pur breve del marinaio lo aveva segnato. Martin Eden fu scritto in parte durante un lungo viaggio in nave e terminato addirittura a Tahiti. London era un autodidatta, anche se non privo di studi; avido lettore, frequentatore di biblioteche. Sta qui l'analogia con il suo personaggio, che in realtà parte letteralmente da zero, nutrendosi però del mito americano del successo, il cui modello si identifica nel cosiddetto «darwinismo sociale», la dottrina modellata sulle teorie dell'inglese Herbert Spencer, ispiratore dei vari Carnegie o Rockefeller, e che Mark Twain non mancò di deridere. Non stupisce, dunque, che Martin aspiri a entrare nell'élite medio o alto borghese: questo il suo Eden. Ci riesce grazie al legame con una giovane donna, Ruth Morse, che lo incoraggia a scrivere, e nella quale si e' voluto identificare una donna amata da London, Mabel Applegarth. Ruth lo introduce negli ambienti che Martin sognava, e qui entra in gioco un'altra influenza non indifferente sul giovane London: il pensiero di Nietzsche che, grazie a H.L. Mencken, cominciava a essere per così dire volgarizzato negli Stati Uniti. Così, nella sua effimera ma rapida ascesa, Martin combina l'aspirazione spenceriana al successo e la fascinazione del superuomo. Abituato alle risse sui moli di Oakland, la città sulla baia di San Francisco, al duro lavoro in una lavanderia, quando Martin, dopo qualche iniziale fallimento, si afferma come scrittore, crede di essersi finalmente realizzato. Ma l'ambiente letterario borghese - i salotti - finisce per rivelare tutta la sua paternalistica falsità, la sua intollerabile ipocrisia. L'Eden si presenta come inganno, e qui affiora un altro paradigma caratteristicamente americano, quello dell'innocenza minacciata dal potere. Si trova la radice di uno degli interrogativi di fondo di Martin Eden, del dilemma che lo porterà ad annullarsi: se la conquista della conoscenza non comporti la perdita, appunto, dell'innocenza. La fama, la popolarità internazionale - Parigi, l'Inghilterra - incoronano Martin: «Aveva colto il pubblico di sorpresa, travolgendolo, proprio come Kipling». Naturalmente, il danaro. Ma scatta la crisi, di fronte a un Eden corrotto, avvelenato e, specularmente, si spegne l'amore per Ruth, in un romanzo privo di sessualita'. L'amico poeta Brissenden vorrebbe convertirlo al socialismo ma non ci riesce, del resto lo stesso Brissenden muore suicida. Martin «cade nella tenebra»: si getta in mare e «nell'istante in cui seppe, cessò di sapere». E' l'ultima, memorabile frase del libro. London, per qualche tempo socialista militante, lo seguirà nel 1916, precedendo il poeta Hart Crane, che nel 1932 si gettera' in mare da una nave nel golfo del Messico. L'ideologia non ha cittadinanza nella cultura americana. Il simbolo, sì. Come in Moby Dick, qui è il mare. Borges, che a London dedicò un saggio, opportunamente paragonandolo a Hemingway, osserva che aveva esaurito «fino alla feccia la vita del corpo e quella dello spirito», non soddisfatto da nessuna delle due, e «cercò nella morte il tetro splendore del nulla». Qui London si reinventò come Martin Eden.
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