Da “Case di cura (Insofferenza
per)”, una delle voci ‘italiane’ di Curarsi
con i libri, il bel repertorio edito da Sellerio, ho già postato un breve
brano.
Riprendo la breve trattazione sul
capolavoro di Gesualdo Bufalino, ottimo libro da cronicario e, più
generalmente, da ospedale, lettura spesso indimenticabile. (S.L.L.)
Affidatevi a Diceria
dell'untore. Una sua sola pagina sarà per voi un piacere degli occhi e
delle orecchie, migliorerà le vostre condizioni generali e terrà occupate la
vostra intelligenza e la vostra sensibilità per tutto il tempo. Sapete ormai
che le parole possono lenire. Sono come bende da mettere su una ferita, o
fazzoletti per espettorare, le parole sono balsamiche, salutari, sedative,
analgesiche, antipiretiche, antibiotiche. Se credete alle loro proprietà
taumaturgiche, Gesualdo Bufalino vi soccorrerà con una valigetta ampia come un
vocabolario.
Diceria è un libro sulla tubercolosi e le sue metafore. Prima del cancro, la tubercolosi o tbc è stata la malattia letteraria per eccellenza. Malattia nobile, dell'anima più che dei polmoni, destinata agli esseri ipersensibili, agli artisti di talento, malattia romantica, che consuma e smagra. La schiera dei personaggi tubercolotici, tra Otto e Novecento, è lunghissima. Ne hanno scritto tutti, da Stendhal a Hugo a Dickens, Tarchetti, Turgenev, Schnitzler, Gide, Joyce, James, Volponi e naturalmente Thomas Mann. Alcuni ne sono morti, come Kafka.
Diceria dell'untore racconta di un Sanatorio della Conca d'Oro come ce n'erano molti, un tempo, e dei suoi malati. E’ la montagna incantata della letteratura italiana: l'apprendistato alla vita, all'amore e alla morte di un ex soldato un anno dopo la guerra. Gli verrà assegnata la camera sette bis. Alla Rocca, questo reduce scoprirà come la malattia possa diventare la grande avventura della propria vita. All'interno del Sanatorio, tra un pneumotorace e un altro, vivrà i giorni più ricchi della sua esistenza, che dopo, da sano, si farà «inaspettatamente interminabile», e senza iperboli. Malattia come eccezione, quindi. Come vita di contrabbando più piena, pericolosa e intensa del passato e del futuro Una pantomima del desiderio. L'insospettabile occasioni di fumare di frodo un po' di umanità nella stanza di un ospedale.
Diceria è un libro sulla tubercolosi e le sue metafore. Prima del cancro, la tubercolosi o tbc è stata la malattia letteraria per eccellenza. Malattia nobile, dell'anima più che dei polmoni, destinata agli esseri ipersensibili, agli artisti di talento, malattia romantica, che consuma e smagra. La schiera dei personaggi tubercolotici, tra Otto e Novecento, è lunghissima. Ne hanno scritto tutti, da Stendhal a Hugo a Dickens, Tarchetti, Turgenev, Schnitzler, Gide, Joyce, James, Volponi e naturalmente Thomas Mann. Alcuni ne sono morti, come Kafka.
Diceria dell'untore racconta di un Sanatorio della Conca d'Oro come ce n'erano molti, un tempo, e dei suoi malati. E’ la montagna incantata della letteratura italiana: l'apprendistato alla vita, all'amore e alla morte di un ex soldato un anno dopo la guerra. Gli verrà assegnata la camera sette bis. Alla Rocca, questo reduce scoprirà come la malattia possa diventare la grande avventura della propria vita. All'interno del Sanatorio, tra un pneumotorace e un altro, vivrà i giorni più ricchi della sua esistenza, che dopo, da sano, si farà «inaspettatamente interminabile», e senza iperboli. Malattia come eccezione, quindi. Come vita di contrabbando più piena, pericolosa e intensa del passato e del futuro Una pantomima del desiderio. L'insospettabile occasioni di fumare di frodo un po' di umanità nella stanza di un ospedale.
Pensateci, mentre aprirete le
vaschette incellophanate del vostro pranzo con un coltello di plastica: se fate attenzione, proverete sulla lingua come il sapore agrodolce di una vacanza.
2 commenti:
L'ospedale e l'attuale Ingrassia o quello dismesso al curvone della strada che sale a monreaMo?
Bernhard Riemann ha avuto la tubercolosi?
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