Guernica bombardata |
Guernica, settant'anni
fa, in quella primavera del 1937: lunedì 26 aprile, a metà del
pomeriggio, aerei della Germania hitleriana, grande alleata del
generalissimo Franco, e dell'aviazione legionaria di Mussolini
radevano al suolo la cittadina basca di Guernica; obiettivo poco
significativo sul piano militare, ma l'azione di tipo terroristico
intendeva ammonire sia gli odiati «rossi», i repubblicani, sia i
baschi, con le loro tendenze separatiste. Infatti, l'azione ebbe
luogo in un giorno di mercato, e fu un esempio tra i primissimi di
quel che da allora si chiamò «bombardamento a tappeto», una
tattica militare poi divenuta usuale.
Il bombardamento, in un
crescendo di azioni, si concluse solo con il sopraggiungere della
notte. La cittadina, dove accanto ai settemila abitanti, viveva
qualche migliaio di profughi, fu demolita, con scientifica
sistematicità. L'azione terroristica si estese alle campagne
circostanti, colpendo con molto zelo tutte o quasi le fattorie
isolate. Un giornalista scrisse che nella notte esse ardevano come
candele.
Si trattò dunque di
un'azione dal significato politico-propagandistico più che militare.
E in quel 1937, davvero il fascismo, su scala internazionale, sembrò
essere al culmine della sua potenza, una specie di piovra che
allungava i tentacoli sull'Europa, ma già guardando oltre. La
«vittoria» di Guernica fu sfruttata abbondantemente a fini di
«comunicazione»; d'altronde la Guerra di Spagna fu una guerra
ideologica, nella quale la propaganda svolse un ruolo decisivo, da
una parte e dall'altra. Il regime mussoliniano, proclamato da poco
l'Impero con l'annessione dell'Etiopia, si era avviato compiutamente
sulla strada dell'imperialismo (che gli sarebbe stata fatale) e sulla
scorta dell'esperienza africana, su quella del razzismo di Stato:
l'anno seguente con le «leggi per la tutela della razza» l'Italia
creò una mostruosità giuridica e morale che non aveva l'eguale
sulla scena europea. L'alleanza con la Germania hitleriana era nei
fatti, prima ancora che nei patti.
In quello stesso anno, la
scomparsa, direttamente o indirettamente addebitabile al fascismo,
delle due grandi figure dell'opposizione, note sulla scena mondiale,
ossia, in Italia, Antonio Gramsci, che moriva all'alba del 27 aprile,
dopo una lunga agonia nelle prigioni del duce, e, in Francia, Carlo
Rosselli, ucciso insieme con suo fratello Nello, dai «cagoulards»,
ossia i sicari francesi del fascismo. Sembrò che le speranze di una
ripresa dell'antifascismo fossero prossime a spegnersi: non è un
caso che un compagno di Gramsci, Angelo Tasca, pubblicasse, l'anno
dopo, un libro, in francese (Naissance du fascisme), che
voleva essere un grido d'allarme proprio contro quella piovra che
minacciava il mondo. E che nella sua patria autentica, l'Italia,
aveva ormai perfezionato il suo controllo non solo politico, ma
culturale e antropologico sugli italiani. Uno dei protagonisti di
questa fase fu Cesare Maria De Vecchi, che ancora nell'anno '37 dava
alle stampe un farraginoso volume ridondante di retorica: Bonifica
fascista della cultura è il suo inquietante titolo. In quel
medesimo anno, si chiudeva la pubblicazione, avvenuta a tempo di
record (il primo volume era apparso nel '29), dell'Enciclopedia
Italiana, diretta da Giovanni Gentile. Non è casuale che in quel
1937 nascesse il Ministero della Cultura Popolare - subito
ribattezzato dagli italiani, tra il serio e il faceto, Min.Cul.Pop. -
che fu da allora in avanti strumento fondamentale del regime ai fini
del controllo degli intellettuali. Ma, se riuscì a irreggimentare
gli uomini, alla lunga, il controllo delle idee si rivelò
impraticabile nella sua ambizione totalitaria: e oggi nel Pantheon
degli italiani, mettiamo Gramsci e Rosselli, non De Vecchi o Bottai.
E in quello degli europei non troveranno posto né Hitler, né
Franco, né Mussolini.
La Stampa, 27 aprile 2007
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