La scuola di management in costruzione a Skolkovo, non lontano da Mosca |
«Quando un uomo sa che
sarà impiccato nel giro di due settimane, fa funzionare il cervello
a meraviglia». Chissà se l’aforisma del dottor Samuel Johnson
vale anche per le ex superpotenze. L’economia russa, alle prese con
il crollo dei prezzi di gas e petrolio e le sanzioni occidentali,
deve far funzionare il cervello per forza. La situazione è grave: il
Pil è calato del 3,7% nel 2015, e dovrebbe scendere dell’1,8%
quest’anno. Redditi e pensioni diminuiscono, e i russi indigenti
sono 19 milioni.
Ma pur vacillando, la
Russia non collassa. In un recente report la Banca mondiale riconosce
che Mosca ha facilitato, con le sue politiche fiscali,
l’aggiustamento dell’economia, proteggendola in parte dagli shock
che hanno colpito altri esportatori di petrolio (leggi: Arabia
Saudita). E la debolezza del rublo è diventata almeno un’opportunità
per rilanciare la competitività e modificare il profilo delle
esportazioni, oggi troppo incentrate sui soliti idrocarburi.
«Dal punto di vista
economico le cose potrebbero andare assai peggio, specie considerando
le condizioni delle altre economie emergenti nonché le prospettive
globali», dice a pagina99 l’economista americano Martin Gilman,
della Scuola superiore di economia di Mosca.
«La Russia non è
l’Arabia Saudita, la Nigeria o il Venezuela. È un mercato di 140
milioni di persone che aspirano a consumi da classe media».
Certo», continua Gilman,
«i consumi sono calati, ma in base agli ultimi dati sembra che i
salari reali stiano tornando a crescere». E a dispetto del ribasso
dei prezzi del greggio e del gas, «l’industria tiene: basti
pensare che di recente l’output petrolifero ha toccato un
nuovo livello record».
Da Kaliningrad a
Vladivostok
Kaliningrad non gode di
buona fama nel nord Europa. Stretta tra Lituania e Polonia, l’enclave
russa sul Mar Baltico è povera e isolata. I fasti della prussiana
Königsberg, patria di Kant e fior di matematici, sono svaniti da
tempo. Eppure qui, secondo i giornali locali, aprirà la prima
distilleria di whisky di tutta la Russia, con l’obiettivo non solo
di soddisfare sino a un terzo dei consumi interni, ma anche di
esportare in Asia, Africa e Sud America.
Vladivostok dista oltre
7.300 chilometri da Kaliningrad, circa 6.400 da Mosca. Oltre a essere
un importante porto sul Pacifico (e la maggior metropoli dell’Estremo
Oriente russo), la città attira sempre più turisti cinesi. Merito
delle merci a buon mercato e della nascente industria del gioco
d’azzardo. Qui il miliardario di Macao Lawrence Ho ha aperto un
colossale casinò da 800 milioni di dollari, il “Tigre de cristal”.
Altre case da gioco dovrebbero seguire nei prossimi anni. Il sogno è
trasformare Vladivostok in una Las Vegas eurasiatica per milioni di
danarosi giocatori cinesi, giapponesi e coreani.
Non si tratta di casi
isolati. Tra Kaliningrad e Vladivostok si intravedono inaspettati
segni di vitalità imprenditoriale. E di quella nuova economia sempre
invocata per la Russia. Negli ultimi anni sono stati aperti 13 nuovi
parchi scientifici in tutto il Paese, settori come il biotech
e il greentech sono in fermento, e Mosca è la terza città
europea per quantità di venture capitals. Nella capitale
hanno sede realtà dell’hi-tech come Yandex, il Google russo
quotato pure al Nasdaq, e si moltiplicano le startup, da quella che
fa le penne con inchiostro 3D a quella che monitora i livelli di
radiazioni.
Ai tempi dell’Urss
l’industria agroalimentare era il tallone d’Achille del regime.
Le file per il pane e i sotterfugi per la carne erano una costante
della vita sovietica. Oggi l’agroalimentare dà segni di vita,
anche se non basta a compensare il blocco dell’import di prodotti
occidentali deciso da Mosca (come risposta alle sanzioni). E così
nei supermercati i russi non trovano più parmigiano e brie, ma feta
di Vologda, mozzarelle di Tver e caciotte siberiane, al confine
contraffazione e spirito innovativo. Gli oligarchi investono in
fattorie, e spuntano serre hi-tech dove coltivare pomodori e cetrioli
sfidando il clima rigido. Non è tutto: mostrano vitalità settori
agli antipodi come la siderurgia, il cinema e gli armamenti. E
l’indice Micex della borsa di Mosca è ai massimi.
Diversificazione
«Ritengo che la Russia
stia abbandonando la monocultura energetica. Ovviamente a livello di
commercio estero continuerà a dipendere dalla vendita di materie
prime ancora per lungo tempo», osserva da Stanford Norman Naimark,
tra i massimi esperti americani di storia russa. «Ma negli ultimi
decenni si è sviluppata una classe media urbana colta e di talento
che ha un buon potenziale imprenditoriale».
Chiosa Gilman:
«L’economia russa è abbastanza diversificata, e la popolazione
molto istruita, almeno per gli standard di un’economia emergente.
Si dice che il Paese possa diventare, per alcuni aspetti, una specie
di nuova Israele». Le parole dell’economista sul potenziale della
Russia trovano eco in quelle di un diplomatico europeo residente a
Mosca, che ha accettato di parlare con pagina99 soltanto a condizione
di restare anonimo.
«La Russia reale è un
po’ diversa da quella descritta dai nostri media. Gli animal
spirits non mancano, esistono aziende molto dinamiche, e da solo
l’apparato militare-industriale è un gigantesco serbatoio di
intelligenze e competenze. E infatti il modello economico del governo
russo non è la Cina o gli Stati Uniti, ma Israele». Cioè un Paese
capace di coniugare elevate capacità militari con un Pil in crescita
(+2,8% nel 2016, secondo le stime del Fmi, mentre quello della Russia
dovrebbe essere ancora negativo) e un know-how tecnologico
all’avanguardia.
Naturalmente le
differenze tra Israele e la Russia sono molte, a cominciare dai
diversi sistemi politici e dalle dimensioni. Però secondo alcuni
decisori moscoviti la Russia si troverebbe in una situazione non
troppo dissimile, per alcuni aspetti, da quella di Israele, entrambi
minacciati del terrorismo islamista e da una certa ostilità
internazionale. Si dice poi che Putin – primo presidente russo a
visitare Israele – conosca molto bene la storia economica
israeliana e il ruolo chiave dell’apparato tecno-militare nel
decollo della Silicon Wadi, la Silicon Valley israeliana, assai
apprezzata anche dai capitalisti russi (che investono nella startup
nation un bel po’ di quattrini, secondo il quotidiano di Tel Aviv
Haaretz).
La Russia e Israele
La cooperazione
economica, tecnologica e militare tra i due Paesi non è mai stata
così intensa. Per esempio lo scorso autunno Mosca avrebbe acquistato
10 preziosi Uav (droni volanti) da Israele, leader del mercato
assieme agli Stati Uniti. Dal canto loro gli israeliani avrebbero
chiesto aiuto ai russi per sviluppare i loro giacimenti offshore di
gas naturale. A febbraio il ministro dell’agricoltura israeliano
Uri Ariel ha fatto tappa a Skolkovo, l’hub hi-tech alle porte di
Mosca, e assicurato che Israele è pronta a condividere con i russi
le sue tecnologie agricole avanzate (si parla, addirittura, di un
accordo di libero scambio). A marzo invece è stato il presidente
Reuven Rivlin a visitare la Russia, e a discutere con il suo omologo
Vladimir Putin e con il primo ministro Dmitri Medvedev di un
rafforzamento delle iniziative economiche, commerciali e
tecno-scientifiche comuni.
Lavorare con Israele
potrebbe contribuire a modernizzare l’economia russa, incluso
l’apparato militar-industriale. Che Putin, del resto, è già
riuscito a potenziare. Come spiega Steven Rosefielde, economista
dell’Università della North Carolina e autore di un paper sul tema
che pagina99 ha potuto leggere in anteprima, «Putin ha riformato con
successo la componente militar-industriale dell’economia russa».
Alcuni dei settori che dovrebbero trainare la modernizzazione russa
sono collegati a doppio filo all’apparato militar-industriale.
L’energia nucleare, per esempio. O l’aerospaziale, che nonostante
la crisi conserva una sua vitalità. Mosca resta una delle pochissime
potenze spaziali mondiali, e tra il 2005 e il 2014 ha effettuato 287
lanci orbitali, poco meno di Stati Uniti e Cina messi insieme. Il
Cremlino però vuole molto di più. Alla fine del 2015 ha sciolto
l’Agenzia spaziale federale, afflitta da corruzione e scandali di
ogni tipo, e creato un’azienda a controllo statale in grado di
operare anche commercialmente, proprio come le compagnie spaziali
private dell’Occidente.
Altri settori su cui si
punta sono le nanotecnologie, la robotica e la salute. Secondo gli
esperti sentiti da pagina99 è ancora troppo presto per dire se
questi tentativi di modernizzazione (spesso sottofinanziati)
riusciranno a far compiere alla Russia un ulteriore salto. In ogni
caso, nota Naimark, «c’è un forte gruppo di economisti
pro-mercato nel governo e nei circoli vicini al governo. Alcune volte
hanno più “voce” in capitolo, altre meno. In questo momento ne
hanno meno, ma non è detto che le cose non cambieranno». Proprio
qualche giorno fa Putin ha detto che coinvolgerà di più
l’economista liberista Alexei Kudrin. Non è una coincidenza.
Pagina 99, 7 maggio 2016
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