Maestro di spiritualità,
teologo, medico, ricordato per i trattati di alchimia (seppure non di
sua mano) e astrologia, Arnaldo di Villanova - in catalano Arnau de
Vilanova - visse tra il 1238 e il 1311, due date soggette a piccole
oscillazioni a seconda delle fonti. Di certo sappiamo che fu protetto
da pontefici come Bonifacio VIII e Clemente V (il primo papa che
assunse la tiara), giacché li guarì da malattie dolorose; tra i
suoi illustri pazienti vi furono anche Innocenzo V e Benedetto XI,
oltre ad alcuni re: i due d'Aragona, Pietro III il Grande e Giacomo
II il Giusto, Roberto d'Angiò di Napoli e, in Sicilia, Federico III.
Studiò a Montpellier e a Parigi, ha lasciato opere in catalano e
latino; tradusse testi dall'arabo, conosceva l'ebraico. Tra i suoi
allievi basti ricordare Raimondo Lullo, che le storie della filosofia
e i teologi ricordano come Doctor Illuminatus.
Perché parlare di
Arnaldo di Villanova? Innanzitutto per l'interesse che la sua opera
sta di nuovo suscitando. Da noi l'unico studio recente degno di
citazione è quello di Rosario Andrea Lo Bello, Resistenza
profetica (uscito nel 2014 da Vita e Pensiero), in cui è
esaminata l'esperienza di persecuzione vissuta con i dissidenti
appartenenti al movimento degli Spirituali. In altri Paesi, però, le
cose cambiano. Per esempio, presso l'Institut d'studis Catalans è in
corso l'edizione degli Opera theologica omnia; Antoine Calvet
ha raccolto gli scritti alchemici a lui attribuiti (edizione Séha e
Arché) con originale latino e traduzione francese. E ora Les
Belles Lettres pubblicano una vasta biografia in due volumi di
Jean Canteins (in essi c'è, tra l'altro, il testo latino e la
traduzione francese del De Semine Scripturarum). Si tratta di
un'opera che ricostruisce la vita eccezionale di Arnaldo, propone
scritti e, soprattutto, mette a fuoco (nel primo tomo) il contributo
teologico di questo “spirituale” accusato di eresia.
Canteins esamina anche
aspetti non noti, come il suo silenzio sul purgatorio; offre le
traduzioni delle quattro opere del Corpus catalan, tra le
quali non manca il Raonament ou Exposé d'Avignon fatto
dinanzi al pontefice e ai cardinali, riguardante le visioni dei re
Giacomo d'Aragona e Federico, da cui Arnaldo era stato chiamato.
Inoltre emerge (nel secondo volume) la sua “rivendicazione”
profetica: sono dettagliatamente esaminati scritti come il De
Significatione Tetragrammaton, oggi interpretabile da un numero
di persone molto ristretto. Arnaldo, probabilmente introdotto ai
significati esoterici dell'alfabeto ebraico dal convertito Ramon
Martí, collegava in questa sua opera espressioni dei Vangeli e dei
Salmi ai segni zodiacali.
Né si deve dimenticare
che il passo di Daniele 12,11 («dal tempo in cui sarà abolito il
sacrificio quotidiano e sarà eretto l'abominio della desolazione, ci
saranno milleduecentonovanta giorni») fu interpretato da Arnau,
intendendo la cifra in anni, come riferimento alla venuta
dell'Anticristo. Fissò l'inizio di tale conteggio, utilizzando
commenti in ebraico allora circolanti, nell'anno in cui nel tempio di
Gerusalemme era cessato il sacrificio quotidiano. Non era difficile
dedurre che la venuta del malefico personaggio sarebbe caduta intorno
al 1368. Maestro Arnaldo presentò tutto questo nel 1300 ai teologi
di Parigi e subito scoppiarono polemiche e si moltiplicarono condanne
contro il De adventu Antichristi. La tesi, però, non morì:
cerchie minoritarie e profetizzanti la ripresero e figure quali
Gentile da Foligno, Giovanni di Rupescissa (o meglio Joan de
Rocatalhada), Jan Milič di Kroměříže che fu precursore delle
idee riformatrici di Jan Hus, per citare alcuni casi, la fecero loro.
Inevitabile per un uomo
di tal fatta lo scontro con gli inquisitori domenicani, che tuttavia
non sarà particolarmente pernicioso per la protezione a lui
accordata da Bonifacio VIII; comunque Arnaldo si avvicinò ai
dissidenti dei Minori e difese le tesi di Pietro di Giovanni Olivi,
le medesime che desideravano una Chiesa povera e rinnovata. Non si
limitò a essere un teorico: nel 1304 presentava a Benedetto XI un
progetto di riforma ecclesiastica, basata su purezza, umiltà e
carità. L'improvvisa morte del pontefice, il 7 luglio di quell'anno,
impedisce di conoscerne gli esiti. Comunque non manca una sorta di
giallo: per taluni storici la causa del decesso fu un'acuta
dissenteria, altre fonti religiose sostengono l'avvelenamento. In
quest'ultimo caso spunta il nome di un francescano, Bernard
Délicieux, il quale ebbe occasione di confidare allo stesso Arnaldo
che, secondo le profezie di Gioacchino da Fiore, la morte del papa
sarebbe avvenuta proprio nel 1304. Il malcapitato suscitò sospetti e
fu inquisito. Altre fonti religiose, di età rinascimentale e
barocca, ricordano che il vicario di Pietro in questione morì a
causa di una scorpacciata di fichi trattati con polvere di diamante.
Corse voce che il letale piatto fosse stato preparato da Guglielmo di
Nogaret, cancelliere di Filippo il Bello e professore di diritto a
Montpellier, passato alla storia per un mitico schiaffo a Bonifacio
VIII. Ma egli non fece né il cuoco né si mise a sferrare sberle:
oltraggiò i pontefici soprattutto nei suoi scritti, rivendicando con
forza l'autonomia del potere regio nei confronti del papato.
I due volumi di Jean
Canteins su Arnaldo di Villanova portano dunque lontano:
dall'ermetismo alla teologia, dalla medicina agli avvelenamenti che
si praticavano in Vaticano. Materia, quest'ultima, piuttosto
delicata. Non è il caso di trattarla a fondo.
Il Sole 24 Ore Domenica,
13 dicembre 2015
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