Una mia vecchia
recensione a un libro di Travaglio mi pare tuttora buona come
interpretazione della figura e della parabola di Indro Montanelli. La
metto qui a futura memoria. (S.L.L.)
Da un romanzo di Indro Montanelli, Il generale Della Rovere, Rossellini trasse un film che quasi tutti hanno visto, per le innumerabili repliche televisive. Libro e film non sono capolavori, ma la lettura del documentatissimo Montanelli e il Cavaliere, di Marco Travaglio (Garzanti editore, 2004), fa pensare al personaggio protagonista, un opportunista che le circostanze rendono un eroe. Il libro di Travaglio è concepito come un atto di riconoscenza, un omaggio tributato dall’autore al proprio maestro, definito senza timidezze “un grande uomo”, ma la storia di Montanelli non è quella di un “eroe senza macchia e senza paura”, piuttosto quella di un frondista, di un giornalista talentuoso, sempre vicino al potere, che spesso ottiene un permesso di libera uscita. È noto che, dopo gli esordi fascistissimi, fu tra i giornalisti che, dall’interno del regime, si permettevano qualche libertà critica, irritando gli zelanti, generalmente stupidi. Durante l’occupazione nazista rischiò la vita più per l’ottusità altrui che per l’efficacia della sua dissidenza. Erano tempi duri e i nazifascisti, vicini alla fine, consideravano pericoloso anche uno stormire di foglia. Nell’Italia repubblicana il suo anticonformismo a sovranità limitata raggiunse l’apice nello slogan “turatevi il naso e votate Dc”. Un uomo di destra come lui avrebbe certo trovato un altro modo di votare, sicuramente anticomunista, ma meno offensivo per le nari, ma preferì rimanere all’ombra del potere democristiano.
Negli anni settanta uscì
dal “Corriere della sera” per fondare “Il Giornale”, l’organo
della “maggioranza silenziosa” piccolo borghese, di cui
solleticava il revanscismo antioperaio e i peggiori umori d’ordine.
Dopo qualche anno, pur
avendo in disdegno la spregiudicatezza di Craxi e dei craxisti,
accettò come editori i protetti di Craxi, i Berlusconi, prima
Silvio, poi Paolo per aggirare la Mammì. Il volume di Travaglio,
ponderoso e godibile, è dedicato appunto ai rapporti tra il grande
giornalista e Sua Emittenza, soprattutto dal momento della “discesa
in campo” del Cavaliere. Montanelli trova ridicola l’ambizione
politica del simpatico ciarlatano brianzolo. Quando, malgrado la sua
opposizione, Berlusconi vorrà coltivarla, Montanelli (convinto che
si romperà la testa) pensa di conservare la sua indipendenza.
Invano. Il cavaliere ha bisogno di servi e scatena contro di lui i
Fede, gli Sgarbi e i Tajani, fino a costringerlo alle dimissioni.
Le circostanze, insomma,
spingono Montanelli a una battaglia prima per la libertà di
espressione sua propria, poi per quella di tutti, infine per la
libertà tout court. La sua resistenza, tra alti e bassi, dura
10 anni e si chiude con la morte del giornalista nel 2001, subito
dopo il ritorno al potere di Berlusconi. Il libro, costruito quasi
interamente con documenti (articoli, lettere, testimonianze) mostra
come l’arguzia si trasformi gradualmente in intelligenza della
bassezza, incultura e volgarità della destra attualmente al governo,
dalle forti tendenze al regime e al manganello. II lettore gode delle
battute salaci, ma avverte anche la profondità delle intuizioni, dei
sondaggi analitici. Grazie a questa battaglia, dai toni a volte
epici, cui – come il finto generale del suo romanzo - è stato
condotto più dalle circostanze che da una intrinseca vocazione,
Montanelli finisce con l’apparire anche ai nostri occhi se non un
maestro, almeno un uomo decente.
Nessun commento:
Posta un commento