PADOVA - Il Canova lo
ritrasse nel marmo, in veste di antico romano, e papa Benedetto XV si
rivolse a lui per salvare la cupola di San Pietro. Ma di Giovanni
Poleni, matematico e ingegnere del Settecento, alcune enciclopedie
non riportano neppure il nome. Per riparare all' ingiustizia,
l'Università di Padova, che ebbe in lui uno dei suoi più illustri
professori, intitola ora al nome di Poleni l' istituto di idraulica.
In occasione della dedica, si tiene oggi una giornata di studi
celebrativi e una mostra di ciò che rimane del poleniano Teatro di
Filosofia Sperimentale (Padova, Aula Magna della Facoltà di
Ingegneria, Palazzo della Ragione).
Chi era dunque, Giovanni
Poleni? Veneziano di buona famiglia, entra nell'Università di Padova
a venticinque anni, nel 1708, per occuparvi la cattedra di Astronomia
e Meteore: incarico che lascerà nel 1715 per passare a Filosofia
Ordinaria e nel 1738 a Filosofia Sperimentale (la nuova cattedra
appena istituita dal Consiglio dei Dieci). Per oltre cinquant'anni,
quindi, Poleni esercita la sua attività di docente nell'Università
padovana, dove la sua influenza fu profonda.
Influenza di che tipo?
L'aspetto più tangibile dell'annoso sodalizio è la costituzione,
nel 1740, del già ricordato Teatro di Filosofia Sperimentale, che in
termini moderni potremmo definire un Gabinetto per l'insegnamento e
la sperimentazione in fisica. La parola "teatro" ricorda le
raccolte naturalistiche di moda in quegli anni. Ma il Gabinetto di
Poleni è qualcosa di più: comprende 400 strumenti, reperti,
macchine che servono alla didattica e può quindi considerarsi il
primo laboratorio universitario italiano. Col Teatro, Poleni riesce
nell'impresa di ottenere dal potere politico investimenti a favore
dell' università; un'impresa che un secolo prima Galileo aveva
fallito. Da questo punto di vista egli merita, a buon diritto,
l'attributo di "pioniere". Ma lo sperimentalismo che col
Teatro e con tutta la sua attività Poleni inietta - non unico, ma
importante protagonista - nell'università è insieme il suo merito e
il suo limite.
"Poleni", dice
lo storico della scienza Carlo Maccagni, che presenta una relazione
alla Giornata di Padova, "è uno degli artefici della riforma in
senso moderno degli studi; ma è anche la cartina di tornasole della
cultura italiana dell' epoca, una cultura ipotecata dall'eccessiva
vicinanza del potere religioso". Giovanni Poleni vive nel
Settecento, ma non è copernicano. Studia Newton, ma
all'eliocentrismo che ha messo nei guai Galileo preferisce un'ipotesi
cosmologica più accomodante come l'eliogeocentrismo ticoniano, che
mette d'accordo Copernico con Tolomeo. Partecipa al suo secolo, è
architetto e idraulico di ampie vedute ma, come gli accademici del
Cimento, la sua attenzione è concentrata sull' esperimento, sulla
necessità della prova e riprova: che è premessa della vera scienza,
ma non è tutta la scienza. "Dietro la figura di Poleni",
osserva ancora Maccagni, "aleggia la domanda di fondo: che cos'
è stata, che cosa è potuta essere la scienza italiana dopo
Galileo?". E la risposta, per chi non abbia intenti agiografici,
non può essere che la seguente: è stata una scienza rinunciataria,
attiva in tutte le discipline "neutrali" ed elusiva in
quelle che coinvolgevano grandi temi.
È un periodo, quello
post-galileiano, in cui progrediscono materie come l'elettricità,
l'idraulica (Poleni), l'anatomia (Giovambattista Morgagni, amico e
collega di Poleni), l'astronomia delle misurazioni (padre Riccioli),
mentre langue, per esempio, la matematica. Grandi matematici
stranieri passano per Padova, ma non lasciano più tracce di una
meteora (Bernoulli) o al massimo intrattengono corrispondenza coi
professori dell'ateneo (Leibniz): la grande discussione sui princìpi
si svolge altrove. "Poleni", dice Maccagni, "è in
fondo una espressione di questa mancanza di coraggio". Da
studioso "à la page", costruisce una macchina da
calcolo, come Pascal e Leibniz. Ma sarebbe eccessivo vedervi, come
vuole qualcuno, l' annuncio dell' "Analitical engine"
di Babbage. "Quello di Poleni è piuttosto un pallottoliere
meccanizzato, costruito in odio al calcolo manuale, un odio che
accomuna tutti gli intellettuali dell' epoca". Più che la
macchina da calcolo, di Poleni resta la "macchina divulsoria"
con la quale lo studioso saggia la resistenza del metallo per gli
anelli destinati a consolidare la cupola di San Pietro, che neppure
il pontificio architetto Vanvitelli sa più come tenere insieme. Per
questa sua impresa romana, per il salvataggio di altre due cupole
importanti nelle basiliche di San Marco a Venezia e del Santo a
Padova, per il riordino della rete fluviale del Veneto, per l'opera
di riformatore universitario, più che per la statura di scienziato,
Poleni merita un posto nella storia. Morì improvvisamente verso
l'alba del 15 novembre 1761, all'età di ottanta anni. Padova, in
particolare, gli deve molto e lo sta dimostrando con le attuali
celebrazioni.
“la Repubblica”15
marzo 1986
Nessun commento:
Posta un commento