Un personaggio comico che
non assomigliava a nessun altro.
Non che mancassero certi
omaggi alla tradizione, a partire dalla valorizzazione delle proprie
anomalie fisiche (prima di Alberto Sordi chiunque si proponesse di
far ridere partiva dal proprio aspetto, che cercava di rendere il più
buffo possibile); e l'omino paludato in vestiti troppo grandi per lui
risale ovviamente a Charlot. Anche il gusto per un umorismo di tipo
stralunato, surreale, è caratteristico dell'Italia dove la satira
aveva la mordacchia.
Ma per il resto Rascel fu
incomparabile, a partire dalla sua arma più appariscente, ossia la
coesistenza di una verve indiavolata da batterista e ballerino di
tiptap, con un supremo controllo dei propri mezzi, che gli consentiva
di calamitare l'attenzione anche, anzi soprattutto, quando parlava
quasi sottovoce, col suo caratteristico tono quasi lagnoso.
Non sempre l'omino Rascel
resisteva alla tentazione di sfruttare la sua corporatura tanto
ridotta per spremere anche un po' di commozione a tradimento; ma le
sue virtù straordinarie figuravano al meglio quando egli metteva la
sua precisione di dizione, la sua economia di gesti e la
concentrazione pacata della sua recitazione al servizio di personaggi
dichiaratamente grotteschi - Napoleone, il bandolero stanco, il
corazziere. Dove, si badi, non fu assolutamente mai volgare, in
questo non diversamente da Totò.
Fenomenale bestia di
palcoscenico, star di riviste e in seguito anche di urbane commedie
musicali di Garinei e Giovannini ben presto imperniate su di lui - da
Marakatumba, ma non è una rumba a Attanasio cavallo
vanesio, da Tobia la candida spia a Enrico 61; poi
ci fu il passaggio alla prosa, sia pure sui generis,
argutamente accoppiato con Walter Chiari nella Strana coppia e
con Gigi Proietti in Alleluia, brava gente.
Rascel fu naturalmente
sfruttato dal cinema, a partire dal 1951, quando piovve una prima
gragnuola di suoi filmetti più o meno raffazzonati e talvolta
ricalcati sulle riviste di successo. Oggi qualcuno potrà deplorarli,
e rimpiangere che il piccoletto non abbia coltivato la vena
drammatica valorizzata da Alberto Lattuada in una interessante
versione del Cappotto di Gogol trasferito fra le nebbie di
Pavia. Ma proprio a quei sottoprodotti dovremo la conservazione di
qualcuno fra i momenti più irresistibili del grande intrattenitore,
e io consiglio i giovani di andarseli a cercare nell'Eroe sono io,
in cui Rascel è Righetto, gelataio che si spaccia per un divo dei
fotoromanzi, in Rascel-Fifì di Guido Leoni (1957), parodia
dei film di gangster nella quale fa la sua comparsa anche Dario Fo,
oppure, ancora, nel (relativamente) ambizioso, più tardo Corazziere
di Mastrocinque, dove è un povero cristo vessato da un gerarca
voltagabbana.
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