8.7.16

Metternich, il principe con le ali (Lucio Villari)

Allontaniamoci per poco dai ricordi di scuola (quanto mai imprecisi e tendenziosi quando imprigionano gli avvenimenti della storia); dimentichiamo l' agiografia del nostro Risorgimento, che ha fatto di lui un mito nero; dimentichiamo anche la sassaiola di versi antiaustriaci di Giuseppe Giusti, e perfino il solenne, potente esordio del Manifesto del partito comunista ("Uno spettro si aggira per l' Europa: lo spettro del comunismo. Tutte le potenze della vecchia Europa, il papa e lo zar, Metternich e Guizot... si sono alleati in una santa caccia spietata contro questo spettro"). Bisogna fare così, se si vuol leggere con calma e obbiettività il libro che lo storico tedesco Franz Herre ha dedicato al principe Klemens Wenzel Metternich, ora tradotto in italiano da Bompiani (pagg. 333, lire 30.000). Per quanto mi riguarda, devo però superare una ulteriore prova: il fastidioso sottotitolo dell'edizione italiana (Considerò l'Italia una espressione geografica"), che nulla ha a che vedere con il sottotitolo tedesco ("Statista della pace"). Ma tant'è; evidentemente i curatori italiani non si rendono conto che la frase di Metternich, dedicata a quella che, nei primi decenni dell' Ottocento, era, anzi, non era ancora l'Italia, aveva un senso preciso, circoscritto e non del tutto infondato.
Se si prestasse poi maggiore attenzione alle date (senza le quali il passato è soltanto un fiume privo di argini), ci si accorgerebbe che il periodo centrale e risolutivo del nostro Risorgimento (cioè la lotta dei liberali e democratici italiani per l'indipendenza dall' Austria e per l'unificazione della penisola), che va dalla prima (1848-49) alla terza guerra di indipendenza (1866) non ha un rapporto diretto con la persona e la politica di Metternich, essendo questi decaduto da Cancelliere nel marzo 1848, durante l'insurrezione popolare di Vienna, costretto all' esilio a Londra e a Bruxelles e morto nel 1859. Dunque, non separiamo e privilegiamo il problema italiano rispetto a quello più vasto dell'Europa dell'età della Restaurazione, che porta - questo sì - il segno profondo dell'azione conservatrice e del moderatismo di Metternich.
Una visione politica, la sua, analoga a quella di tutta la classe dirigente aristocratico-borghese dell'Europa post-napoleonica: dalla Francia alla Russia. E qualsiasi cosa possa essere accaduta nell'Europa continentale dopo il 1815 (insurrezioni, guerre, moti patriottici guidati da sette segrete, diffusione graduale dei princìpi democratici, repubblicani, socialisti), di quell'epoca Metternich rappresentò, per oltre trent'anni, la parola magica, il simbolo ideale unificatore che fu la Restaurazione: un edificio politico, sociale e ideologico piantato sulla roccia dell'Ordine, della Legittimità del potere e del principio monarchico. Solide fondamenta sulle quali soltanto poteva assestarsi, e permanervi sicuro, quel diritto di proprietà tanto caro alla vecchia aristocrazia turbata dalla rivoluzione francese, ed alla borghesia ricca, rianimata dall'incalzante sviluppo della rivoluzione industriale e dalle magnifiche speculazioni del capitalismo finanziario.
Dunque, per quanto odioso ai carbonari italiani, a Mazzini e ai repubblicani francesi, ai socialisti, a Marx e ad Engels, il progetto politico di Metternich si svolse con una duplice funzione unificatrice: la prima, istituzionale e politica, fu messa in moto durante il Congresso di Vienna (1814-1815) del quale lo stesso Metternich fu animatore, capo indiscusso, ospite sontuoso e amabilissimo; la seconda, sociale e culturale, fu attivata per far comprendere anche alla borghesia di essere partecipe di un universo di interessi comuni oltre che di classe. Metternich ed i suoi collaboratori erano convinti, infatti, che "con la loro posizione geografica, con l'uniformità delle loro usanze, delle loro leggi, delle loro necessità, del loro modo di vita e della loro cultura, tutti gli Stati di questo continente formano una sola, grande unione politica che, non senza valide ragioni, è stata chiamata repubblica europea". Naturalmente tale convinzione, espressa da tanto sicuri conservatori, avrebbe potuto appartenere, indifferentemente, anche ai liberali e non solo a quelli contemporanei di Metternich, ma anche di un'epoca a lui successiva. Cosa avrebbe potuto dire di diverso, ad esempio, un Thiers, un Di Rudinì o il generale Pelloux (presidente del Consiglio ai tempi della repressione di Milano del 1898) da quanto dichiarava Metternich intorno al 1830: "Per me la parola libertà ha il valore non di un punto di partenza, bensì quello di un reale punto di arrivo; il punto di partenza è indicato dal termine ordine, il concetto di libertà può poggiare unicamente sul concetto di ordine".
Come dimostra la interessante e documentata ricerca di Franz Herre, Metternich era l'uomo del juste milieu, del moderatismo per così dire più organico e razionale che si potesse allora immaginare. Non per niente egli, che era nato nel 1773 in una zona della Germania prossima alla Francia, sentiva di appartenere culturalmente all'età dell'illuminismo e del dispotismo illuminato. Solo che la sua avversione a Napoleone (era stato ambasciatore a Parigi nel periodo aureo e imperiale di Bonaparte, tra il 1806 e il 1809) e l'incarico di ministro degli Esteri dal 1809 al 1821, gli permisero di vedere con chiarezza il pericolo mortale del sovvertimento "interno" che Napoleone stava provocando nell'Europa delle antiche e grandi monarchie, e di controllare poi le forme e le tecniche della "ricostruzione" del vecchio regime attraverso gli accordi di pace siglati al Congresso di Vienna.
Ma dietro l'intelligente "ricostruttore" si celava la segreta vocazione di un reazionario. Perché atti di reazione furono la costituzione della Santa Alleanza e la dichiarazione del "principio di intervento" militare laddove ci fossero fermenti rivoluzionari. Fu questa la prima teorizzazione (immediatamente operante durante i moti di Napoli del 1820-21) della dottrina della "sovranità limitata" che noi abbiamo visto applicare in anni ancora recenti nell' Europa orientale o nell'America latina. Dunque Metternich non è poi tanto lontano da certi problemi del nostro tempo, non è un corpo celeste sperduto negli spazi della Storia. Comunque, il sigillo poliziesco e militare della Santa Alleanza, stipulata tra Russia, Austria e Prussia, ha segnato Metternich, che di quel trattato fu senza dubbio la mente politica. E fu lui ad alimentare, ne fosse o no pienamente convinto, negli anni della Restaurazione l'immagine di un'Austria "gendarme dell'Europa". Ma anche per questa sua collocazione in un quadro storico così drammatico Metternich merita di essere studiato e conosciuto a distanza ravvicinata.
Tuttavia, il ricordo di Metternich non deve essere soffocato dalle idee politiche e dalla sua lunga e decisa attività di governo. C'è dell' altro, nella biografia di questo personaggio: una vera fioritura di sentimenti, di emozioni e di comportamenti che possono sembrare inconsueti o, comunque, lontani dal suo ritratto ufficiale. Metternich fu un uomo bello e di notevole cultura; amò alcune tra le più splendide donne d'Europa; ebbe tre mogli e fra le amanti predilette anche la sorella del suo maggior nemico, Caroline Bonaparte (consorte di Gioacchino Murat). Erede, sorridente e ironico, della settecentesca sensualità e amoralità libertina, egli seppe sfuggire a ogni condizionamento estetico dell'incombente moralismo sessuale del nuovo secolo. Perennemente innamorato, diceva delle sue amiche: "Non mi distolgono dai miei compiti, al contrario rafforzano il mio senso del dovere, non infiacchiscono l'azione, ma la rendono più risoluta"; e sulla sua scrivania si trovavano spesso mescolati documenti ufficiali elaborati a metà e lettere d'amore appena cominciate.
Su questa inclinazione di Metternich mi raccontò, un giorno, un aneddoto il mio professore di storia moderna: "Ad una amica della seconda moglie di Metternich, che si meravigliava con lei di non vederla gelosa del marito, questa rispose: "Conosco il mio Klemens; al mattino, prima che vada in Cancelleria, gli tarpo le ali!"". E il mio professore aggiungeva: "Forse non si rendeva conto, la signora Metternich, che quelle ali al marito ricrescevano subito, e perfette".


“la Repubblica”,13 luglio 1984  

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