Quello che segue è un
ampio stralcio dell'intervento di Tullio De Mauro tenuto alla Normale
di Pisa nell'anniversario della morte di Sebastiano Timpanaro,
pubblicato dal quotidiano “la Repubblica”. (S.L.L.)
SebastianoTimpanaro |
Sebastiano Timpanaro era
nato nel 1923 a Parma, dove il padre, suo omonimo, siciliano
d'origine, era aiuto di fisica sperimentale. Il ricordo del padre non
è un puro dato biografico. Dobbiamo ricordarne la figura per i suoi
contributi di promozione e difesa della cultura scientifica e della
razionalità critica nel nostro paese e per la sicura influenza
intellettuale ed etico-politica che esercitò sul figlio, che alla
figura paterna e al suo socialismo tornò nel 1952, curandone una
raccolta di scritti di storia e critica della scienza. Il padre, con
la madre, Maria Timpanaro Cardini, autrice di studi ed esemplari
edizioni della sofistica, si trasferì poi in Toscana come professore
di liceo a Firenze e come direttore della Domus Galileiana a Pisa. E
qui, tra Firenze e Pisa, il giovane Sebastiano Timpanaro conobbe
Giorgio Pasquali e ne divenne allievo.
Per ogni filologo
l'incontro con la riflessione critica sulla lingua è, occorre
credere, ineluttabile. Un critico letterario, uno storico di tipo
italiano può forse credere di farne a meno. Un filologo no. Ovvio
che ineluttabile fosse quell'incontro anche per il giovane Timpanaro.
Pasquali dette al giovane
un'altra impronta indelebile: il rispetto sì degli apparati
disciplinari, ma insieme la consapevolezza che nelle "scienze
dello spirito" (e forse non solo) comandano i problemi e per
intenderli e risolverli occorre sapersi munire di armi disciplinari
anche eterogenee, a costo di perdere concorsi universitari perché
non si è icsologi puri, avendo studiato anche y, z e
magari a e b. A costo di perderli o di tenersene
lontani, come Timpanaro ha fatto per tutta la vita. C'era un altro
passo che sulla via dell'appropriazione della linguistica restava e
resta sempre da fare. È il passo, non facile, della storicizzazione
critica degli strumenti di analisi e dei quadri teorici della
linguistica. In modo un po' paradossale si può dire che questo passo
consiste nel trattare la linguistica proprio come un filologo
pasqualiano sa trattare un testo: come un insieme che ci si offre sì
con una sua coerenza, talora chiusa, magari mutriosa e superciliosa,
e tuttavia formatosi tra i rimbalzi e le occasioni (magari mancate)
della vicenda storica, a volte biografica. Questo passo ulteriore, di
conquista della consapevolezza storica e critica della linguistica, è
stato compiuto da Timpanaro, e magistralmente, e in epoche in cui né
la linguistica era di moda o ben affermata in Italia né, in tutto il
mondo, gli studi di storia e teoria della linguistica avevano
sviluppo e credito perfino tra gli stessi linguisti.
Dagli anni Cinquanta
Timpanaro entra in questi campi da dominatore, li svecchia. I suoi
lavori di taglio più accentuatamente storico, su Friedrich e Wilhelm
Schlegel e gli inizi della indoeuropeistica in Germania, su Franz
Bopp e il mondo culturale tedesco della Romantik, e sulla ricezione
di ciò nel mondo culturale italiano, su Carlo Cattaneo, Bernardino
Biondelli, Graziadio Ascoli e i suoi epigoni, su figure minori come
Lignana o Flechia, segnano altrettante svolte nello stato degli studi
di storia degli studi linguistici. La trama di questi lavori di
storia della linguistica mostra chiari legami con i lavori della
storia della cultura e della società italiana dall'Otto al
Novecento: del resto personalità come Cattaneo, più evidentemente,
ma perfino lo stesso Ascoli difficilmente si lasciano chiudere entro
l'orizzonte della sola linguistica.
Così Timpanaro pare
sospinto dai suoi stessi oggetti a procedere oltre, a collegare il
suo lavoro di ripensamento storico della linguistica ottocentesca ad
altro: a studiare la vita culturale e sociale italiana dell'
Ottocento, da un lato, dall'altro a procedere nell'analisi delle
radici e dei limiti dell'organizzazione teorica della linguistica
ottocentesca, ciò che lo porta ad allargare lo sguardo alla
linguistica del Novecento, dagli apporti di Meringer e Freud e della
psicanalisi e da Saussure fino allo strutturalismo dei linguisti e
degli antropologi, a Chomsky.
Ma si resta ancora
lontani dal capire il senso d'insieme di questi lavori. Essi possono
perfino suscitare l'impressione di una certa dispersività, tanto più
se ad essi si affiancano i lavori più strettamente
filologicotestuali, da un lato, e poi, ancora, il noto recupero pieno
del Leopardi filologo, linguista e, soprattutto, filosofo
materialista, i contributi importanti di storia della cultura
letteraria e della lotta politica in Italia, di storia della
Resistenza in Toscana, su De Amicis narratore e socialista, su
idealismo e materialismo, in biologia, storia, letteratura, sul
marxismo teorico e politico, su analogie e diversità tra diritto e
altre istituzioni sovrastrutturali e non, a cominciare dalla lingua.
Timpanaro stesso sapeva
bene che qualcuno intorno a lui lamentava questo suo apparente
disperdersi. A proposito del suo aver lasciato da parte il progetto
giovanile di un'edizione critica di Ennio e di non avere mai
intrapreso quell'edizione critica di Virgilio che Eduard Fraenkel
sognava per lui, Timpanaro nel 1981 scriveva con grande modestia:
«Anche parecchi anni fa mi sarebbero (...) mancate la pazienza e
l'assidua dedizione a un unico argomento».
Eppure la dedizione a un
"unico argomento" c'era. È giunto assai vicino a coglierlo
chi, come Emanuele Narducci in un ritratto fatto per “Belfagor”
ha additato la costante passione politica democratica e socialista
che trascorre nella vita e traspare quasi in ogni scritto di
Timpanaro, quelli metricologici compresi. La milizia politica
appassionata e rigorosa, e quindi per lunghi tratti e negli ultimi
anni quasi inevitabilmente isolata, "inorganica", essa
stessa ha però una chiave eticointellettuale che la anima e
giustifica. Credo che si debba riandare a quello che Timpanaro ha
scritto del padre e alla figura del padre, suo omonimo: un uomo che
avvertì il peso sociale e culturale, la vergogna etica della
chiusura italiana verso le scienze e la razionalità scientifica e
spese la sua vita di saggista e storico per combattere tale chiusura.
Questo a me pare che abbia lasciato non una traccia, ma una piena
continuità in Timpanaro junior. Ogni suo scritto è una difesa dei
diritti della razionalità, inclusi in ciò il riconoscimento della
fragilità e dei limiti della razionalità stessa, con un
destinatario preciso: la nostra cultura e le nostre inculture
nazionali che bloccano il cammino civile della nostra società
italiana e di altre.
Di lui può e deve dirsi
quel che è stato detto di un altro sommo "dispersivo", il
suo amato Cattaneo. Come le opere di Cattaneo, anche gli scritti di
Timpanaro ritrovano una profonda unità se sappiamo vederne
nell'autore un "educatore politico". Educatore politico e
perciò filologo insigne, educatore politico e perciò profondo
conoscitore dell'essere e dei malesseri della nostra tradizione
culturale e filosofica, educatore politico e perciò volta a volta
pronto a scendere in campo contro le persistenze vacuamente
spiritualistiche o sprofondarsi nelle ricerche di storia della
linguistica o di linguistica teorica.
“la Repubblica”, 23
novembre 2001
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