La domenica successiva al
mercoledì 13 marzo 1968, giorno di una grande manifestazione a Pisa
contro l'arresto di due militanti di Potere operaio, Sebastiano
Timpanaro scrive a Claudio Bolelli, suo compagno nel Psiup (il
Partito socialista di unità proletaria nato da una scissione “a
sinistra” del Psi) le sue osservazioni su quella lotta. Tra le
righe si legge un giudizio sull'intero movimento sessantottino. È
testo da leggere e su cui riflettere. (S.L.L.)
P.S. Solo nel giugno
“L'Espresso” avrebbe pubblicato Il Pci ai giovani,
la celebre poesia in cui, a commento degli scontri di Valle Giulia (1
marzo 1968), Pier Paolo Pasolini fa una dichiarazione d'odio agli
studenti contestatori “figli di papà” e di amore per i
poliziotti “figli di poveri”.
Firenze, domenica [17
marzo 1968]
Caro Claudio,
ti ringrazio tanto della
lettera. Anch'io — sulla base di quello che avevo saputo ieri
mattina in Federazione, dal Miniati che aveva avuto notizie da Pisa -
ero rimasto assai perplesso; e la tua lettera (cioè la lettera di un
compagno che è sempre stato in prima linea in manifestazioni di ogni
genere, e che vale quindi come testimonianza del tutto
insospettabile) me lo conferma. Mi sembra, effettivamente, che ci sia
il pericolo di un certo avventurismo, cioè di lanciarsi in azioni
clamorose che, per avere un senso, dovrebbero essere già episodi di
rivoluzione in atto, senza che ancora il movimento abbia
quell'ampiezza, quella forza organizzativa e quei legami con la
classe operaia che sono una condizione necessaria perché la
rivoluzione si possa fare. Di positivo, naturalmente, c'è questa
grande combattività degli studenti rivoluzionari; ma il rischio è
che questa preziosa riserva si esaurisca prima che sia tradotta in un
forte movimento rivoluzionario organizzato.
Naturalmente la prima
responsabilità di tutto ciò è nei partiti tradizionali di
sinistra, che si sono fossilizzati a tal punto da causare una
frattura netta con la nuova generazione studentesca. E purtroppo una
responsabilità grossa ce l'ha, ormai, anche il PSIUP, che qui in
Toscana è su buone posizioni ma in sede nazionale è davvero di uno
squallore notevole. Sarebbe certo una bella cosa che potesse sorgere
un nuovo partito rivoluzionario. Ma la sua nascita mi sembra ancora
molto lontana (tranne il caso, s'intende, che grossissimi fatti
internazionali rimettano tutto in movimento anche qui in Italia). Fra
i gruppetti che dovrebbero, fondendosi, costituire i quadri del nuovo
partito rivoluzionario, non c'è accordo su quasi nulla: né sulla
struttura e la concezione del partito, né sul soggetto della
rivoluzione e sulla funzione della classe operaia nei paesi
capitalistici avanzati, né sull'interpretazione dell'esperienza
cinese. E non c'è, per ora, una spinta di base - di base operaia e
contadina e non soltanto studentesca - talmente forte da bruciare
questi contrasti tra i gruppetti e da creare l'unità partendo dal
basso.
Su un altro argomento
vorrei qualche volta parlare con te e anche con Luciano. A giudicare
dalle manifestazioni a cui sono stato presente qui a Firenze, mi
sembra che una parte eccessiva dell'attività ... orale dei
dimostranti sia spesa in insulti di carattere personale ai poliziotti
(insulti, per lo più, di quel tipo sessuale che è conforme alla più
pura tradizione italiana, secondo cui la massima vergogna per un uomo
consiste nell'essere figlio di puttana o cornuto o impotente o
pederasta). Io credo che lo scontro con la polizia, che è necessario
e inevitabile e che naturalmente non può e non deve essere fatto
"con le buone maniere", non dovrebbe scompagnarsi da
un'azione politica verso la polizia: la quale azione politica,
naturalmente, non può dare nessun frutto a breve scadenza, ma pure
dev'essere impostata. Chi sono gli agenti di polizia? Sono, per lo
più, figli di contadini siciliani, che sono stati spinti ad
arruolarsi dalla miseria (e anche da una certa tendenza alla
fannullonaggine, che però non è un carattere "innato"
razzisticamente al popolo siciliano, ma è una conseguenza di ogni
società agraria stagnante e miserabile) e, una volta fatta questa
scelta, sono diventati degli strumenti della reazione. Da quale
strato sociale provengono i quadri dirigenti dell'apparato repressivo
statale (commissari di P. S., questori, magistratura)? Dalla
borghesia meridionale che opprime e sfrutta i contadini. C'è dunque,
anche se latente, una tensione di classe tra gli agenti e i loro
capi: quella stessa che c'è tra i soldati e gli ufficiali, grosso
modo. In che modo i commissari, i comandanti della Celere, i questori
ecc. ecc. riescono a rafforzare nei semplici agenti lo spirito
reazionario e a farne dei docili strumenti della repressione? In vari
modi, ma soprattutto - cosi, almeno, credo - sfruttando accortamente
il dislivello del tenore di vita tra nord e sud, tra contadini e
sottoproletari meridionali da un lato e operai e studenti
centro-settentrionali dall'altro: facendo apparire gli studenti come
dei "figli di papà" che si divertono a far casino e gli
operai come dei privilegiati. Ora, l'andare a gridare "figli di
puttana" agli agenti è una cosa che fa molto comodo ai
dirigenti della polizia e al governo e al capitalismo. Non vorrei
essere frainteso: non sono tanto cretino da credere che basterebbe
rivolgersi ai poliziotti con tono da "vecchio socialista" e
gridar loro come faceva Pertini nei suoi comizi «Anche voi siete
figli del popolo, unitevi a noi» per trasformare i poliziotti in
compagni o in alleati. Ci vuol altro! Per la stragrande maggioranza,
è chiaro, si tratta di gente "irrecuperabile". Dico, però,
che un lavoro come quello che fece Gramsci con la Brigata Sassari
(composta da contadini e pastori sardi, che picchiavano
selvaggiamente gli operai di Torino vedendo in essi dei "signori",
e che dopo alcuni mesi di lavoro politico da parte del gruppo
dell'Ordine Nuovo dovettero essere trasferiti in fretta e furia via
da Torino) andrebbe tentato o almeno prospettato. E che intanto
sarebbe meglio gridare merda al governo, ai padroni, ai capi della
polizia e dell'esercito che agli agenti.
Tanti saluti affettuosi a
te e alla Giuliana anche da parte di mia madre
Sebastiano
da "Il Ponte", anno LVII nn.10-11 ottobre-novembre 2001
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