19.6.11

"Nasce il terzo grande". 1966, Scalfari canta l'unificazione socialista.


Da “L’Espresso” del 30 ottobre 1966 riprendo la prima parte del fondo del direttore d’allora, Eugenio Scalfari, Nasce il terzo grande che saluta una grande speranza, quella dell’unificazione socialista.
La parte che non riprendo sottolineava le conseguenze politiche di quel processo e cioè: 1) i mutati rapporti di forza all’interno del governo di centro-sinistra presieduto da Moro, la cui vitalità riformista (del riformismo di allora, quello a favore dei meno abbienti) era stata interrotta dai “rumori di sciabole” del luglio 1964; 2) la competizione nel movimento operaio tra il nuovo, più forte partito socialista e il Pci; 3) la necessità di un’autonoma iniziativa dei socialisti per imporre all’opinione pubblica, alla Dc e al Pci i propri temi, le proprie proposte di governo.
La fiduciosa attesa da parte di un giornalista di formazione liberale come Scalfari non era solo sua, ma riguardava una gran parte dell’opinione pubblica democratica e di sinistra, che pure aveva già conosciuto qualche delusione dal quadripartito di centrosinistra, il cui presidente, onorevole Moro, sembrava soprattutto esperto nell’arte del rinvio. Gli si attribuiva la frase “Mai fare oggi quello che puoi fare domani”, variante moderna dell’antica (e in Italia radicata)  prudenza guicciardiniana (“La dilazione reca infiniti favori da principio non sperati e non conosciuti”, Ricordi, 53).
Nella parte che riprendo, la più importante, si evidenzia una costante dello Scalfari: l’idea di “impadronirsi” ideologicamente del Partito socialista unificato, la velleità di imprimergli non solo una caratteristica “terzista”, ma anche una diversa cultura di riferimento, quella liberal-democratica del Partito d’Azione o degli intellettuali del “Mondo” pannunziano, che inseriva le riforme sociali in un orizzonte schiettamente borghese e neocapitalistico. Scalfari, reso popolare dalla grande battaglia de “L’Espresso” sul tentato golpe di De Lorenzo, svolta nel corso del 1967, fu candidato ed eletto al Parlamento insieme a Lino Jannuzzi, autore dell’inchiesta, nelle liste del Partito socialista unificato nel 1968, ma l’operazione di conquista ideologica non gli riuscì anche per la nuova scissione a destra di Mauro Ferri e degli ex socialdemocratici. Gli andrà meglio negli anni Ottanta con il Pci orfano di Berlinguer, attraverso una nuova impresa editoriale legata ai vertici del capitalismo italiano, il quotidiano “La Repubblica”. Saranno l’ultimo Pci e i partiti suoi eredi il “partito liberale di massa” sognato da Scalfari. (S.L.L.)

Socialisti degli anni Sessanta. Saragat (di profilo), Nenni e De Martino 
ROMA – Si compie domenica prossima con la riunione della Costituente socialista, un processo politico che ebbe inizio molti anni fa e che ha trovato finalmente il suo logico sbocco. E’ di moda oggi ricostruire una cronologia ufficiale che valga a segnare le tappe della rinnovata unità; essa prende le mosse dal rapporto Khrushev contro Stalin, dall’incontro di Pralognan tra Nenni e Saragat, dalla rivolta ungherese e dalle reazioni che essa suscitò nell’anima democratica del Partito Socialista Italiano.
E’ una cronologia esatta, ma si comprenderebbe poco del processo d’unità socialista e delle necessità politiche che lo hanno evocato, se non si tenesse presente una cronologia più lontana ma non meno significativa, le cui date coincidono con la nascita del Partito d’Azione e con il tentativo, purtroppo non riuscito, di dar vita fin d’allora a un grande schieramento democratico di sinistra che si ponesse come polo d’attrazione tra la Democrazia Cristiana e il Partito Comunista. In seguito, scomparso il Partito d’Azione e ridottasi la lotta politica a uno schieramento frontale fra due blocchi contrapposti, quel disegno fu ripreso e dette vita a una lunga battaglia condotta da alcune minoranze, della cui chiarezza di idee e nobiltà morale le pagine del “Mondo” rimangono una testimonianza da non dimenticare.
Ora quel processo è arrivato alla sua conclusione: due partiti si incontrano e si ritrovano su una piattaforma comune, pur tra cento sfumature che possono essere altrettanti motivi di forza se tenute insieme da una decisa volontà politica e da una chiara visione dei problemi da risolvere. Due partiti si incontrano, ma accanto ad essi e insieme ad essi gruppi d’intellettuali, di tecnici, di “quadri” sentono fortemente il richiamo che proviene da quell’incontro e le responsabilità individuali e collettive che ne derivano. L’hanno detto molto bene nei giorni scorsi gli uomini di cultura riunitisi a Rama al Teatro Eliseo, intorno a Calogero, a Valiani, a Garosci, a Zevi, quelli riunitisi contemporaneamente a Milano al Club Turati, e in cento altri luoghi noti e meno noti della provincia italiana…
I protagonisti di questi incontri e così pure i dirigenti nazionali e periferici dei due partiti che si uniscono debbono avere ben chiara dinanzi a sé la natura del problema che si apprestano ad affrontare e la posizione strategica che sono chiamati a presidiare. Non si tratta per il nuovo partito socialista di un salto di quantità, ma soprattutto di un salto di qualità. 

1 commento:

Anonimo ha detto...

Fu la Bolognina dei socialisti. Il loro passaggio del rubicone della scissione saragattiana ed il riconoscimento delle ragioni dei socialdemocratici. Non resse più di quattro anni perchè geneticamente il PSI del 66 era profondamente diverso dal PSDI. L'incontro di Prolognan ci deve ricordare che tutte le conversioni verso destra e verso l'atlantismo sono destinate a fallire anche se impediscono il successo della sinistra
Pietro ancona

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