20.3.13

Catullo: "V'inculerò...". Ancora un assaggio dalla mia traduzione inedita (S.L.L.)

Carmina, XVI. 
Pedicabo ego vos et irrumabo,
Aureli pathice et cinaede Furi,
qui me ex versiculis meis putastis,
quod sunt molliculi, parum pudicum.
Nam castum esse decet pium poetam
ipsum, versiculos nihil necesse est;
qui tum denique habent salem ac leporem,
si sunt molliculi ac parum pudici,
et quod pruriat incitare possunt,
non dico pueris, sed his pilosis
qui duros nequeunt movere lumbos.
Vos, quod milia multa basiorum
legistis, male me marem putatis?
Pedicabo ego vos et irrumabo.

Canti, 16.
V’inculerò
V’inculerò, ve lo ficcherò in gola,
Aurelio frocio e Furio bocchinaro,
voi che per i miei versi delicati
quasi mi giudicate un depravato.
Integro e casto dev’essere il poeta,
non i suoi versi. Hanno più sapore
e fascino, se sono maliziosi,
un poco spudorati, con il dono
di eccitare pruriti non soltanto
tra i ragazzini, ma tra quei pelosi
inetti a muovere lombi induriti.
Voi che leggete dei miei mille baci
per ciò mi ritenete poco maschio?
V’inculerò, ve lo ficcherò in gola.
  
Commento
Il gergo più spinto e volgare della sessualità è qui in piena evidenza con verbi quali pedicare e irrumare e insultanti appellativi come pathicus e cinaedus . La scelta, che rientra nella poetica di Catullo, sperimentalista e amante dello shock verbale e concettuale, fa ottimamente da pendant alla dichiarazione di una vita casta e pia. Non deve meravigliare peraltro che questa rivendicazione si accompagni a minacce di sodomizzazione. Vergognosa ed umiliante nella mentalità dell’epoca era solo l’omosessualità passiva e con essa tutte le forme di “mollizie” muliebre, indegne di un vir, di un “uomo vero”. (S.L.L.)

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