12.3.13

Non lascio eredi. Una poesia di Zuzanna Ginczanka (1917 - 1944)

Trovo in un ritaglio da “La Stampa” del 18 aprile 2012 l’articolo di Mario Baudino su Zuzanna Ginczanka, un’ebrea russa che scelse di essere poetessa in polacco e, non ancora ventenne, godette di ampia ammirazione per il non comune ingegno e la non comune bellezza. Resistente, fu torturata e fucilata nel 1944 a Cracovia, dopo essere fortunosamente scampata a morte a Leopoli, dove la padrona di casa l’aveva “venduta” ai nazisti.
Corredava l’articolo la straordinaria poesia che qui riprendo, una sorta di testamento a favore della delatrice.
“Posto”, come appendice, anche un profilo della poetessa, costruito con ritagli dal pezzo di Baudino. (S.L.L.)
 Non omnis moriar, i miei possedimenti
Prati di tovaglie, roccaforti di armadi,
Distese di lenzuola, preziosa biancheria
E vesti, vesti chiare mi sopravviveranno.
Non lascio alcun erede, che la tua mano frughi
Tra le mie cose ebree, signora Chominowa,
Donna di Leopoli, prode moglie di una spia,
Lesta delatrice, madre di un Volksdeutcher.
Adesso sono tue, perché lasciarle a estranei.

DA NON OMNIS MORIAR (1942)
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Appendice
Profilo di Z.G.
Aveva un aspetto esotico, chi diceva armeno chi diceva creolo, due occhi di colore diverso l’uno dall’altro, forse addirittura cangianti visto che nelle testimonianze vanno dall’azzurro all’arancio, e nessuno fra quanti ne hanno poi scritto sembra aver visto gli stessi occhi. Zuzanna Ginczanka era affascinante. Al centro dell’attenzione nei circoli intellettuali della Varsavia Anni 30, scatenava passioni furiose, maschili e femminili. Nei bar della bohème letteraria sedeva al tavolo di un grande scrittore come Witold Gombrowicz. Aveva pubblicato la sua prima poesia nel 1931, a 14 anni.
La Ginczanka è una poetessa con una forte vena satirica, una complessa ricerca linguistica, distensioni liriche e cupi scenari apocalittici, oltre che profetici.
Lo scoppio della guerra la sorprende a Równe, in vacanza. Non potendo tornare a Varsavia, come tanti altri intellettuali si rifugia a Leopoli, dove collaborerà con riviste di osservanza sovietica e aderisce all’Unione scrittori. Intanto si sposa con uno storico dell’arte di 17 anni più anziano di lei, Michal Weinzieher, per quello che viene tramandato come uno strano matrimonio. E quando, nel ’41, i nazisti arrivano anche a Leopoli, comincia una lunga clandestinità. Viene però denunciata dalla padrona di casa, e deve fuggire.
L’ultima tappa è Cracovia, dove è in contatto con la Resistenza. Qui, nell’inverno del ’44, è arrestata insieme con un’amica, torturata e fucilata (a 27 anni), pochi mesi prima della fine della guerra. E tuttavia la pace non le rende giustizia. Come spiega Jaroslaw Mikolajewski, le poesie che ha lasciato non erano certo nella linea del «realismo socialista» adottato come canone universale per giudicare la letteratura. E per di più il nuovo regime comunista polacco non amava ricordare l’antisemitismo prebellico…

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