Il caso Rykov (Nottetempo, 2009) è un libro che raccoglie gli articoli di Cechov giovane cronista su un crack bancario che a Fausto Malcovati, che ne fu curatore e traduttore, ricordò il fallimento Parmalat. Ma con i tanti disordini bancari degli ultimi anni può far pensare a tante altre situazioni. Riprendo qui un articolo da "Tuttolibri" del traduttore, che spiega origini e significati della vicenda e dà conto della scelta di pubblicare in Italia.(S.L.L.)
Non ci fosse stato il crack Parmalat, mai mi sarei accorto di questo sconosciutissimo testo cechoviano, Il caso Rykov. La scoperta del testo fu del tutto casuale. Traducevo L'anniversario, atto unico cechoviano tra i più spassosi e indiavolati: protagonista e un direttore di banca che sta organizzando, tra mille intralci, la celebrazione del decennale dell'istituto. Si scrive da solo il discorso che verrà pronunciato dal presidente, con sperticati elogi della sua stessa gestione, si compra da solo pergamena e vassoio d'argento che i dipendenti gli offriranno nel corso della cerimonia, fa preparare dal segretario il bilancio adeguatamente truccato per far risaltare gli utili. A un certo punto la moglie, che gli fa una visita del tutto indesiderata, si lascia sfuggire una battuta su certi titoli comprati e rivenduti in modo non del tutto limpido: subito il segretario la interrompe, sibilandole che sono cose da non lasciarsi sfuggire mai, nemmeno in presenza del proprio marito. A quella battuta c'era un rimando del curatore: probabilmente, diceva, Cechov si riferisce qui agli articoli scritti in occasione del processo Rykov, vedi pagina tale del volume tale.
Il processo Rykov? Sì, il processo Rykov. Intanto una data: 1884, anno lugubre, funesto. Tre anni prima da una bomba terrorista era stato dilaniato Alessandro II, lo zar delle riforme, dell'abolizione della servitù della gleba: sembrava che la Russia avesse definitivamente imboccato la via della modernizzazione e, invece, quella bomba la fece ripiombare in un nuovo Medioevo. Alessandro III, il successore, inaugura un periodo di ottuso dispotismo, di repressione totale, di sanguinosi pogrom antisemiti, di umilianti restrizioni in scuole e università, di misure eccezionali per abbattere ogni forma di resistenza e autonomia. Ovunque violenza, rigore, censura, controlli, sospetti, abusi.
Proprio nel 1884, grazie a una delazione, viene arrestato e processato da un tribunale militare il gruppo dei terroristi autori dell'attentato, che fa capo a una donna, Vera Finger: sette condanne a morte (poi commutate in ergastolo). Anche la politica economica e finanziaria segue gli stessi principi: opprimere e sfruttare spietatamente i deboli, favorire e proteggere sfacciatamente i nobili.
Abusi, vessazioni, ma anche truffe, corruzioni, brogli, raggiri. A cominciare dal ministro delle Finanze Visnegradskij che attinge alle casse dello Stato e avvalla spericolate operazioni di Borsa, insensati investimenti.
Il 1884 è un anno cruciale per l'opinione pubblica russa: appena riavutasi dal processo ai terroristi, concluso in settembre, viene sconvolta da uno scandalo bancario senza precedenti. Il 22 novembre si apre un clamoroso processo per bancarotta fraudolenta. Al centro, una piccola banca provinciale di cui nessuno aveva mai sentito parlare, la banca di Skopin, nel Governatorato di Rjazan'. Un buco di svariati milioni di rubli. Le accuse: compravendite fasulle di titoli, giri assurdi di cambiali scoperte, emissioni di false obbligazioni, appropriazione indebita di capitale, corruzione di funzionari, sovvenzioni o ricatti a uomini politici; insomma, un groviglio inestricabile di connivenze, speculazioni, false informazioni, loschi traffici che coinvolse centinaia di piccoli risparmiatori, molti dei quali furono ridotti sul lastrico.
Il processo ha sulla stampa un'eco straordinaria: vi assistono giornalisti da tutta la Russia, fra cui un giovane alle prime armi, del tutto sprovvisto di cultura giuridica ma acuto osservatore della curiosa fauna che sfila in aula nei venti giorni di udienze, tra testimoni, imputati e giudici. E' Anton Pavlovic Cechov. Lette le pagine cechoviane, sono tornato con curiosità alle cronache del crack Parmalat. Per quel poco che continuo a capire di losche manovre bancarie, le cronache del processo Rykov mi sembrano un'impressionante anticipazione dei fatti italiani di circa centoventi anni dopo. Certo, la terminologia è cambiata (ma la sostanza è vergognosamente identica): oggi si parla di «finanza creativa», «titoli tossici» , «falsa liquidità», «comportamenti omissivi», «dati contabili del tutto inveritieri», «stato di insolvenza» e via dicendo. Quella che non è cambiata di un filo è la spudorata arroganza dei protagonisti che, in un caso come nell'altro, si protestano innocenti pur messi di fronte a prove e testimonianze o dichiarano con turpe ipocrisia (leggo le dichiarazioni di Calisto Tanzi, ma Rykov e la sua banda non erano da meno) di non aver mai pensato di danneggiare i piccoli risparmiatori con le loro truffe, le loro reticenze, i loro silenzi, le loro menzogne, le loro astuzie.
Lascio trovare al lettore ulteriori ignobili coincidenze. Resta la sua inimitabile arguzia nel cogliere gesti, toni, espressioni, tic dei personaggi che gli sfilano davanti, resta la sua instancabile curiosità nel riprodurre racconti, testimonianze, deposizioni, la sua leggerezza, la sua ironia nel cogliere l'ingenua semplicità degli innocenti, la sprezzante indifferenza dei colpevoli. Un esempio per tutti: il monaco che arriva dal suo eremo a raccontare come sia finito nella trappola di Rykov. E conclude: “E i miei soldi, signori giudici, adesso me li ridate?”
“Tuttolibri – La Stampa”, 14-02-2009
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