Nell’agosto 1989 “il manifesto” propose come lettura estiva una sorta di dizionario di luoghi, la cui pregnanza e complessità semantica ha prodotto letteratura, riflessione filosofica o scientifica, storiografia, luoghi insomma che danno luogo a parole (Parola di luogo era il titolo della serie). La voce “Finestra”, che qui riporto, è di Alfonso Maria Jacono. (S.L.L.)
Che differenza c'è fra lo strano e il meraviglioso? E che rapporto hanno entrambi con la finestra? Nella Casa deserta, Hoffmann ci dice che nella vita i fenomeni reali sono spesso più meravigliosi di tutto ciò che la fantasia più sbrigliata cerca d'inventare» (cito dalla traduzione di Ervino Pocar, in Hoffmann, L'uomo della sabbia, Bur, 1983). Apparentemente, qui Hoffmann sembra riprendere un tema antico, che la filosofia moderna aveva ravvivato sulla scia degli sviluppi della conoscenza scientifica. Il tema antico era già in Platone e in Aristotele, i quali ci dicono che la filosofia deriva dalla meraviglia. Essa si caratterizza, secondo Aristotele, per l'osservazione dei fenomeni della natura. E' la loro regolarità che suscita meraviglia e ci impone delle domande sui moti degli astri e sul perché dell'universo ordinato.
Il termine greco, che indica meraviglia o ammirazione, deriva da «vedere». E la vista, per Aristotele, è il senso più sofisticato, più adatto alla conoscenza. La meraviglia comporta partecipazione conoscitiva al fenomeno, ma con distacco, come è proprio del vedere che coglie l'oggetto a distanza. Nel pensiero moderno, per esempio in Fontenelle, è assai forte la distinzione tra «falso mera¬iglioso» e «vero meraviglioso». Anche questa, in fondo, è una distinzione antica, che si riscontra, per esempio, già negli storici greci e va a incrociarsi con la separazione fra mito (storia falsa) e storia (storia vera). Per Fontenelle il «vero meraviglioso» è quello della natura e dei suoi fenomeni, che si contrappone al «falso meraviglioso» delle favole e delle credenze superstiziose.
La conoscenza «vera», cioè scientifica, della natura desta più meraviglia delle conoscenze «false». Si può ammirare la regolarità dei fenomeni naturali, una volta che i prodigi siano stati spiegati e piegati al controllo conoscitivo della scienza. Attraverso la meraviglia, o meglio, attraverso il «vero meraviglioso», la conoscenza scientifica si impossessa anche del godimento estetico che producono i fenomeni reali. Il meraviglioso dissolve così lo strano, l'irregolare e il pauroso.
Ma in Hoffmann non è più così. Lo strano e il meraviglioso acquistano un nuovo rapporto di vicinanza e di ambiguità. E i mezzi artificiali con cui la vista poteva amplificare il proprio potere per il godimento del «vero meraviglioso» - le lenti, il cannocchiale, lo specchio - diventano, o tornano a essere, gli strumenti del ritorno all'ambiguità fra lo strano e il meraviglioso. In alcuni casi ciò avviene attraverso le finestre, poiché quel «guardare attraverso», che queste consentono, marca la zona d'ombra fra il possedere-a-distanza, che la vista assicura, e l'illusorietà o precarietà di un simile possesso. Tra le maglie del meraviglioso torna a insinuarsi lo strano.
Nell'Uomo della sabbia Hoffmann ci descrive Nataniele che scorge per la prima volta Olimpia attraverso una finestra. Tutta la scena è significativa al riguardo. L'inquietante Coppola entra nella stanza di Nataniele e cerca di vendergli degli occhiali che chiama occhi. Al rifiuto atterrito di Nataniele, Coppola fa sparire gli occhiali e tira fuori dei cannocchiali. Il terrore di Nataniele di fronte a Coppola dipende dal fatto che quest'ultimo assomigliava a Coppelius, l'amico del padre, l'«uomo della sabbia» di cui aveva saputo da piccolo, che rubava gli occhi ai bambini per portarli sulla luna. Ma, scomparsi gli occhiali, Nataniele ritrovò la sua calma e pensando a Clara capì che tutto l'incantesimo era nato dalla sua mente e che Coppola era certamente un onesto ottico e meccanico, non già il sosia maledetto di Coppelius. Oltre a ciò i cannocchiali che Coppola aveva messo sulla tavola non avevano niente di straordinario o di incantato come gli occhiali; sicché per aggiustare le cose Nataniele pensò di acquistare realmente un cannocchiale».
Apparentemente dunque Nataniele riporta la situazione su un piano di razionalità e di ragionevolezza. Coppola è un ottico e meccanico e un cannocchiale è un cannocchiale. Tuttavia è attraverso questo strumento che Nataniele entrerà nella storia di Olimpia, l'automa con sembianze di donna. «Ne prese un piccolo, tascabile, molto elegante, - continua a narrarci Hoffmann - e per provarlo guardò dalla finestra. Non gli era mai capitato di avere un cannocchiale che avvicinasse gli oggetti con tanta chiarezza e precisione.
Il cannocchiale, che amplifica il potere della vista e dunque del possesso a distanza, che ha permesso di scrutare il meraviglioso delle stelle, dei pianeti e dei satelliti, che ha aiutato la chiarezza e la precisione scientifica, qui diventa, al contrario, strumento di uno scambio inquietante. Olimpia, l'automa, diventa per Nataniele, che guarda dalla finestra, un volto meraviglioso di donna. In Hoffmann, non è più l'automa a mostrarsi come una meraviglia della natura artificiale, che imita i movimenti e sembianze di una natura vivente. Tutt'al contrario, per Nataniele la meraviglia deriva da una tragica confusione, cioè proprio dal fatto che egli non si accorge della natura morta dell'automa e la scambia per una natura vivente. La natura meccanica, che imita la natura vivente desta non meraviglia, bensì orrore. Nataniele prova meraviglia alla vista di Olimpia solo in quanto non si accorge della realtà.
Il cannocchiale, usato attraverso una finestra, contribuisce a tale scambio e a tale confusione. «Involontariamente guardò nella stanza di Spallanzani: come al solito Olimpia era seduta davanti al tavolino sul quale appoggiava le braccia e le mani giunte. Soltanto ora Nataniele vide il viso meraviglioso di Olimpia. Solamente gli occhi gli parvero stranamente fissi e morti. Ma aguzzando lo sguardo attraverso il cannocchiale gli parve che quegli occhi si illuminassero di umidi raggi di luna. Pareva che solo in quel momento vi si accendesse la forza visiva; e gli sguardi fiammeggiavano sempre più vivi».
Quanto più Nataniele, dunque, aguzza lo sguardo attraverso il cannocchiale, tanto più si immerge nella confusione. Quel che per lui è meraviglioso, per il lettore si mostra già come strano. Gli occhi di Olimpia sono stranamente fissi e morti. Essi si vivificano, allo sguardo di Nataniele, grazie alla luce dei raggi di quella luna, dove Coppelius usava portare gli occhi che rubava ai bambini.
Quel che Nataniele vede dalla finestra non sembra rientrare rielle distinzioni che Roger Caillois e Tzvetan Todorov hanno voluto fare fra strano e meraviglioso nella letteratura fantastica: in Hoffmann proprio la continua tensione fra strano e meraviglioso sembra produrre l'effetto narrativo. D’altra parte Hoffmann stesso, ne La casa deserta, ci dice del rapporto fra lo strano e il meraviglioso. Nel dialogo iniziale fra amici, che precede il racconto, Teodoro osserva che si chiamano strane tutte le manifestazioni della conoscenza e del desiderio che non si possono giustificare con argomenti razionali, mentre è meraviglioso ciò che appare impossibile, incomprensibile, «ciò che sembra superare le forze della natura o, aggiungo io, pare contrasti col suo solito andamento. Ne dedurrai che a proposito della mia pretesa facoltà profetica hai scambiato poc'anzi lo strano col meraviglioso.
Certo è però che l'apparentemente strano scaturisce dal meraviglioso e che talvolta non vediamo il tronco meraviglioso dal quale rampollano i ramoscelli strani con foglie e fiori». E, aggiunge Teodoro, l'avventura che racconterà sarà una mescolanza di strano e di meraviglioso.
Secondo Roger Caillois, è il fiabesco che appartiene al meraviglioso, come un universo parallelo al reale, che non lo sconvolge, né lo distrugge. Il fantastico, invece, è l'irrompere di qualcosa che provoca una rottura nella coerenza dell'universo. Esso appartiene allo strano e al pauroso. Ma, in Hoffmann, lo strano sembra irrompere direttamente nel meraviglioso e il meraviglioso nello strano. I livelli della realtà narrativa sono molteplici. Vi sono universi paralleli che si toccano e confliggono in alcuni punti. Spesso, almeno due storie si incontrano nel racconto.
Ne La casa deserta sarà ancora attraverso una finestra che lo strano e il meraviglioso si incroceranno. Questa volta però la scena è rovesciata. Teodoro, guardando la casa deserta, scorge dapprima una mano e un braccio che sporgono da una finestra in alto. Nataniele guardava attraverso la finestra dall'interno della sua stanza; Teodoro guarda attraverso la finestra dall'esterno della casa. Ed egli, la prima volta, usa un binocolo.
Le finestre rappresentano quella distanza del possedere che è caratteristica della conoscenza visiva. Una distanza che è segnata dalla separazione fra l'oggetto osservato e il soggetto osservatore. Le finestre rappresentano l'ambiguità di questo tipo di possesso: la separazione offre anche l'illusione di un possesso della verità, che invece risulta poi diversa da quel che appare.
Ne La casa deserta vi sono due tipi di animali, che Hoffmann fa evocare a due dei suoi personaggi: i pipistrelli e le talpe, E il racconto termina con il saluto di Francesco, che apostrofa Teodoro con questa battuta: «Buona notte, pipistrello di Spallanzani». I pipistrelli e le talpe non hanno nella vista lo strumento del conoscere. Ed è proprio per questo che gli uomini dotati della facoltà di vedere il meraviglioso sono paragonati ai pipistrelli. Questi, pur senza vista, hanno un sesto senso, dice Francesco, che è superiore a tutti gli altri sensi messi insieme. Chi ha la vista e guarda dalla finestra, con binocolo o cannocchiale, può essere ingannato proprio da quella tranquilla sicurezza che dà il conoscere a distanza della vista.
La distanza, e la separazione segnalata dalla finestra, del soggetto osservatore dall'oggetto osservato non sempre assicura quel tipo di conoscenza fredda, come è freddo l'occhio, che ci dice che quel che si vede appartiene all'oggetto e alle sue qualità. La finestra rappresenta l'illusione del non coinvolgimento del soggetto osservatore di fronte a ciò che osserva, ma che non tocca con mano. E' l'inganno di una conoscenza che pretende di conoscere senza azione. Hoffmann vuole disvelare quella illusione e quest'inganno, ed è perciò che strano e meraviglioso coinvolgono l'osservatore a cui non basta certo una finestra per proteggersi dal coinvolgimento in questo gioco. Al contrario, è proprio il vedere a distanza, nella separazione che la finestra crea tra l'osservatore e la cosa osservata, che esplodono tutte le ambiguità del reale, dello strano e del meraviglioso, tra ciò che la mente costruisce e ciò che la realtà impone.
In pittura, saranno le finestre di René Magritte a mettere in discussione quel confine tra soggetto e oggetto che Leon Battista Alberti aveva segnato, definendo la rappresentazione pittorica una finestra sulla realtà.
“il manifesto”, 23 agosto 1989
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