11.3.13

Ombre d’America. Vita e morte di Toro Seduto (Nando Minnella)

Uno sparuto gruppetto di Hunkpapa-Sioux percorre guardingo il sentiero di guerra. Vanno a caccia di uomini. Uno di loro avvista il nemico che sta per scagliare una freccia: si lancia con impeto noncurante del pericolo per contare il suo primo colpo in battaglia. Lo colpisce con precisione all'avambraccio con il «bastone da colpi» e urla: «Colpito. Io 'Lento', l'ho vinto!». Era l'inverno del 1845 nel Dakota. Quel ragazzo era il futuro «Tatanka Yotanka», Toro Seduto. La sua gente lo chiamava con un nome buffo («Lento») per il suo carattere ponderato, riflessivo, guardingo e temerario a un tempo. Non aveva che quattordici inverni di età. A dieci aveva stroncato il suo primo bisonte. L'America avrebbe presto fatto i conti con questo suo piccolo-grande nemico che incarnava l'anima indigena del rude continente e il volto fiero e autentico del mondo Sioux.
Poco più tardi dimostra ancora la sua audacia affrontando in un leggendario duello all'ultimo sangue, un capo dei Crow durante una razzia di cavalli sulle rive del Porcupine; e poi fronteggia i «Lunghi Coltelli» sul monte Killdeer, nelle battaglie delle «Terre Maledette» (Bad Lands), sul fiume Powder. Presto intuisce l'importanza di tessere una ragnatela di alleanze tra le tribù indiane in lotta. Infatti, dopo il massacro di oltre un centinaio di Cheyenne, per lo più donne e bambini, da parte del «colonnello-pastore» Chivington dei Volontari del Colorado nel 1864, accetta di fumare la pipa di guerra con i capi Cheyenne e Arapaho.
Il leader di guerra della banda dei «Cuori Forti» hunkpapa riprende la lunga teoria di imprese personali, scontri e battaglie contro i bianchi e l'esercito americano che tentano di arginare le scorrrerie dei Sioux e tenerli lontani dalle piste calde: quelle che portano alle miniere d'oro delle Black Hills e alle terre dell'Ovest. Si forgia sul campo una visione d'insieme delle cose e degli avvenimenti e comincia a delineare in nuce una strategia contro il «diluvio bianco». Ma ancora gli manca l'«Hanblechia», la sacra visione, fonte di poteri e di carisma spirituale; cosa che puntualmente avviene a Sylvan Lake, sulle sacre «Colline Nere». In seguito a questo avvenimento «wakan», cioè sacro, avverte di essere stato prescelto dal «Grande Spirito» per guidare il suo popolo. Intanto gli avvenimenti precipitano. I generali delle «Giacche Blu» approntano le campagne militari per la decimazione dei «Pellirosse». Adesso ci vuole sempre maggiore sagacia politica, lucidità, doti organizzative e senso di opportunità nelle scelte da compiere sia in guerra sia sul tavolo delle trattative per evitare di essere sterminati. Ed eccolo sul sentiero di guerra a dare scacco matto a navigati generali come Sully, Connor, Sherman, Sheridan; ma anche agli ancestrali e coriacei nemici rappresentati dai Crow, Hohe, Ree, Hidatsa, Mandan, ecc.
Non dimentica però di godersi le sue donne, sognare teneri destini per i suoi figli e i bambini della tribù, comporre canzoni magiche, praticare la sua «medicina», i suoi poteri visionari, e la caccia negli sterminati pascoli della Madre terra. Cresce il suo carisma e la fama di grande guerriero sia tra la sua gente che presso i bianchi. Con l'elezione a «Itankan», grande capo, Toro Seduto sente che gli sono stati affidati i destini della gente Sioux. Attorno alla sua figura si coagulano le visioni individuali e collettive di un popolo guerriero, signore della guerriglia, in lotta per la sopravvivenza.
Coglie l'occasione per riunire tutte le bande dei Teton-Sioux per bloccare l'invasione dei bianchi e le tribù vicine a cui non concede tregua. Continua la guerra con altri mezzi - che paiono desunti da von Clausewitz - facendo firmare nel 1868 a Fort Rice a due suoi guerrieri (Bile e Gufo Toro) un trattato di pace per prendere tempo e difendere a tutti i costi i sacri territori di caccia. Ma, manco a dirlo, il patto viene violato; in più, 1'«eroico» Custer stermina a Washita 103 inermi cheyenne di Pentola Nera e fa prigionieri 53 donne e bambini. Dal 1807 in poi si assiste a un crescendo di attacchi contro le tribù indiane che è proporzionale all'espansione, agli insediamenti bianchi e allo sviluppo delle ferrovie transcontinentali. Lo sterminio dei bisonti aggrava tragicamente le condizioni degli indiani. Si creano le premesse per un grosso scontro risolutivo. Toro Seduto sente nel'aria l'avvicinarsi di grandi eventi. Si ritira in preghiera. Ha la visione della vittoria a breve sui bianchi e comunica la sua profezia al suo popolo durante l'offerta della lacerazione della propria carne al Grande Spirito nella «Danza del Sole». Riunisce intorno a sé gli Oglala di Crazy Horse, i Minniconjou, i Sans-Arcs, gli Hunkpapa, i Cheyenne e parte di Arapaho, Brulé, Santee, Yanktonai, Blackfeet, e nel 1876 a Little Big Horn esprime al meglio il suo «genio militare» castigando il gasato Custer e l'ancor più pompato Settimo cavalleggeri.
Ma ha inizio la «débàcle» del Sachem degli Hunkpapa. Il governo ame¬ricano prepara la controffensiva; ammassa truppe nella regione dei Sioux, i quali subiscono grosse perdite sui campi di battaglia. Braccato per anni si vede costretto a riparare in Canada per poi, nel 1881, con 187 seguaci ritornare negli Usa sfiduciato di non aver potuto riunire tutte le tribù contro i bianchi. Si arrende e diventa prigioniero di guerra a Fort Randall. Qui si cerca di minarne l'autorità e il prestigio in quanto simbolo della resistenza indiana. Poi viene trasferito a Standing Rock, e degradato a «oggetto folklorico» di cerimonie e inaugurazioni, esibito nelle varie tournée attraverso città e stati americani, ingaggiato persino nel 1885 da Buffalo Bill nel suo «Wild West Show». Sopporta ostilità, lazzi e sberleffi, ma anche l'isterica ammirazione delle folle; durante le inaugurazioni si prende piccole vendette personali: rovescia sui bianchi improperi e insulti in lingua sioux invece che saluti, facendo inorridire l'interprete.
Si adegua alla nuova situazione convinto che tutto ciò che avviene faccia parte del grande e misterioso cerchio dell'esistenza. Era dell'idea che così come nei tempi passati era stato necessario usare il fucile, ora era altrettanto importante saper utilizzare gli strumenti del bianco per far sopravvivere la nazione, la religione e le tra¬dizioni dei Padri. Si dedica persino all'allevamento dei polli e bovini e fa costruire una piccola scuola dove manda i propri figli. Ma verso la fine del 1888 una commissione governativa cerca di stipulare la cessione di oltre dieci milioni di acri di terra sioux a prezzi da furto. Vi si schiera contro. Tenta di convincere la sua gente a non «firmare la morte» della nazione sioux. Ma nonostante tutto, la cessione viene stipulata l'anno seguente. Ormai è un peso per i bianchi e per il suo popolo sempre più influenzato dagli agenti governativi. Nel frattempo si stava diffondendo un pericoloso movimento chiamato «Danza degli Spettri» iniziato da un profeta Paiute del Nevada, Wovoka, e diffusosi poi a macchia d'olio tra gli indiani.
La profezia diceva che i morti sarebbero tornati, così tutti gli animali, i bianchi finalmente sgominati, e la terra sarebbe appartenuta per sempre alla gente nativa. In questo modo i popoli del Grande Spirito nel momento del loro tramonto attraverso il rito e il mito cercano di ripristinare i sistemi tradizionali di vita, e modificare quella realtà critica che li stava annientando.
I primi clamori della «Ghost Dance» trovano Toro Seduto  alquanto scettico, ma poi vi è l'adesione convinta. «Il Grande Spirito - dice - che ha così a lungo abbandonato i suoi figli rossi, sarà da ora in poi al loro fianco contro i bianchi, e la polvere da sparo non avrà più potere, non potrà penetrare attraverso le «Ghost Shirts» (le «camicie degli spiriti» indossate dai guerrieri). Al contrario di altre tribù che accettano la profezia di Wovoka disponendosi in semplice «attesa» dell'evento e «fuga» nel mito, per i Sioux, popoli guerrieri, il messaggio assume un significato e un segnale di lotta eversiva, l'occasione per agire sul piano storico, sia pure con la garanzia di una protezione sovrannatutrale, contro i dannati «Wasichu». Toro Seduto avverte che è alla fine della pista. Ma non si rassegna e sogna ancora, partecipa alla «Danza degli Spettri» e spezza simbolicamente la sua pipa della pace che aveva conservato per quasi dieci anni. La Storia furba e impietosa lo travolge ma non già sul campo di battaglia: incarica la canna rinnegata di un fucile di un «tenente» e un «sergente», entrambi indiani, che erano andati ad arrestarlo sul fiume Grand, dov'era accampato con la sua gente.
Era l'alba gelida del 15 dicembre 1890 nel Dakota. Due settimane più tardi l'America bianca avrebbe definitivamente pareggiato i conti con il massacro di «Wounded Knee». La cultura dell'avere aveva sconfitto la sua grande e secolare nemica: la cultura dell'essere.

“il manifesto”, 16 dicembre 1990

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