Qualche anno fa Alberto
Piccinini, tra i ritagli che ogni giorno sceglieva per la rubrica
Vuoti di memoria, che curava
per “il manifesto” scelse il pezzetto di Marx che segue,
sul debito pubblico, intitolandolo Alienazione. Erano
i tempi dello spread alto,
che sembrano essere lontani, ma la speculazione è sempre in agguato.
(S.L.L.)
Il sistema del credito
pubblico, cioè dei debiti dello Stato, le cui origini si possono
scoprire fin dal Medioevo a Genova e a Venezia, s’impossessò di
tutta l’Europa durante il periodo della manifattura, e il sistema
coloniale col suo commercio marittimo e le sue guerre commerciali gli
servì da serra. Così prese piede anzitutto in Olanda. Il debito
pubblico, ossia l’alienazione dello Stato — dispotico, costituzionale o
repubblicano che sia — imprime il suo marchio all’era
capitalistica.
L’unica parte della
cosiddetta ricchezza nazionale che passi effettivamente in possesso
collettivo dei popoli moderni è il loro debito pubblico. Di qui, con
piena coerenza, viene la dottrina moderna che un popolo diventa tanto
più ricco quanto più a fondo s’indebita. (...) E col sorgere
dell’indebitamento dello Stato, al peccato contro lo spirito santo,
che è quello che non trova perdono, subentra il mancar di fede al
debito pubblico. Il debito pubblico diventa una delle leve più
energiche dell’accumulazione originaria: come con un colpo di
bacchetta magica, esso conferisce al denaro, che è improduttivo, la
facoltà di procreare, e così lo trasforma in capitale, senza che il
denaro abbia bisogno di assoggettarsi alla fatica e al rischio
inseparabili dall’investimento industriale e anche da quello
usurario. In realtà i creditori dello Stato non danno niente, poiché
la somma prestata viene trasformata in obbligazioni facilmente
trasferibili, (...) come se fossero tanto denaro in contanti. (Karl
Marx, Il Capitale», 1867)
da “il manifesto”, 29
dicembre 2011
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