Shibata Toyo |
La poesia orientale da
sempre ha la capacità di tenere insieme il grande e il piccolissimo,
il sacro e il quotidiano. Anzi, proprio attraverso il quotidiano, ci
inoltra in quel mistero incredibile che è il nostro mondo, proprio
lì, nel punto un cui siamo: tutto qui? Tutto qui. Mondo e esseri.
La famiglia, per esempio.
Una madre, un padre, un figlio. La casa, la sveglia al mattino, il
lavoro. La giornata, i mesi, le stagioni. I dolori, le gioie, i
tradimenti, cosa sono? Un attimo, un soffio. La vita passa in un
soffio, e di colpo hai novantadue anni e ti trovi vedova… succede,
e allora cosa fai? Se sei triste
guarda il cielo, suggerisce l’ultracentenaria Shibata
Toyo.
Chi è Shibata Toyo?
Nelle ultime fotografie ci appare come una centenaria piccola
piccola, quattro ossa, uno scricciolo sorridente con addosso una
specie di chimono grigio simile a un paltò. Ha cominciato a scrivere
poesie all’età di novantadue anni e ha continuato a farlo fino al
2013, l’anno in cui se è andata, a centodue anni. La pubblicazione
delle sue poesie in Italia ci consegna appena in tempo questa piccola
eredità poetica: Se sei triste guarda il cielo (traduzione di
Andrea Maurizi, prefazione Shinkawa Kazue, Mondadori, pp 80, euro
9,00).
Era nata nel 1911 nella
città di Tochigi, unica figlia d’un commerciante di riso e poi…
È sopravvissuta a un terremoto. Ha creduto di morire sotto i
bombardamenti dei B 29 americani. Ha lavorato come cameriera in un
rjokan, in un ristorante. Ha confezionato kimono a cottimo, come
aveva imparato da sua madre. Ha praticato e insegnato danza
tradizionale giapponese in quartiere. Una vita come tante.
C’è una sezione, nel
libro, in cui Shibata Toyo ricorda quando nel rifugio antiaereo stava
immobile, terrorizzata, col bambino appena nato tra le braccia.
Ricorda quanto ha sofferto per vessazioni, incomprensioni,
tradimenti. Da ragazza, quando subiva angherie sul posto di lavoro,
andava a piangere su un certo ponte: Il Kõraibashi, che
letteralmente significa «ponte della fortuna». Lì si rannicchiava
e l’amica e collega Fu Chan allora le diceva «Non ti abbattere!».
Insieme guardavano il cielo e le nuvole bianche viaggiare sopra le
loro teste… e in pochi attimi, senza motivo alcuno, ecco le ragazze
si asciugavano gli occhi e rimettevano in borsa i loro fazzoletti.
Effetto del cielo? Sembra una favola ma non lo è. È solo altro
tempo, un altro mondo, è lo sguardo trasfigurante della saggezza che
si posa tranquillo sopra ogni cosa.
«Da allora sono passati
più di ottant’anni», scrive Shibata, e nel frattempo l’antica
ragazza ha preso coscienza di una cosa: «Io esisto grazie all’amore
delle persone con cui mi relaziono». E le persone con cui l’ormai
centenaria Shibata Toyo si relaziona sono suo figlio, la badante e la
nuora. Triangolo classico. Ma tra loro c’è una certa poesia,
qualcosa di minimo, di purificato. È strano: quel che a volte nel
corso della vita tentiamo di fuggire è ciò che più permane bel
ricordo: «…ridere giocando con le carte a motivi floreali insieme
a mio marito, mio figlio, e a sua moglie; andare ai bagni pubblici,
al cinema e alle terme con mio figlio, o andare ogni anno in viaggio
con le adorate cugine…».
Tutto qui? Tutto qui,
come una nuvola sulla testa: passato il terrore, passato il dolore è
questo che fa memoria, è questo che il tempo lascia sul letto del
fiume. Poesie piccole, scritte col lapis sul taccuino quando la
badante se ne va. «Sono vent’anni che vivo sola e non mi do per
vinta». Sul comodino la radio, la busta delle medicine, il quaderno
e la matita. Al muro il calendario dove Shibata Toyo scrive l’ora e
il nome di qualcuno.
Poesia…Anni luce dal
canone, anni luce dalla scuola, ma che importa se da quella distanza
ci arriva l’insegnamento? Rialzarsi, non abbattersi, ripete nei
versi Shibata Toyo. Il tempo ti è ostile? Il tempo indietreggia?
Seguilo! Sei un giunco. «Per quanto/ sia ridotta a pelle e ossa/
sono ancora in grado/di leggere nel cuore delle persone…di sentire
con chiarezza il mormorio del vento…/». Come nelle arti marziali: sta’
fermo, trasforma gli attacchi dell’avversario in suoi squilibri.
Sii calmo, semplice, saggio, scrivi la vita piano piano, con una
piccola matita di legno, se ne hai conservata una.
Leggiamo una poesia di
Shibata Toyo e pensiamo al mistero dei nostri vecchi: chi li conosce?
Deboli e incrollabili, a volte insopportabili. Distanti, chiusi in se
stessi o attaccati al telefono. Occidentali, orientali, con tutta una
vita alle spalle. Tormento e delizia dei nostri affanni. Tanto tempo
fa li abbiamo amati, poi detestati, poi scordati, poi ritrovati: «Da
quando ho deciso di vivere da sola / sono diventata una donna forte»,
scrive Shibata Toyo e se sei triste, ricordati, guarda il cielo.
Poesie per esseri umani e basta.
Questo piccolo libro in
Giappone ha venduto 2 milioni di copie. Viene letto dagli adulti, dai
bambini, dalla folta schiera dei vegliardi in poltrona nelle case,
simili in tutto il mondo. Se sei triste guarda il cielo è
stato scritto da una di loro, anche per loro. E loro qui significa
ciascuno di noi, prima o poi, tra un soffio… Quando devi sbrigarti
perché te lo chiede la badante che ha fretta di tornare a casa…
Quando sei lì che aspetti e magari arriva tuo figlio, tua figlia,
con quel delizioso libretto di poesie, e magari ti legge due righe…
magari quella dedicata al dottore, Una vita come tante. …sì,
quelle: «Vorrei / che non mi chiamasse nonnina/ e che non mi
rivolgesse / stupide domande quali: / «Che giorno è oggi? Quanto fa
9 + 9? / «Signora Shibata / le piacciono / le poesie di Saijõ Yaso?
/ Cosa pensa / del governo Koizumi?» / Queste sono le domande che mi
renderebbero felice./»
il manifesto, 2 ottobre
2013
Nessun commento:
Posta un commento