Forse non è chiaro.
Ma avete riflettuto sul
fatto che – con Renzi appena insediato al governo – alle elezioni
europee del 2014, il Pd, su circa 29 milioni di voti validi, ne prese
più di 11 milioni e duecento mila, più del 40%? E che alle elezioni
politiche di marzo per la camera dei deputati, dove i voti validi
erano decisamente di più (32 milioni e 800 mila), ne ha ottenuto un
po' più di 6 milioni e centomila, meno del 19%?
Pensate che la colpa del
fallimento elettorale sia di LeU o di PaP, che hanno preso
all'incirca 200 mila voti in più della Lista Tsipras alle Europee
(200 mila non 5 milioni)?
Vi rendete conto del
fatto che la differenza è più di 5 milioni di voti, almeno 5
milioni di persone che agli inizi della parabola di Renzi avevano
fiducia nel Pd e che, dopo tre anni di suo dominio incontrastato nel
governo e quasi quattro di leadership nel partito, non l'hanno più
avuta?
Pensate che su questo
voto siano state determinanti le leggi sulle Unioni Civili e sul
testamento biologico e che le tantissime persone che hanno cambiato
scelta siano state risucchiate dal medioevo oscurantista? O che siano
state spinte al cambio dalla paura di una presunta “invasione” di
migranti e dalle campagne mediatiche sulla sicurezza, temi non nuovi
dell'agitazione della destra?
Pensate che non abbiano
influito per niente l'abolizione del reintegro per i licenziamenti
senza giusta causa nelle grandi fabbriche, quell'art.18 per cui la
sinistra aveva fatto grandi battaglie? O la mancata correzione della
legge Fornero? O la scelta decisa per Marchionne contro i diritti dei
lavoratori Fiat? O la “buona scuola”? O le reticenze sulle crisi
bancarie? O le regalie a questo e a quel gruppo sociale senza una
visione d'insieme? E da ultimo la trovata truffaldina di abolire
prima e rimettere subito dopo quasi uguali i “voucher”, per
impedire un referendum che sarebbe stato un pronunciamento politico
contro il “Jobs act”?
Pensate che non abbia
influito il tentativo di cambiare nettamente a favore dell'esecutivo
i rapporti tra i poteri dello Stato e di azzerare il peso dei corpi
intermedi che si delineava tra legge elettorale Italicum e modifiche
alla Costituzione? Pensate che non conti il fatto che questa linea di
politica istituzionale era all'opposto della tradizionale difesa
degli assetti costituzionali tipica dei comunisti italiani e dei
cattolici democratici? E il fatto che essa di fatto negava vent'anni
di opposizione al leaderismo autoritario di Berlusconi & C?
Non vi viene in mente che
quando la più importante forza politica del centrosinistra sui temi
sociali e sui temi istituzionali fa proprie le politiche tradizionali
della destra essa ingenera nel suo stesso elettorato una confusione
che alimenta la protesta populista e qualunquista?
Lasciamo perdere la
discussione su che cosa debba fare il Pd nella crisi di governo, dopo
elezioni che non hanno dato i numeri per governare con il sostegno di
una maggioranza parlamentare precostituita a nessuna coalizione o
forza politica, se debba cioè tirarsi fuori in una sorta di Aventino
o intervenire sulle contraddizioni degli altri con una proposta e una
disponibilità. Mi pare che entrambe le posizioni abbiano qualche
giustificazione e in ogni caso – da osservatore esterno – non
credo di poter intervenire in una discussione difficile che riguarda
dirigenti, iscritti e sostenitori del Pd. Ma alcune cose, da
osservatore esterno e da persona di sinistra, sulle prospettive del
Pd credo di poterle dire.
Mi pare ormai improbabile
che il Pd, nella situazione data, possa diventare quel partito
inclusivo, aperto e contendibile, in cui anche una sinistra
socialista, cioè classista, ugualitaria, ragionevolmente
anticapitalistica (per intendersi, non solo per il lavoro contro il
capitale ma anche per l'impresa contro il capitale), possa trovare
spazio, ascolto, agibilità politica. Pertanto penso che – fuori
dagli apparati esistenti privi di qualunque credibilità, in forme
che non so neanche ipotizzare – una sinistra politica autonoma con
risultati elettorali a due cifre (in un paese dove c'è la Cgil e
dove la cultura e il volontariato di sinistra conservano peso e
stima) può rinascere in tempi non troppo lunghi. Ma nell'Italia che
vorrei, c'è di sicuro spazio per un partito liberal-democratico di
laici e di cattolici, riformato, pluralista, ancorato a sinistra e
alleato della sinistra. C'è anzi la necessità di un partito come il
Pd forte e attrattivo.
Liberarsi di una guida
fallimentare come quella di Renzi è senza dubbio preliminare e
possono probabilmente convincerlo ad accettare un ruolo di seconda
fila senza far ulteriori danni tanti presunti suoi “fedelissimi”
che si rendano conto di questa necessità ed urgenza. Ma del
leaderismo deteriore bisogna liberarsi in assoluto: un partito
liberal-democratico, riformista in direzione dell'uguaglianza se non
altro delle opportunità, deve riformulare il suo asse programmatico,
il suo orizzonte culturale in un dibattito fortemente partecipato e
considerare il pluralismo un suo carattere costitutivo. Non è
affatto male che in un tale partito emerga una leadership di grande
prestigio, con un suo carisma, ma dev'essere chiaro fin dall'inizio
che a nessun nuovo Renzi sarà più permesso di considerare carta
straccia un programma fondamentale dove c'è scritto “mai riforme
costituzionali a colpi di ristretta maggioranza”.
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