Ma
Swinging Palermo è
anche tante altre cose.
È
un romanzo di formazione intellettuale, per esempio, in cui ha un
ruolo centrale quello che per convenzione chiamiamo Sessantotto, ma
che comincia qualche anno prima e si chiude qualche anno dopo.
Ed
è anche la storia di una sconfitta: la sconfitta di quella che Piero
Violante chiama la “classe dirigente d'opposizione”, e cioè di
quei palermitani e siciliani, di nascita o anche d'elezione, maestri
di libertà di pensiero e di cultura critica che - in vari campi,
per varie vie e in vari modi - tentarono di cambiare i rapporti di
potere, il volto, la vita culturale e la realtà quotidiana della
capitale e di tutta l'isola.
Sono
certo che il lettore intelligente, specie se informato dei fatti o di
alcuni tra essi, troverà altre chiavi di interpretazione del libro,
altri percorsi. Per invogliarlo “posterò” in questo
blog qualche brano di Swinging Palermo. Quello che segue è un profilo biografico di Mario Mineo, che ho
avuto modo di conoscere e ammirare e di cui anch'io ho sentito il
dovere di scrivere, su “micropolis” (S.L.L.)
Penso
a Mario Mineo. Stroncato da un infarto a soli 67 anni, Mineo, figlio
dell’illustre matematico Corradino, si accasciò dinanzi alla sua
scrivania. Nel rullo della macchina da scrivere un foglio bloccato a
metà riga sulla parola «mediazione». Era la sera del 3 giugno
1987.
Antifascista
militante tra la fine del ’39 e il ’40, Mineo aveva fatto parte
di un gruppo formato, tra gli altri, dai fratelli Chiara, da Nicola e
Gino Cipolla, Nando e Michele Russo, Beppe Fazio, figlio del filosofo
Fa-zio Allmayer. In una lettera inviata a Orazio Cancila il 16 maggio
1987, a poche settimane dalla scomparsa, scriveva: «Eravamo a
sinistra ma senza precise posizioni... Diffondevamo il manifesto di
Guido Calogero (sul liberal-socialismo) ed altra roba. Contestammo
l’antifascismo siciliano...». Il gruppo fu scoperto dalla polizia
e molti furono arrestati tra l’ottobre e il novembre del ’41. Nel
frattempo Mineo era stato richiamato sotto le armi. Si rividero nel
maggio-giugno ’43, fondarono il «Fronte del lavoro». Vi facevano
parte socialisti e comunisti, Mineo fu eletto segretario. Scioltosi
il Fronte, nel ’44 aderisce al Partito comunista. Viene nominato
dagli alleati commissario per l’epurazione. E gli passano le carte
che riguardano l’ex rettore, razzista e fascista, l’illustre
penalista Giuseppe Maggiore. L’anno successivo passa al Partito
socialista e viene nominato a far parte della commissione per lo
Statuto della Regione Siciliana. Vi presenta una bozza che per «un
colpo di mano» di Enrico La Loggia - come scriverà in una polemica
lettera a Massimo Ganci il 10 ottobre 1966 - non è nemmeno discussa.
Nella sua bozza di Statuto Mineo legava il tema dell’autonomia allo
sviluppo e ad una forma di pianificazione economica; nella bozza
vincente voluta da La Loggia e che passerà alla Consulta con
l’avallo dei comunisti trionfa il punto di vista «riparazionista»
che sgancia l’intervento dello Stato dallo sviluppo ma lo lega
all’idea piagnona di un risarcimento dovuto alla Sicilia. La
variante pianista di Mineo scompare nella discussione e
successivamente nel dibattito storiografico.
Ritorna
e con fatica dopo che pubblicammo da Flaccovio, con il sostegno
dell’indimenticabile moglie Elena, gli Scritti di
Mineo in ben otto volumi. Dario Castiglione, Enrico Guarneri, Renato
Covino ed io, che con Elena costituivamo il comitato editoriale. Ci
dedicammo a questa opera per quasi dieci anni. Nel ’98 presentammo
gli Scritti a Milano
alla Fondazione Feltrinelli. Consegnammo così Mineo all’Archivio
della storia del movimento operaio italiano, perché ritenevamo che
fosse nostro dovere evitare che un’impressionante mole di lavoro,
di proposte di riflessione, fosse cancellata. E questo, si badi, non
per la necessità di un risarcimento soggettivo che pur si doveva e
si deve a Mineo, ma perché eravamo e siamo convinti che i suoi
Scritti rappresentino
la più estesa memoria critica teorica e militante di un esponente
meridionale siciliano della classe dirigente dell’opposizione
italiana. Il risarcimento soggettivo è il risvolto di un meccanismo
di marginalizzazione e di oblio delle variabili, meridionali e non,
al pensiero unico. Da qui l’idea che gli Scritti
di Mineo, a partire dal volume sulla Sicilia e sull’autonomia
tradita, rappresentino spesso delle variabili sconfitte (penso ai
suoi studi sullo Stato, o sulla crisi di regime oggi così profetica)
e che i motivi di queste variabili fossero ben più ragionevoli, nel
senso di dotate di buone ragioni più di quanto la sconfitta che le
silenziava potesse far intendere.
Nel
’46 Mineo rientra nel Partito comunista, viene eletto deputato
all’Assemblea Regionale per il Blocco del Popolo. Fa una sola
legislatura e si dedica alla vita accademica come assistente di
economia politica presso la Facoltà di Economia e Commercio. È del
’47 un suo fondamentale saggio su Marx e Schumpeter in cui, caso
isolato all’interno del pensiero economico marxista, adotta per la
ricostituzione di una teoria economica marxista alcuni principi della
teoria dinamica di lungo periodo dello sviluppo capitalista posti da
Schumpeter. Anche i suoi lavori economici rappresentano variabili
cancellate del debole pensiero economico marxista italiano, laddove
si spinge a simpatizzare con i keynesiani di sinistra che come lui
vedevano nel tema dello sviluppo il nucleo essenziale della ricerca
economica. Questa posizione gli costerà la bocciatura alla libera
docenza, dopo di che decide di abbandonare l’università e di
dedicarsi all’insegnamento nelle scuole secondarie.
A
metà degli anni Cinquanta ritorna a fare politica attiva dentro il
Pci ma ne uscirà definitivamente nel 1962. Fuori dal Pci nel 1965
aderisce alla IV Internazionale e fonda il Circolo Labriola: il
Circolo che ha segnato un’intera generazione. Nei suoi locali di
via Costantino Nigra dove incontravi Enzo Sellerio, Leonardo
Sciascia, Luigi Rognoni, Beppe Fazio, Vincenzo Tusa, Giacinto
Lentini, Massimo Ganci, molti di noi hanno imparato che coerenza e
rigore sono qualità sia intellettuali che morali, sostanza del fare
o anche semplicemente del parlare di politica. Nel 1968 abbandona la
IV Internazionale e fonda il Circolo Lenin per poi nel ’70 aderire
al Manifesto. Viene eletto consigliere comunale. E l’anno in cui il
Pci porta in consiglio Leonardo Sciascia e Renato Guttuso. Vi rimarrà
una sola legislatura, nel frattempo fonda la cooperativa Praxis
dotandosi di una rivista alla quale chiama a collaborare molti
simpatizzanti che già si pongono al limite del «Manifesto». Ed «il
Manifesto», con la memoria recente della sua espulsione dal Pci, lo
espelle. Sino al 1984 si dedica a «Praxis» e al suo gruppo e poi
negli ultimi tre anni decide di rielaborare i suoi scritti. Mi sono
diffuso sulla sua vita dentro e fuori le organizzazioni per chiarire
quanto Vittorio Foa a Palermo nel 1989, in occasione della
pubblicazione del primo volume degli Scritti
di Mineo, ci disse di Mario: «Se si pensa a Mario Mineo vengono in
mente due categorie di pensiero e di azione politica: una è la
coerenza, e l’altra è l’intransigenza. La coerenza è in
sostanza la fedeltà all’idea. Ma vi possono essere due modi di
essere coerenti, due modi di essere fedeli. Uno di essere
direttamente fedeli ad un’idea e di cercare di servire l’idea
verificandola nelle varie forme organizzative che in questa possono
manifestarsi; un altro modo invece è quello di servire ed essere
fedele all’idea attraverso la fedeltà all’organizzazione».
Ebbene, Mineo apparteneva al primo modo di essere coerente. Foa ci
ricordò anche che altro aspetto di Mario era l’intransigenza
intesa come «il coraggio di dire sempre quello che si pensa, di non
mistificare il proprio pensiero per ragioni opportunistiche,
di non nascondersi». E apparentò l’intransigenza di Mineo a
quella di Terracini, Lombardi, Ingrao.
Swinging Palermo,
Sellerio Editore, 2015
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