Qui “posto” un
vecchio articolo ferocemente e unilateralmente antiamericano, non so
su quale giornale e in quale data esatta pubblicato, che trovo nel
sito di Massimo Fini, un eccellente giornalista divenuto nel tempo un
autentico reazionario, ma - in quanto tale – spesso critico acuto
del presente. Risale a quasi vent'anni fa, ma a me sembra, per alcuni
versi, attualissimo e mi inocula il sospetto che, nonostante il
supposto declino della potenza Usa, alcuni aspetti deteriori
dell'american way of life,
quelli che per Fini ne sono la sostanza, continuino a diffondersi per
l'universo mondo. (S.L.L.)
Dopo la strage del liceo
di Denver, dove due fanatici, per onorare il genetliaco di Hitler,
hanno ucciso a colpi di fucile e a suon di bombe tredici compagni di
scuola e si sono poi tolti la vita, il presidente Bill Clinton ha
rivolto un appello al Paese: «È ora di insegnare ai nostri figli a
risolvere i conflitti con le parole e non con le armi».
Non so se Clinton si
rendesse conto dello stridente e grottesco contrasto fra ciò che
stava dicendo e ciò che, nello stesso momento, stava facendo in
Jugoslavia. Se la pedagogia è quella dei missili e delle tonnellate
di bombe che la Nato sta rovesciando sulla Serbia per risolvere un
conflitto, non c'è da meravigliarsi se i ragazzi americani pensino
di risolvere i loro alla stessa maniera. Qui Adolf Hitler, quello
vero, non c'entra niente, Hitler sta nel cuore nero e profondo del
popolo americano. Che ha la violenza, la prepotenza e il disprezzo
della vita, purché altrui, nel sangue. Nell'anno scolastico '97-'98
sono stati quarantotto gli studenti e i professori assassinati nei
licei Usa. In quello in corso erano nove prima della strage di Denver
e, pochi giorni dopo, è stata gravemente ferita un'altra ragazza di
un liceo della Louisiana. Del resto gli Stati Uniti hanno il primato
mondiale nei morti da arma da fuoco.
Massimo Fini |
E questo primato sinistro
non deriva solo dal fatto che negli Usa la vendita delle armi è
libera, e nessun presidente o Congresso ha mai osato limitarla per
non dispiacere alle potenti lobbies dei fabbricanti (il denaro
«non olet», come sempre), ma affonda le sue radici molto più
lontano: nell'intera storia americana. I gloriosi United States of
America, così democratici, liberali e morali, sono nati su un
genocidio, autentico e pienamente riuscito: quello dei pellerossa. E
poiché non gli bastava l'enorme superiorità del winchester sulla
freccia e sull'arco, hanno distrutto uno dei popoli più poetici, più
leggeri, più spirituali, col whisky e con l'alcol, così come oggi
ne distruggono altri con i loro dollari oltre che con i loro missili.
Sono stati gli americani i primi a bombardare le città con lo scopo
dichiarato di colpire i civili e fiaccare così il morale
dell'avversario, come avvenne a Dresda, a Lipsia a Berlino, e come
avviene oggi a Belgrado, a Novi Sad, a Pristina. Sono stati gli
americani gli unici al mondo a gettare le bombe atomiche, a Hiroshima
e Nagasaki che non erano, com'è ovvio, degli obiettivi militari.
Ottantamila morti in pochi secondi e conseguenze devastanti per
decenni solo per far sapere ai nemici, in particolare all'Urss, che
si disponeva di un'arma terribile. Sono stati gli americani i soli,
insieme con Saddam Hussein, a utilizzare le armi chimiche com'è
avvenuto in Iraq con le pallottole all'uranio. Nemmeno Hitler, che
pur le possedeva, era arrivato a tanto. Sono stati gli americani a
bombardare per 55 giorni, per non voler affrontare subito l'esercito
iracheno, una città di civili, uccidendone 157.971, fra cui 32.195
bambini e 39.612 di donne ( e poiché molti lettori mi chiedono,
polemicamente, da dove mai io abbia attinto questi dati, dirò che
sono stati forniti da una funzionaria dell'Ufficio del Censimento
della Casa Bianca, Beth Osborne Daponte, che fu poi licenziata a
seguito dell'imbarazzante gaffe. Questi dati io li ho pubblicati
sull'Europeo, sul Giorno, sul Tempo, giornali a diffusione nazionale
che certo non sfuggono all'attenzione delle numerosissime agenzie
americane presenti in Italia, ma non sono mai stati smentiti).
La violenza degli
americani non è sinonimo di coraggio. Al contrario. Il pistolero è
codardo. Tanto disprezza la vita altrui quanto è attento alla
propria. Quando gli americani, nel '43-'45, risalivano l'Italia,
mandavano avanti gli indiani, i neozelandesi, gli australiani, i
sudafricani, i canadesi e gli inglesi, insomma le truppe del
Commonwealth, e poi, fatta piazza pulita, arrivavano loro, i
«liberatori», con alla testa il generale Clark, impettito sulla
jeep. A Pisa, come è stato rivelato di recente, pur di avere ragione
di un nido di mitragliatrici tenuto da quattro tedeschi che si erano
asserragliati in cima al campanile e resistevano da giorni, avevano
elaborato piani per far saltare in aria la Torre. I tedeschi in
ritirata, per non danneggiare i ponti storici di Firenze, persero
diecimila uomini. A differenza dei loro cugini inglesi gli americani
sono del combattenti mediocri. E infatti l'unica volta in cui non
hanno potuto far valere appieno la loro enorme superiorità
tecnologica hanno perso la guerra. E dopo aver fatto milioni di morti
in tutto il pianeta stanno ancora lì a piagne i loro
sessantamila caduti in Vietnam e quando un soldato yankee rischia di
farsi la bua in qualche parte del mondo in cui gli Usa sono andati a
esercitare la loro prepotenza, tutta l' America sta in apprensione e
riempie le chiese. Che soggetti del genere, tanto attenti a se stessi
quanto indifferenti agli altri, siano caduti in deliquio «umanitario»
per le sofferenze dei Kosovari, è semplicemente incredibile. E
questa guerra in Jugoslavia fa schifo per mille motivi ma soprattutto
per il modo in cui è condotta: non rischiando una sola vita propria
là dove si fa scempio di quelle altrui. Mentre la legittimità, in
guerra, di uccidere deriva dalla possibilità di essere altrettanto
legittimamente uccisi. Altrimenti non di guerra si tratta ma di
strangolamento bellico. I Murgin, tribù di aborigeni australiani,
essendo stati avvicinati da degli esploratori europei disarmati
consegnarono loro archi, frecce e lance perché potessero battersi
alla pari.
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