Grandine di primavera |
Più che una doccia
fredda, è una grandinata di primavera quella che si è abbattuta sul
nascente – se nascerà – governo di ancora incerta definizione.
Chiunque lo guiderà ha già una grana bella grossa. Per la
precisione, di 6,3 miliardi. A tanto ammonta l’aumento del deficit
per il 2017 contabilizzato ieri dall’Istat, dopo aver corretto le
precedenti valutazioni sulla base dei criteri ordinati dall’Eurostat.
Che ha detto una cosa molto chiara: tutti gli aiuti alle banche, sia
diretti che indiretti, vanno considerati come spesa pubblica.
Dunque, non solo i 4,1
miliardi che già il governo Gentiloni-Padoan aveva messo in
bilancio, ma anche i 4,7 che aveva indicato come garanzie per il
trasferimento di crediti deteriorati, nell’ambito del salvataggio
delle banche venete. A questi vanno aggiunti altri 500 milioni di
maggior spesa per il Monte dei Paschi di Siena, più alcune altre
revisioni contabili, e arriviamo appunto a 6,3 miliardi. Il che vuol
dire che il rapporto tra deficit e Pil per il 2017 non è stato, come
finora si era detto e scritto, dell’1,9%, ma del 2,3%. Sale anche
il rapporto tra debito e Pil, da 131,5 a 131,8%.
Cosa vuol dire tutto
questo? Si potrebbe pensare che si tratta di una variazione tecnica,
relativa al modo in cui si contabilizza una spesa che comunque è
stata già fatta, dunque senza un impatto sostanziale. Ma così non
è, poiché la riduzione del rapporto tra deficit e Pil è una delle
condizioni a cui guarda la Commissione europea per valutare se aprire
o meno una procedura di infrazione contro un Paese. Non è la sola
condizione: è più importante quello che si chiama “deficit
strutturale”, che non viene toccato da questa variazione. Però il
“ritocco” dell’Eurostat è destinato a pesare, in sostanza è
un punto a sfavore del governo italiano, qualunque esso sia, nella
trattativa ormai infinita sulla flessibilità nell’attuazione delle
stringenti regole del bilancio pubblico a cui ci obbliga l’adesione
ai trattati Ue. È vero che i partiti che hanno vinto le elezioni e
che forse si apprestano a governare espellendo la parte cosiddetta
“moderata”, ossia Forza Italia, hanno contestato duramente questi
trattati e queste regole, e hanno promesso ai loro elettori di
sbattere i pugni sul tavolo a Bruxelles per non farsi più imporre
capestri. Resta però il fatto che, evaporato l’iniziale programma
comune a Lega e M5S di uscire dall’euro, e in assenza di un “piano
B”, toccherà anche ai loro ministri andare a contrattare margini
di flessibilità, che si fanno più stretti dopo l’emersione
dell’extradeficit del 2017. Senza contare le difficoltà enormi di
dare una pur minima attuazione alle costosissime promesse elettorali,
flat tax e reddito di cittadinanza.
Ma forse è un bene, che
la verità contabile del 2017 sia venuta fuori. Retrospettivamente,
conferma un’impressione che era nell’aria, ossia che la vera
crisi politica del centrosinistra di Renzi sia iniziata proprio con
il pasticcio delle banche, per la sua incapacità di dare una
risposta equa al dilemma sull’uso dei soldi dei contribuenti per
fermare un dissesto che, con effetto domino, poteva avere conseguenze
ancora più gravi. Ma per il futuro costringe a un bagno di realtà
anche i vincitori – che hanno una larga base elettorale proprio in
quel tessuto sociale e imprenditoriale del Veneto nel quale i vizi
bancari sono esplosi. Non è pensabile che rimettano in discussione
gli aiuti già dati alle banche. Ma cosa faranno, o farebbero, per
eventuali problemi simili in futuro? E soprattutto, come si porranno
di fronte a un eventuale ultimatum europeo, sulla necessità di fare
una manovra correttiva? A guardare i programmi dei due partiti,
cresce sempre più l’ipotesi che si vada a trovare un minimo comun
denominatore in una manovra capace di fare cassa subito e molto
popolare, anche se moralmente ingiusta, ossia un bel condono tombale
sull’evasione fiscale.
Resta il fatto che, conti
Istat alla mano e nonostante l’extradeficit bancario, se non si
considera la spesa per interessi sul debito nel 2017 il bilancio
pubblico italiano ha chiuso in attivo. Cioè, le famiglie e le
imprese italiane che pagano le tasse hanno sovvenzionato non solo i
salvataggi ma anche e soprattutto il rimborso del debito passato. E
finché questa montagna non comincerà ad alleggerirsi, che ci sia o
no l’arcigna contabilità europea, qualsiasi governo avrà ben
pochi margini di manovra.
5 aprile 2018 per Agl -
pubblicato sui quotidiani locali del gruppo Gedi – dal sito di
Roberta Carlini
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