19.4.18

Tommaso Campanella. L’irriducibile ribelle (Michele Ciliberto)

Una rappresentazione di Tommaso Campanella (1568-1639)

Delio Cantimori usava dire che occorre distinguere tra mondo storico e mondo storiografico. Aveva perfettamente ragione, in linea generale; ma il precetto è particolarmente importante quando si tratta di epoche come il Rinascimento o di autori come Tommaso Campanella o Giordano Bruno.
Nel primo caso – come appare già dal nome che esprime un giudizio di valore, risalente peraltro, in varie forme, al Quattrocento – è stata la storiografia che per certi aspetti ha costruito l’oggetto storico; nel secondo, alla realtà concreta di personaggi di eccezione, si sono sovrapposti miti che, a volte, hanno contribuito a svelarne aspetti segreti e meno evidenti a loro stessi; ma, spesso, ne hanno deformato il volto e l’opera, rendendo necessaria un’opera di vero e proprio restauro di quelli che sono i loro tratti specifici.
Da questo punto di vista è essenziale la storia della storiografia, lo strumento principale per ripulire il terreno e consentire di avvicinarsi a un autore, sgombrando il campo dai miti che ne hanno trasfigurato la figura.
Miti con i quali occorre però sapersi confrontare, perché in essi si esprimono, a loro volta, posizioni, giudizi che riflettono un tempo, un’epoca, e dai quali non è quindi possibile liberarsi con un tratto di penna, come puri errori senza significato dal punto di vista della storia del pensiero. A meno di non volersi ergere a giustizieri di alcuni secoli di storia e di interpretazioni, come fossero, appunto, solo un cumulo di errori.
Da questo punto di vista il libro di Luca Addante (Tommaso Campanella. Il filosofo immaginato, interpretato, falsato, Laterza, 2018) è molto interessante sia per quanto ci dice su Campanella, sia per il modo con cui argomenta la sua posizione: lo fa assumendo come centro del libro la prospettiva della storia della storiografia su Campanella. E muovendo di qui, da un lato, mostra le radici, e i limiti, dei momenti più importanti della sua fortuna fino ai nostri giorni; dall’altro, avanza in modo vivace, ed anche impetuoso, la sua interpretazione di Campanella, sulla base di una visione determinata della sua opera, dell’epoca in cui visse, e della funzione decisiva che egli ha avuto nella costruzione delle libertà dei moderni.
Il primo merito di Addante è appunto nell’avere messo in tensione, nel caso di un grande autore come Campanella, storia e storiografia, esperienza concreta e il mito e le leggende che sono cresciute su di lui, fino a rendere difficile comprendere che cosa egli abbia effettivamente detto. E non svolge questo lavoro in modo «ingenuo», pensando di poter afferrare in presa diretta, e scavalcando interpretazioni secolari, il «segreto» di Campanella. Sa infatti bene che è lo stesso Campanella a confondere le tracce, dissimulando le sue posizioni, e rendendo più complessa la loro effettiva individuazione. È Campanella stesso a nascondere il suo volto per difendersi dai poteri che ne limitano la libertà – resta in carcere per 33 anni – costringendolo a nascondersi, a dissimulare. Sono note le battute – riportate dai carcerieri – che pronunciò dopo essere stato sottoposto alla tortura, fingendosi pazzo pur di salvarsi: «Credevano che io fussi coglione...».
Addante si è formato - e questo si sente - con un maestro come Rosario Villari, lo storico italiano che ha riscoperto l’importanza del dissimulare fra Rinascimento e prima età moderna, mettendolo al centro della propria ricerca, in forme e toni nuovi anche rispetto a Benedetto Croce. Una intuizione, la sua, eccezionalmente acuta, che ha consentito di guardare in modi nuovi alle figure centrali del periodo che va da Alberti a Bruno, fino a Sarpi e allo stesso Campanella.
Gli assi dell’interpretazione di Addante – generata per contrapposizione alle interpretazioni precedenti – sono due: Campanella è un ribelle, un libertino, come capirono, fin dall’inizio, i suoi contemporanei, anche se poi questa interpretazione si è appannata, fino a sparire; nella sua esperienza umana, filosofica, religiosa non c’è alcuna «conversione» che ne spieghi il passaggio dalle posizioni giovanili, alla base della rivolta del 1599, a quelle successive che sarebbero state connotate da un’adesione, in varie forme, alla ortodossia cristiana.
Questa tesi sostenuta da Luigi Firpo e poi da Germana Ernst – la più importante studiosa di Campanella nell’ultimo mezzo secolo – per l’autore non ha fondamento. Sui punti essenziali della sua posizione per Addante Campanella non viene mai meno. E a sostegno della sua interpretazione cita la più grande scoperta negli studi su Campanella, dopo quelle di Amabile: il ritrovamento, proprio da parte della Ernst, della edizione in italiano dell’Ateismo trionfato, il quale è certo successivo alla congiura del 1599 e conferma, con la logica ferrea della cronologia, che non c’è stata alcuna “conversione” al cristianesimo da parte di Campanella.
Addante ripropone dunque la visione di Campanella come padre, insieme a Bruno, Vanini, delle libertà dei moderni, della libertas philosophandi, e della libertà di espressione – come diritto a pensare liberamente e ad esprimersi liberamente. E giunge a queste posizioni attraverso una serrata discussione delle principali interpretazioni date della figura di Campanella.
Per Addante studiare Campanella non è una scelta neutra, è anche una presa di posizione civile, etica: al fondo, il suo «problema» principale è quello di mettere a fuoco le linee principali della modernità come esperienza di libertà: e basta pensare alla Apologia di Galileo o alla poesie per comprendere che Campanella è parte integrante di questa storia, e che la grande consapevolezza che ha avuto del proprio destino era fondata su un’analisi verace della crisi del proprio tempo e della necessità di trovare una soluzione in grado di rimettere in sintonia essere ed apparire. Il “segreto” di Campanella sta qui: in questa inesausta tensione, dall’inizio alla fine.
La storia della storiografia è una chiave per accedere alla storia: e Addante lo dimostra con questo libro in modo appassionato, conseguendo risultati importanti e allestendo uno strumento efficace e ricchissimo di informazioni per chi voglia comprendere la lunga storia di Campanella dai suoi anni fino ai nostri tempi. E, come si è detto, presenta, sia pure nello specchio della storia della storiografia, i tratti principali di una interpretazione assai netta di Campanella, sottraendolo ad ogni ipotesi di 'conversione' alla ortodossia cristiana.
Se posso esprimere un auspicio, credo che ora Addante, risalendo dalla storiografia alla storia, possa scrivere un nuovo, e importante, libro misurandosi, questa volta direttamente e in modo sistematico, con i testi di Campanella.

“Il Sole 24 ore – Domenica”, 8 aprile 2018

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