Una rappresentazione di Tommaso Campanella (1568-1639) |
Delio
Cantimori usava dire che occorre distinguere tra mondo storico e
mondo storiografico. Aveva perfettamente ragione, in linea generale;
ma il precetto è particolarmente importante quando si tratta di
epoche come il Rinascimento o di autori come Tommaso Campanella o
Giordano Bruno.
Nel
primo caso – come appare già dal nome che esprime un giudizio di
valore, risalente peraltro, in varie forme, al Quattrocento – è
stata la storiografia che per certi aspetti ha costruito l’oggetto
storico; nel secondo, alla realtà concreta di personaggi di
eccezione, si sono sovrapposti miti che, a volte, hanno contribuito a
svelarne aspetti segreti e meno evidenti a loro stessi; ma, spesso,
ne hanno deformato il volto e l’opera, rendendo necessaria un’opera
di vero e proprio restauro di quelli che sono i loro tratti
specifici.
Da
questo punto di vista è essenziale la storia della storiografia, lo
strumento principale per ripulire il terreno e consentire di
avvicinarsi a un autore, sgombrando il campo dai miti che ne hanno
trasfigurato la figura.
Miti
con i quali occorre però sapersi confrontare, perché in essi si
esprimono, a loro volta, posizioni, giudizi che riflettono un tempo,
un’epoca, e dai quali non è quindi possibile liberarsi con un
tratto di penna, come puri errori senza significato dal punto di
vista della storia del pensiero. A meno di non volersi ergere a
giustizieri di alcuni secoli di storia e di interpretazioni, come
fossero, appunto, solo un cumulo di errori.
Da
questo punto di vista il libro di Luca Addante (Tommaso
Campanella. Il filosofo immaginato, interpretato, falsato,
Laterza, 2018) è molto interessante sia per quanto ci dice su
Campanella, sia per il modo con cui argomenta la sua posizione: lo fa
assumendo come centro del libro la prospettiva della storia della
storiografia su Campanella. E muovendo di qui, da un lato, mostra le
radici, e i limiti, dei momenti più importanti della sua fortuna
fino ai nostri giorni; dall’altro, avanza in modo vivace, ed anche
impetuoso, la sua interpretazione di Campanella, sulla base di una
visione determinata della sua opera, dell’epoca in cui visse, e
della funzione decisiva che egli ha avuto nella costruzione delle
libertà dei moderni.
Il
primo merito di Addante è appunto nell’avere messo in tensione,
nel caso di un grande autore come Campanella, storia e storiografia,
esperienza concreta e il mito e le leggende che sono cresciute su di
lui, fino a rendere difficile comprendere che cosa egli abbia
effettivamente detto. E non svolge questo lavoro in modo «ingenuo»,
pensando di poter afferrare in presa diretta, e scavalcando
interpretazioni secolari, il «segreto» di Campanella. Sa infatti
bene che è lo stesso Campanella a confondere le tracce, dissimulando
le sue posizioni, e rendendo più complessa la loro effettiva
individuazione. È Campanella stesso a nascondere il suo volto per
difendersi dai poteri che ne limitano la libertà – resta in
carcere per 33 anni – costringendolo a nascondersi, a dissimulare.
Sono note le battute – riportate dai carcerieri – che pronunciò
dopo essere stato sottoposto alla tortura, fingendosi pazzo pur di
salvarsi: «Credevano che io fussi coglione...».
Addante
si è formato - e questo si sente - con un maestro come Rosario
Villari, lo storico italiano che ha riscoperto l’importanza del
dissimulare fra Rinascimento e prima età moderna, mettendolo al
centro della propria ricerca, in forme e toni nuovi anche rispetto a
Benedetto Croce. Una intuizione, la sua, eccezionalmente acuta, che
ha consentito di guardare in modi nuovi alle figure centrali del
periodo che va da Alberti a Bruno, fino a Sarpi e allo stesso
Campanella.
Gli
assi dell’interpretazione di Addante – generata per
contrapposizione alle interpretazioni precedenti – sono due:
Campanella è un ribelle, un libertino, come capirono, fin
dall’inizio, i suoi contemporanei, anche se poi questa
interpretazione si è appannata, fino a sparire; nella sua esperienza
umana, filosofica, religiosa non c’è alcuna «conversione» che ne
spieghi il passaggio dalle posizioni giovanili, alla base della
rivolta del 1599, a quelle successive che sarebbero state connotate
da un’adesione, in varie forme, alla ortodossia cristiana.
Questa
tesi sostenuta da Luigi Firpo e poi da Germana Ernst – la più
importante studiosa di Campanella nell’ultimo mezzo secolo – per
l’autore non ha fondamento. Sui punti essenziali della sua
posizione per Addante Campanella non viene mai meno. E a sostegno
della sua interpretazione cita la più grande scoperta negli studi su
Campanella, dopo quelle di Amabile: il ritrovamento, proprio da parte
della Ernst, della edizione in italiano dell’Ateismo
trionfato, il quale è certo
successivo alla congiura del 1599 e conferma, con la logica ferrea
della cronologia, che non c’è stata alcuna “conversione” al
cristianesimo da parte di Campanella.
Addante
ripropone dunque la visione di Campanella come padre, insieme a
Bruno, Vanini, delle libertà dei moderni, della libertas
philosophandi, e della libertà
di espressione – come diritto a pensare liberamente e ad esprimersi
liberamente. E giunge a queste posizioni attraverso una serrata
discussione delle principali interpretazioni date della figura di
Campanella.
Per
Addante studiare Campanella non è una scelta neutra, è anche una
presa di posizione civile, etica: al fondo, il suo «problema»
principale è quello di mettere a fuoco le linee principali della
modernità come esperienza di libertà: e basta pensare alla Apologia
di Galileo o alla poesie per comprendere che Campanella è parte
integrante di questa storia, e che la grande consapevolezza che ha
avuto del proprio destino era fondata su un’analisi verace della
crisi del proprio tempo e della necessità di trovare una soluzione
in grado di rimettere in sintonia essere ed apparire. Il “segreto”
di Campanella sta qui: in questa inesausta tensione, dall’inizio
alla fine.
La
storia della storiografia è una chiave per accedere alla storia: e
Addante lo dimostra con questo libro in modo appassionato,
conseguendo risultati importanti e allestendo uno strumento efficace
e ricchissimo di informazioni per chi voglia comprendere la lunga
storia di Campanella dai suoi anni fino ai nostri tempi. E, come si è
detto, presenta, sia pure nello specchio della storia della
storiografia, i tratti principali di una interpretazione assai netta
di Campanella, sottraendolo ad ogni ipotesi di 'conversione' alla
ortodossia cristiana.
Se
posso esprimere un auspicio, credo che ora Addante, risalendo dalla
storiografia alla storia, possa scrivere un nuovo, e importante,
libro misurandosi, questa volta direttamente e in modo sistematico,
con i testi di Campanella.
“Il
Sole 24 ore – Domenica”, 8 aprile 2018
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