Un anno è trascorso da
quel giorno in cui ci arrivò, come una bomba, la terribile ma non
incredibile notizia che il compagno Pio La Torre era stato
assassinato a Palermo, in una strada non lontana dalla borgata dove,
in una casa di contadini poveri, era nato e cresciuto. Con La Torre
era caduto Rosario Di Salvo, compagno carissimo, serio, modesto,
affettuoso, appassionato, coraggioso sino alla morte.
Ho scritto «non
incredibile» perché conoscevamo i rischi che Pio correva. Lui più
di tutti. Era in corso una offensiva del terrorismo politico-mafioso
che aveva ammazzato, uno dopo l'altro, Terranova, Mattarella, Costa.
Il lunedì di Pasqua, 12 aprile, La Torre aveva trascorso la giornata
a casa mia. Eravamo usciti per una passeggiata e sul Lungotevere,
discutendo di quei delitti, s’era fermato un momento, m'aveva
guardato dritto negli occhi, con una espressione ben nota a chi lo ha
conosciuto, e aveva detto: «È bene che tu sappia che ora tocca a
noi». Era suo convincimento che in Sicilia operasse uno Stato
maggiore con forti collegamenti nazionali ed internazionali il quale
attuava freddamente un piano di sterminio degli uomini che, in punti
diversi, costituivano una minaccia per il sistema di potere
dominante.
L’assassinio di La
Torre e quello di Dalla Chiesa, di appena cinque mesi dopo,
confermano questa diagnosi che altre volte abbiamo esposta su questo
giornale. La Sicilia andava «normalizzata». Gli interessi di forze
internazionali che vogliono l'isola come base militare e gli
interessi di chi controlla il traffico di droga ed i canali dei
finanziamenti pubblici convergono e sono assai potenti anche in virtù
degli agganci sui quali possono contare negli apparati statali
nazionali ed internazionali e nei gruppi di potere mafiosi ed occulti
sia nazionali che internazionali anche questi.
I funerali di Pio La Torre e Rosario Di Salvo |
Oggi, un anno dopo
l’assassinio di La Torre, è necessaria una riflessione su
avvenimenti destinati ad incidere non solo sull’avvenire della
Sicilia ma sulla stessa vita nazionale.
Anzitutto, dobbiamo
ricordare che ancora non è stata fatta luce sui delitti politici
siciliani. In queste settimane si stanno svolgendo a Roma, Milano e
Torino alcuni grandi processi che richiamano alla memoria gli anni
del terrorismo e della violenza. Contemporaneamente si svolgono
dibattiti e confronti sugli «anni di piombo» e sul modo per uscire
da questa fase. I responsabili degli omicidi politici sono stati
individuati. Non è stata fatta luce sulle stragi di Piazza Fontana o
di Brescia o di Bologna perché in questi casi il terrorismo nero s’è
intrecciato più strettamente con apparati dello Stato. Nulla, dico
nulla, si sa sugli omicidi siciliani. Chi ha ucciso Mattarella,
Costa, Terranova, La Torre, Dalla Chiesa?
Leggete, nella pagina
dedicata a La Torre, il servizio di Sergio Sergi il quale ba
interrogato in questi giorni a Palermo alcuni magistrati II quadro è
semplicemente agghiacciante. I magistrati dicono a tutte lettere che
ci si trova davanti a delitti politici, ma non possono, non riescono
a varcare la soglia della verità. È questo il primo punto che
vogliamo fare emergere ad un anno di distanza dall’assassinio di La
Torre. Nell’anno di grazia 1983, dopo circa quarant’anni di
potere dc, dopo vent'anni di centrosinistra e dopo quattro anni di
chiacchiere sulla «governabilità», non è possibile fare luce sui
delitti politici di matrice mafiosa. Questa è la realtà. Si possono
fare mille discorsi sullo Stato, sulla «nuova» DC, sulla
«modernità» dei governanti, sulla «cultura di governo» di
costoro i quali son sempre pronti a dare lezioni a manca ed a dritta.
Una cosa, però, è certa: questo Stato, questa «cultura di
governo», questa «modernità» della «nuova» DC, questa
coalizione quadri o pentapartita che si vorrebbe eternare, non hanno
cambiato di una sola virgola le vecchie regole del giuoco mafioso. Lo
Stato resta permeabile agli interessi che stanno dietro ai delitti
mentre è sempre impermeabile nei confronti delle forze che si
identificano con le vittime.
I gesti che in questi
giorni sono stati indirizzati contro il Cardinale Pappalardo
all’interno del carcere di Palermo costituiscono un grave segnale.
Rivelano qual è il potere reale dei grandi della mafia, e quale
influenza costoro esercitano non solo dentro la cinta dell’Ucciardone
ma nella vita stessa della città. La parola d'ordine è «lasciateci
in pace». La Torre o Dalla Chiesa, Costa o Terranova non li
lasciavano vivere in pace, turbavano la loro tranquillità. Lo stesso
Mattarella aveva rotto le regole all’interno del potere e questo
non poteva essere tollerato. Oggi c’è anche il Cardinale che con
le sue prediche turba la «tranquillità», la «normalizzazione»
che si va realizzando a suon di lupara. È stato dato un
avvertimento, e non solo a lui. Ma c’è un’altra riflessione da
fare oggi e che è strettamente correlata alla prima. Mi riferisco
alla campagna di alcuni organi di stampa per la scheda bianca nelle
prossime elezioni. Leggendo certe filippiche che si concludono con
l’approdo astensionista, pensavo proprio a La Torre ed agli altri
che come lui hanno dato la vita per rinnovare lo Stato. Ebbene,
pensate se La Torre e Costa, Terranova e Dalla Chiesa avessero
impugnato bandiera bianca, se si fossero defilati, se si fossero
astenuti e se, lavandosene le mani, si fossero limitati alla protesta
della scheda bianca di fronte ad uno Stato che si presenta col volto
dell’impotenza o della complicità. Se questi uomini avessero usato
la scheda bianca, la «normalizzazione» sarebbe già un fatto
compiuto: da Comiso a Palermo, a Napoli, a Roma, a Milano. Ed invece
La Torre ed altri seppero scegliere, seppero dire i loro «no» ed i
loro «sì»; seppero scegliere la trincea di un impegno civile e
democratico e dare l’esempio più alto nella lotta politica. Sì,
la scelta di questi uomini è stata la politica. Contro i mercanti
del potere e del sottogoverno non servono la diserzione e la scheda
bianca che consolidano il loro dominio. Occorre scegliere e fare
politica, non rassegnarsi, lottare e votare per fare avanzare le idee
di La Torre, per isolare e colpire, finalmente, i suoi assassini e
cambiare la società che li genera.
"l'Unità", 30 aprile 1983
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